Tutto il peso sulle donne, ma il Nord non lo sa

Il Sud del mondo poggia sulle spalle delle donne. Ma il Nord non se ne accorge. E dunque non sa come interpretare le realtà che pesano sulle nazioni più povere del pianeta, né come intervenire. Questo è quanto emerge da un sondaggio, promosso da una rete di Organizzazioni non governative europee e finanziato dall’Unfpa (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione), mirato a scoprire quale percezione abbiano dei problemi del Sud del mondo le nazioni ricche del pianeta.

Un campione di circa mille cittadini europei è stato chiamato a rispondere a domande non da poco: “Quali sono i problemi più gravi che il mondo intero deve affrontare? Quali le cause principali della crescita della popolazione mondiale? Come dovrebbe essere indirizzata la cooperazione allo sviluppo?” Dai risultati, resi noti il mese scorso, un dato emerge con grande evidenza. Gli europei tendono a concentrarsi sulle conseguenze dei problemi (la guerra, la fame, il degrado ambientale e la povertà) e a sottovalutarne le cause. Come, per esempio, l’ineguale distribuzione delle ricchezze, la mancanza di libertà democratiche e di accesso alle risorse. E, soprattutto, non vedono che alla base della maggior parte dei problemi c’è la povertà, lo sfruttamento, il non riconoscimento del lavoro delle donne. “Un dato che riflette la scarsa conoscenza che in Europa si ha della realtà femminile del Sud del mondo”, dice Daniela Colombo, presidente dell’Aidos (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo), l’Ong che ha partecipato al progetto per l’Italia. “In realtà, anche se sono le donne a svolgere un ruolo fondamentale nella famiglia e nella gestione delle risorse, la maggior parte di loro vive al di sotto della soglia della povertà”.

La situazione è andata peggiorando con il processo di modernizzazione che ha interessato negli ultimi decenni molti paesi in via di sviluppo. Tradizionalmente, nelle società rurali dell’Africa, dell’Asia e dell’America Centrale, il mondo femminile aveva la gestione non solo della riproduzione, ma anche di certi settori della produzione e di alcune risorse vitali per la comunità, come ad esempio le fonti d’acqua.

Il colonialismo prima, e gli interventi da parte del mondo industrializzato poi, non hanno saputo riconoscere il valore di questi aspetti, privilegiando e favorendo lo sviluppo di branche dell’economia più direttamente legate al mercato. Eppure, l’economia di sussistenza che consente alle famiglie di sopravvivere ma che non è direttamente “monetizzabile”, cioè quella gestita dalle donne, resta il pilastro centrale per le economie di questi Paesi. “Nell’Africa sub-sahariana l’80% del fabbisogno alimentare viene soddisfatto dal lavoro femminile, ma sono le donne le persone più povere, e non hanno la proprietà della terra che lavorano”.

E’ un lavoro in ombra, quello delle donne, che non viene riconosciuto, anche nei casi in cui tutto il peso della gestione familiare dipende dalla madre. Il diffondersi dell’immigrazione ha acuito questo problema, perché in molti Stati non è previsto che una donna possa essere capofamiglia, anche quando l’uomo ha lasciato da tempo il paese d’origine. In Botswana, per esempio, il 63% delle famiglie è gestito da donne, ma esse non hanno accesso ai servizi riservati a chi viene riconosciuto ufficialmente come il responsabile del nucleo familiare.

Anche riguardo alla sovrappopolazione, uno dei temi centrali del sondaggio, il ruolo femminile non è stato valutato nella sua piena potenzialità. La contraccezione, l’informazione sulla pianificazione familiare e programmi di educazione sessuale nelle scuole sono stati indicati dagli europei come i servizi più importanti per limitare le nascite nei paesi in via di sviluppo (ottenendo il 39%, 45%, il 27% rispettivamente delle preferenze). “Ovviamente esiste una stretta correlazione tra livello di alfebetizzazione delle donne e tasso di fertilità”, riconosce Daniela Colombo. “Ma è importante che l’opinione pubblica si renda conto che non basta mettere a disposizione contraccettivi e spiegare come si devono usare perché il problema della sovrappopolazione si risolva. Quello della salute riproduttiva è un tema che deve essere seguito con cura e in modo capillare, per esempio attraverso l’istituzione di consultori che seguano le donne dalla pubertà alla post-menopausa. Ma è soprattutto importante considerare che l’educazione alla salute non può essere considerata come una questione separata da tutte le altre”.

“E’ per questo motivo – conclude Daniela Colombo – che i programmi di cooperazione internazionale dovrebbero puntare soprattutto al miglioramento delle condizioni di vita delle donne nel loro complesso, perché questo si tradurrebbe immediatamente in un miglioramento delle condizioni di tutto il nucleo familiare e in una diminuzione del tasso di fertilità”.

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