In Italia prescrizioni facili

Nel 1996 gli italiani avrebbero speso in farmaci 22 mila miliardi di lire, il 37 per cento dei quali rimborsati. Così il nostro paese sarebbe sceso a livelli che non ha eguali in Europa, quanto a ingratuità dell’assistenza farmaceutica. Questo, almeno, sosteneva il quotidiano “la Repubblica” del 19 febbraio scorso. E queste sono anche le posizioni di Farmindustria e di qualche membro della Cuf, la Commissione Unica del farmaco, il tribunale che autorizza l’immissione in commercio dei farmaci e la loro eventuale rimborsabilità.

Non diamo i numeri

Per non dare i numeri, è meglio partire dalle cifre. Da dicembre 1995 al novembre 1996 la spesa farmaceutica complessiva è stata sì di 22.530 miliardi di lire, ma questo valore comprende anche la spesa per i prodotti dietetici, per i farmaci da banco e altro ancora, pari a 3.430 miliardi.

Poiché ci sembra irragionevole tener conto di quanto gli italiani spendono per l’Aspirina o i dietetici nel calcolo della spesa farmaceutica, vogliamo sottrarre il primo valore dalla spesa farmaceutica totale. Così che questa risulta adesso pari a 19.100 miliardi di lire. Non è finita: 12.750 miliardi sono usciti dalle casse dello Stato per i farmaci di classe A (gratuiti) e 1.250 per quelli di classe B (a parziale carico dello Stato). Questo significa che lo Stato copre il 73,3 per cento della spesa farmaceutica totale. Più o meno come avviene in Inghilterra. Lo scandalo non è qui, ma altrove.

Lo scandalo, quello vero

Se gli italiani spendono, o se spendono più del necessario, la protesta va girata innanzitutto ai medici, che – bersagliati dalla propaganda farmaceutica, o semplicemente male informati – continuano a prescrivere farmaci inutili (2.500 miliardi di fatturato) o, a parità di efficacia, farmaci più costosi. Lo Stato fa poco per informarli correttamente, mentre l’industria spende centinaia di miliardi l’anno in pubblicità, 1.114 secondo gli ultimi dati di Farmindustria, risalenti al 1995.

Ma la protesta va rivolta anche al Consiglio Superiore di Sanità, dove una commissione ha il potere di revoca dei farmaci. Revoca che la Cuf può solo proporre, per esempio “per insufficienti prove di efficacia”. Il guaio è che al Consiglio Superiore di Sanità l’aria non è cambiata granché dall’era degli scandali di Duilio Poggiolini. Sono rimasti gli stessi figuri di allora. Se la politica farmaceutica italiana è fatta di “stop and go”, ciò è dovuto al fatto che c’è chi recita solo il primo verbo, e chi ripete ossessivamente solo il secondo.

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