Un Mediterraneo senza nucleare?

Durante la guerra fredda il ruolo del Mediterraneo nei calcoli strategici di Usa e Urss è stato segnato da una radicale asimmetria. Per l’Unione Sovietica, infatti, il significato del Mediterraneo era principalmente quello di via d’accesso, mediante gli stretti turchi, al Mar Nero e quindi al territorio sovietico. Mediante la Quinta squadra, Mosca intendeva manifestare la propria volontà di contrastare fin dall’inizio una minaccia diretta al territorio sovietico attraverso il Mar Nero.Il ruolo del Mediterraneo nella strategia americana, durante e dopo la guerra fredda, può al contrario essere compresa solo nel quadro dei vasti interessi della superpotenza americana. Innanzitutto il Mediterraneo è una porta d’accesso al Medioriente e alle sue enormi riserve petrolifere. La presenza continua della Sesta flotta ha dato agli Usa la possibilità di intervenire nelle vicende militari nel corso dei vari conflitti bellici in Medioriente. Finita la guerra fredda, la questione che si pone ai paesi rivieraschi e in primo luogo all’Europa è se il Mediterraneo debba continuare a essere un’area di confronto politico-militare o se non debba trasformarsi in un’area di cooperazione economica internazionale per i paesi che vi si affacciano.Eppure il Mediterraneo appare oggi piuttosto una zona di frontiera e quindi di possibile scontro che non un’area di cooperazione. Sotto il profilo economico e demografico, il nord e il sud del Mediterraneo appaiono nettamente distinti. Inoltre il Mediterraneo è stato teatro di vari conflitti militari. Innanzitutto il conflitto arabo-israeliano, eredità di quattro guerre combattute negli ultimi 50 anni, della tuttora aperta questione palestinese e della presenza israeliana nel sud del Libano. A questo conflitto vanno aggiunti le guerre civili nella ex Jugoslavia e in Algeria, la questione di Cipro e quella dell’ex Sahara spagnolo che vede opposte le milizie del fronte Polisario al Marocco. A causa di queste tensioni, il livello quantitativo e qualitativo degli armamenti nell’area mediterranea risulta notevole.Le attività nucleari navali nel Mediterraneo sono essenzialmente quelle degli Usa e della Francia. Gli Usa sono presenti nel Mediterraneo con la Sesta flotta. Essa è di norma costituita da una portaerei nucleare affiancata da sei navi da guerra e un certo numero di navi di supporto. Una portaerei Usa ospita a bordo circa 80 aerei da combattimento, la maggior parte dei quali può essere armata con armi nucleari. La flotta comprende inoltre 4 sottomarini nucleari d’attacco.La flotta francese del Mediterraneo comprende due portaerei, sette sottomarini d’attacco dei quali quattro nucleari. Senza dimenticare che 38 degli aerei della flotta francese sono armati con armi nucleari a corto raggio.Uno degli sviluppi più significativi della modernizzazione nel campo della guerra navale è lo sviluppo di navi da battaglia con livelli di automazione sempre più spinti, i cui effetti possono essere particolarmente significativi nel Mediterraneo. Si tratta del progetto del Pentagono di una nave con controllo remoto, ribattezzata con il nome fantastico di “robo-nave”. La nuova nave dovrebbe ospitare circa 500 missili, possedere una corazza doppia ed essere praticamente invisibile ai radar grazie all’adozione di tecnologie “stealth”. La caratteristica che rende nuova la “robo-nave” è di essere praticamente priva di equipaggio. Mentre una portaerei ha bisogno di circa 5500 uomini, la nave del futuro potrebbe funzionare con meno di 50. Essa resterebbe permanentemente ancorata in zone di particolare interesse militare e lancerebbe i propri missili contro il nemico in seguito a ordini trasmessi da una località remota. Il suo “sistema nervoso” consisterà di una rete di computer che permetteranno la trasmissione di un’enorme quantità di dati tra varie componenti.Finora non abbiamo considerato le altre armi nucleari (statunitensi e francesi) presenti in basi a terra. A causa della presenza di queste armi, la questione della denuclearizzazione del Mediterraneo è estremamente complessa. Essa può essere posta solo come processo graduale collegato alla questione più generale del disarmo nucleare. D’altra parte è possibile immaginare alcuni passi che vadano in questa direzione. Quello più significativo è la costruzione di una zona denuclearizzata in Medioriente. I problemi nascono dallo status particolare di Israele, unico paese del Mediterraneo dotato di armi nucleari e non aderente al Trattato di non proliferazione nucleare, nonché unico paese mediorientale in possesso di tali armi. Il numero esatto di armi nucleari possedute da Israele non è noto. Secondo lo Iiss di Londra esse sono circa 100, ma secondo altre stime potrebbero arrivare a 200.La situazione di monopolio nucleare israeliano nel Medioriente favorisce l’instabilità, specialmente se nell’area si riacutizzassero le tensioni politiche. In questo senso il caso dell’Iraq è illuminante: se il programma nucleare iracheno non fosse stato interrotto dalla sconfitta di Baghdad nella Guerra del Golfo, saremmo probabilmente in presenza oggi in Medioriente di un pericoloso equilibrio del terrore tra due potenze nucleari. Le armi nucleari israeliane contribuiscono non poco al permanere delle tensioni in Medioriente. Esse costituiscono innanzitutto un ostacolo per il processo di pace. Un accordo che consentisse il monopolio nucleare israeliano in Medioriente sarebbe inaccettabile ai paesi arabi per ragioni ideologiche, religiose e geostrategiche, giacché sancirebbe l’egemonia israeliana nella regione. Oltre a ciò le armi nucleari israeliane costituiscono un incentivo permanente a una corsa agli armamenti regionale.Per queste ragioni negli ultimi anni è stata avanzata da più parti la proposta della creazione di una zona denuclearizzata in Medioriente, che potrebbe aggiungersi a quelle già esistenti in America latina, nel sud Pacifico e in Africa. I problemi che questa proposta incontra sono eminentemente politici. La posizione israeliana è che la creazione di una zona denuclearizzata in Medioriente deve essere preceduta da un reale progresso politico. La posizione dei paesi arabi è invece che i progressi sulla questione nucleare devono avvenire prima o contemporaneamente a passi in avanti sulle questioni politiche. E’ evidente che l’ostacolo maggiore sulla strada della crazione di una zona denuclearizzata è costituita proprio dalle armi israeliane e non è chiaro oggi quali reali progressi potranno essere realizzati su questo terreno. Tuttavia, come l’esperienza della guerra fredda dimostra, porre il problema e indurre i protagonisti a discuterne rappresenta di per sé un passo avanti.

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