Rischi sanitari: il caso Albania

“La situazione in Albania è sotto controllo, almeno dal punto di vista sanitario. Certo, se la rivolta dovesse protrarsi a lungo, si verificheranno delle carenze di materiali negli ospedali, soprattutto nelle zone più povere del paese”. A parlare è Jules Peters, responsabile per l’Europa di Médecins Sans Frontières . Peters è appena tornato dall’Albania, dove ha monitorato, insieme ai colleghi del posto, le condizioni medico-sanitarie degli ospedali e delle strutture psichiatriche del paese. “E tuttavia è improbabile che si possano verificare epidemie di malattie infettive – continua Peters – soprattutto se i comitati auto-organizzati sapranno gestire in modo adeguato la raccolta dei rifiuti: per il momento, questo è l’unico punto a rischio”.E dunque chi in Italia teme, oltre all’arrivo dei profughi, anche quello delle loro malattie, per il momento può stare tranquillo. E possono stare tranquilli anche quei pochi che riescono a rintracciare nella memoria una notizia passata quasi inosservata: appena quattro mesi fa l’Albania, grazie a dei solidi aiuti internazionali, è riuscita a arrestare un’epidemia di poliomielite, malattia che in Italia è stata sconfitta da quindici anni, e che invece dall’altra parte dell’Adriatico ha fatto registrare 139 casi e sedici morti. Cifre troppo basse, probabilmente, per meritare l’interesse dei media. Eppure l’argomento era degno di attenzione, non foss’altro perché i guai dell’Albania cominciano a diventare i problemi dell’Europa. L’epidemia di poliomielite paralitica, provocata dal virus del ceppo I, il più frequente, è cominciata nell’aprile del 1996. “Il virus isolato in Albania proviene probabilmente dalle regioni asiatiche, dove la malattia è ancora endemica”, spiega Marta Ciofi, pediatra ed epidemiologa del Reparto di Malattie Infettive del Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Superiore di Sanità, diretto da Stefania Salmaso, che ha fatto parte del gruppo di esperti inviati in Albania durante l’epidemia. Altri casi di polio, infatti, sono stati registrati nella Federazione Russa, in Iran, in Grecia, nella ex Jugoslavia. Giunto in Albania, il virus ha trovato un paese inizialmente impreparato ad affrontare l’emergenza: problemi di comunicazione tra il nord e il sud del paese, per esempio, hanno fatto sì che per qualche tempo proseguisse indisturbato la sua marcia. Poi le autorità albanesi hanno ripreso il controllo della situazione. Eppure, almeno in teoria, la copertura vaccinale contro la poliomielite doveva essere stata assicurata dalle politiche sanitarie del passato regime. Invece, buona parte delle vittime (il 77%) è risultata avere un’età compresa tra i 10 e i 34 anni, con un’incidenza massima nel gruppo di età tra i 20 e i 29 anni.”Questo significa che negli ultimi anni la vaccinazione non è stata condotta secondo le regole”, continua Marta Ciofi. Fino al 1976, i vaccini destinati all’Albania arrivavano dalla Cina. Dal 1977, invece, sono in uso quelli europei. Ma indipendentemente dalla loro provenienza, alcuni stock devono avere subìto delle alterazioni che ne hanno compromesso l’efficacia: “forse durante il viaggio, o forse durante la distribuzione in Albania, la catena del freddo non è stata rispettata”. Il vaccino va infatti conservato ad una temperatura inferiore agli 0 gradi centigradi, altrimenti perde il suo potere immunizzante.Ad arrestare la diffusione della malattia è stata una campagna di vaccinazioni di massa promossa dalle autorità locali in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Unicef ed alcuni governi europei, tra cui quello italiano. “La strategia era quella di vaccinare tutti gli individui di età compresa tra zero e 50 anni, in due round. Il primo si è tenuto in ottobre, il secondo in novembre”, spiega ancora Marta Ciofi. La campagna ha raggiunto circa l’85 per cento della popolazione. L’ultimo caso registrato risale al 25 novembre. La storia di questa operazione dimostra almeno tre cose. La prima è che una campagna di vaccinazione ben condotta è in grado di arrestare in tempi rapidissimi il diffondersi di malattie infettive anche nei paesi più disastrati. La seconda è che il virus non conosce frontiere: la polio ha fatto vittime anche nel Kossovo, tra le popolazioni albanesi che, non riconoscendo il governo di Belgrado, si sono rifiutate di sottoporsi alla vaccinazione; o nelle comunità di zingari in Grecia, più difficilmente raggiungibili dalle campagne sanitarie. La terza, forse la più importante, è che bastano pochi individui non vaccinati all’interno di una comunità per lasciare aperte le porte aperte al virus.

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