Gli scienziati a meno 40

Le entrate della base sono state sigillate. La maggior parte della strumentazione è stata spenta. Solo due piccoli generatori continueranno a fornire l’energia elettrica indispensabile alle memorie dei computer. Così la base italiana antartica di Baia Terra Nova è pronta per affrontare, disabitata, il rigidissimo inverno polare. Si sono infatti chiusi il 13 febbraio i battenti della XII spedizione italiana in Antartide che, iniziata il 23 ottobre dello scorso anno, ha visto impegnati nei quattro mesi di attività oltre 200 tra ricercatori, tecnici e personale logistico. Un primo bilancio della spedizione è stato presentato nei giorni scorsi a Roma durante una conferenza stampa cui hanno preso parte i massimi responsabili del Programma nazionale di ricerche in Antartide (Pnra) e Nicola Cabibbo, presidente dell’Enea, l’ente attuatore del programma.

E’ dal 1985-86 che le campagne italiane in Antartide si susseguono puntualmente ogni anno. Nel 1986-87 è stato costruito il primo nucleo della base italiana di Tethys Bay nella Baia di Terra Nova e da allora, durante i mesi dell’estate antartica, le attività di ricerca scientifica procedono a ritmo serrato. I settori interessati sono moltissimi, si va dalle scienze della terra, alla fisica dell’atmosfera, la climatologia, l’oceanografia, la zoologia, l’astronomia, la medicina e la fisiologia. E dopo aver accumulato oltre dieci anni anni di esperienza, nel corso della campagna appena conclusa gli italiani hanno posto le basi di importanti iniziative future.

E’ stato inaugurato il campo di supporto alla costruzione della base permanente italo-francese “Concordia”. La nuova base sarà situata a Dome C, un punto sperduto in pieno plateau antartico, a 1200 chilometri da Baia Terra Nova e a 3600 metri di altitudine. Con temperature che arrivano a -40° C e i violentissimi venti del plateau, la permanenza dei venti uomini che per due mesi hanno vissuto a Dome C è stato un ottimo test di resistenza psico-fisica in condizioni estreme. A “Concordia” saranno installati osservatori atmosferici e telescopi che, grazie alla particolare collocazione geografica, potranno fornire osservazioni che altrimenti richiederebbero l’impiego dei satelliti. Già da quest’anno è partito invece il programma di perforazione del ghiaccio per studi di climatologia. “Nei ghiacci dell’Antartide è registrata tutta la storia del nostro pianeta”, afferma Carlo Alberto Ricci, responsabile scientifico della seconda fase della spedizione. La composizione delle particelle che restano intrappolate nel ghiaccio al momento della sua formazione permettono infatti ai ricercatori di ricostruire le condizioni climatiche e la composizione atmosferica del passato. Quest’anno il carotaggio si è fermato a soli 180 metri, ma quando si raggiungeranno i 3500 metri previsti si potranno “leggere” le condizioni atmosferico-climatiche di 500 mila anni fa.

Altrettanto impegnativa è risultata la seconda impresa realizzata dai membri della spedizione: la missione Itase (International TransAntartic Scientific Expeditions). Si tratta di una collaborazione internazionale che prevede di effettuare una serie di “carovane” di mezzi cingolati che collegano le varie basi antartiche e si spingono attraverso tutto il continente. “Dall’Antartide possiamo misurare lo stato di salute di tutta la Terra”, spiega ancora Ricci, “lì i mutamenti del pianeta sono anticipati nel tempo e i loro effetti risultano amplificati”. Ogni mezzo è in grado di trainare un carico di 40 tonnellate attrezzature per stabilire una rete di monitoraggio della calotta antartica e dei cambiamenti climatici.

Nonostante le condizioni tutt’altro che ospitali, l’Antartide è anche un continente ricco di forme di vita. In collaborazione con un gruppo di scienziati australiani sono state osservate e studiate le popolazioni di pinguini Adelia e di skua, uccelli predatori simili ai gabbiani, di Edmonson Point, una località a 300 chilometri dalla base italiana. Particolarmente interessante, inoltre, si è rivelato il ritrovamento nelle rocce granitiche di Terra Vittoria di licheni criptoendolitici. Questi licheni si sono adattati a vivere all’interno delle rocce che lasciano filtrare anche minime quantità di luce. Finora erano stati osservati solo nelle rocce arenarie e la loro presenza anche nei graniti potrebbe indicare che questi organismi hanno colonizzato regioni più vaste di quanto si era ritenuto.

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