Particelle, l’enigma del neutrino è ancora insoluto

 

In questo articolo del 1997, lo storico della fisica Gianni Battimelli ripercorre la storia del neutrino e gli esperimenti in corso per poterne definire la massa.

Tra le particelle elementari, il neutrino attira l’attenzione per il mistero che ancora lo circonda. Molto difficilmente osservabile, di dimensioni non evidenziabili e massa apparentemente nulla (forse piccolissima), ha tuttavia moto di rotazione su se stesso come gli ordinari elettroni: una enigmatica “trottola” di massa nulla, di cui si osservano, comunque, quelli che in meccanica quantistica corrispondono a classici effetti di rotazione. Nel 1896 Becquerel osservò il cosiddetto decadimento nucleare, un fenomeno compreso solo più tardi assumendo l’esistenza del neutrino. Un’ipotesi formulata da Pauli nel 1930 su cui Fermi propose due anni dopo la prima teoria che ne descrive le interazioni. Interazioni che fu possibile osservare solo nel 1956. Un secolo di storia per il neutrino che lascia ancora aperti enigmi interessanti anche per le loro implicazioni astrofisiche e cosmologiche.

Nel 1896 Becquerel osservò che un minerale di uranio poteva emettere radiazioni che impressionavano emulsioni fotografiche, in un fenomeno in cui particelle elementari vengono create apparentemente dal nulla, e l’elemento chimico che le emette trasmuta spontaneamente in un altro.

L’atomo è formato da un nucleo, uno strettissimo ammasso di protoni e neutroni fortemente legati fra loro, circondato da elettroni in numero pari ai protoni; la loro carica eguale e opposta assicura una globale neutralità elettrica. Le proprietà di legame chimico sono determinate dalla disposizione degli elettroni più esterni, a contatto con quelli degli altri atomi. Alle radici dello straordinario fenomeno scoperto da Becquerel l’interazione fondamentale “debole” (perchè molto rara) trasmuta un protone (elettricamente carico) in un neutrone o viceversa. La carica totale del nucleo cambia. La neutralità elettrica dell’ atomo richiede una corrispondente variazione del numero di elettroni attorno al nucleo: ed ecco mutate le proprietà chimiche!

Consideriamo un esempio. Un nucleo di argon ha 18 protoni e 22 neutroni. Se in natura, o artificialmente, si produce un nucleo di argon con un numero di neutroni insufficienti, diciamo 17, questo risulta instabile. Nel conseguente “decadimento” l’interazione debole provvede a riequilibrarlo, trasmutando un protone in un neutrone. Con 18-1=17 protoni si ottiene un nucleo di cloro, un elemento chimicamente molto reattivo e quindi totalmente diverso dall’argon, detto “nobile” per la sua difficoltà nel formare legami.

Nel momento in cui un neutrone trasmuta in un protone, la conservazione della carica elettrica totale (legge a tutt’oggi mai violata) richiede l’emissione di una particella con la carica dell’elettrone, eguale ed opposta a quella del protone. In effetti, viene emesso proprio un elettrone o, nel caso di trasmutazione inversa, un positrone, la sua antiparticella di carica opposta. Essi sono emessi direttamente dal nucleo, con le energie relativamente alte in gioco nelle reazioni nucleari. Negli studi che seguirono la scoperta di Becquerel, queste emissioni furono dette raggi , da cui il nome dato al decadimento; solo successivamente si capì che si trattava di elettroni o positroni.

Il decadimento presenta un notevole interesse generale. Il continuo “bombardamento” della radiazione cosmica sulla Terra produce naturalmente nuclei instabili, seppure in misura limitata.

Nei decadimenti , l’energia disponibile E viene dalla differenza di massa m tra nucleo iniziale e finale, secondo l’equivalenza E=mc2. Anche in tali processi si osserva che l’energia della particella visibile emessa (elettrone o positrone) è variabile da evento ad evento. Dove va a finire l’energia mancante? Quale rimedio estremo per spiegare l’enigma, Pauli formulò nel 1930 l’ipotesi dell’esistenza del neutrino (indicato con la lettera greca ): questa particella, a noi invisibile, porta via l’energia apparentemente mancante (figura 1).

Il termine “neutrino” è stato introdotto in modo naturale. La particella è infatti neutra perchè, se dotata di carica elettrica, sarebbe visibile dai nostri strumenti al pari di elettroni e positroni. Ha massa piccolissima o anche nulla perchè, altrimenti, una significativa parte dell’energia disponibile sarebbe spesa nella massa del neutrino e quindi elettroni o positroni non potrebbero mai avere energia pari a quella disponibile, come talvolta accade.

Il neutrino è assai difficilmente rivelabile per la sua bassissima probabilità di interazione con la materia o, in linguaggio più tecnico, per la sua “interazione debole”. Ad esempio, ogni centomila neutrini solari arrivati sulla Terra, molto approssimativamente tutti, salvo uno, riescono ad attraversarla completamente indisturbati. La probabilità di interazione del neutrino con uno strumento, e quindi la possibilità di osservarlo, è minima. Per compensarla è necessario uno strumento di massa molto grande e adeguatamente raffinato dal punto di vista tecnico. La figura 2 mostra l’interazione di un neutrino nell’esperimento CHARM II, recentemente eseguito al CERN di Ginevra;, in cui una massa di circa 700 tonnellate è dotata di una moltitudine di canali elettronici per la lettura dei segnali prodotti quando il neutrino interagisce.

A più di 70 anni dall’ipotesi di Pauli, le difficoltà sperimentali lasciano le proprietà fondamentali del neutrino nel mistero. Ancora non sappiamo l’entità della sua massa: possiamo solo fare affermazioni del tipo “può essere solo minore di una certa grandezza”. Eppure i neutrini sono tutt’altro che particelle rare prodotte artificialmente ad uso degli scienziati. In natura vengono copiosamente creati nel cuore delle stelle e in particolare del nostro Sole, dal complesso di reazioni nucleari all’origine della radiazione elettromagnetica (tra cui luce) che veicola alla Terra l’energia responsabile della vita animale e vegetale. Per la loro capacità di attraversare enormi spessori di materia senza interagirvi, i neutrini prodotti all’interno del Sole giungono alla sua superficie e sino a noi, fornendoci anche importanti informazioni di tipo astrofisico sui processi che si svolgono proprio al suo interno. Non è così per la radiazione luminosa, o in generale elettromagnetica, portatrice di informazioni unicamente riguardanti gli strati più superficiali delle stelle. Per la comprensione astrofisica dei meccanismi che tengono acceso il Sole, i neutrini hanno quindi un ruolo che si avvicina a quello dei raggi X nella radiografia.

Anche i flebili e ancora mal distinguibili segnali di fenomeni astrofisici lontani, come i collassi stellari, giungono grazie all’assenza di apprezzabile assorbimento dei neutrini emessi. Come l’astronomia classica usa la luce in quanto veicolo di informazione, avremo forse un giorno una “astronomia di neutrini”, con i telescopi sostituiti da grandi rivelatori di neutrini cosmici. Non solo: nei primi istanti dell’universo al pari della radiazione elettromagnetica che costituisce la nota “radiazione cosmica di fondo” è stato presumibilmente prodotto un grandissimo numero di neutrini che tuttora non sappiamo come poter osservare a causa della loro bassissima energia. Essendo la loro attuale densità stimata a qualche centinaio per cm3, si pensi a quanti ve ne possono essere nel cosmo.

Sappiamo che le forze gravitazionali non solo regolano il moto dei corpi celesti, ma determinano l’evoluzione dell’universo nel suo complesso: l’attrazione gravitazionale tende a frenare la sua espansione, evidenziata dalla legge di Hubble (figura 3). Moltiplicando un valore anche infimo della massa di ciascun neutrino per il numero di neutrini nel cosmo, può la loro massa complessiva essere così grande da incidere sugli interrogativi che ci poniamo sul divenire dell’universo?

Neutrini e cosmologia

Dall’ipotesi del “big-bang” originario, proiettandoci avanti nel tempo, sorge una domanda: l’espansione dell’universo è destinata a continuare indefinitamente o verrà in qualche modo arrestata, benchè con tempi per noi enormemente lunghi, misurabili in miliardi di anni?Quale “forza di richiamo”, quale sorta di “molla” potrà contrastare questa espansione, altrimenti infinita? Dai tempi di Newton sappiamo che il moto dei corpi celesti è determinato dall’interazione gravitazionale, esclusivamente attrattiva. Se la massa totale dell’universo fosse sufficientemente grande, le forze di attrazione tra i corpi celesti potrebbero quindi gradualmente richiamarli l’uno verso l’altro in misura tale da frenare l’espansione. Ma quale è la massa totale dell’universo?

Pensiamo per un momento come, attorno alla metà del secolo scorso, fu ipotizzata l’esistenza del pianeta Nettuno, poi effettivamente osservato. La conoscenza della “interazione fondamentale” tra i corpi celesti (la gravitazione universale newtoniana), insieme alla possibilità di calcolare le orbite dei pianeti con grande precisione, chiarirono che le forze gravitazionali, esercitate dell’allora ignoto pianeta Nettuno, sono in grado di spiegare evidenti incongruenze nel moto di corpi celesti circostanti (il pianeta Urano nella fattispecie). Applichiamo ora queste considerazioni al problema della massa dell’universo. Il moto rotatorio delle stelle nelle galassie, e in particolare la dipendenza della loro velocità dalla distanza dal centro della galassia a cui appartengono, presenta un’apparente anomalia. Essa può venire chiarita, e quindi rimossa, ipotizzando che ora conosciamo solo circa un decimo della massa totale delle galassie. Questa conclusione, confermata da altre osservazioni, fornisce una misura della nostra ignoranza. Una larghissima parte dell’universo è per noi “materia oscura”, per usare la denominazione scientifica. Nelle antiche mappe del continente africano solo le coste sono delineate, grazie ai naviganti, e tutto il resto è spazio ignoto, con la significativa scritta “hic sunt leones”. Siamo in una situazione simile, e ovviamente vorremmo conoscere di più.

Come abbiamo visto precedentemente, il neutrino è estremamente abbondante nel cosmo e quindi anche una sua massa estremamente piccola potrebbe dargli un ruolo come materia oscura, anche se non appare che possa esserne l’unico costituente. Si noti che, tra le particelle elementari oggi conosciute, il neutrino è l’unico candidato a costituire la materia oscura.

La questione della massa del neutrino presenta anche un intrinseco interesse per la fisica delle particelle elementari. Una massa non nulla ci porterebbe oltre la fisica attuale, limitata a fenomeni e relative teorie in cui essa è aprioristicamente assunta come nulla. Come un profano attento mal digerisce l’idea di una massa rigorosamente nulla, non esiste alcun argomento fisico per giustificarla e del resto il neutrino, tra i cosiddetti “leptoni” e “quarks”, sarebbe l’unica particella ad avere massa nulla. Il “fotone” (quanto della radiazione elettromagnetica) appartiene alla diversa specie dei “mediatori delle interazioni” e la sua massa nulla è ben inquadrata teoricamente.

Come si misura la massa del neutrino?

In linea di principio, è possibile ottenere una misura “diretta” della massa del neutrino misurando la differenza tra l’energia disponibile in un decadimento nucleare (collegata da E=mc2 alla differenza di massa tra nucleo iniziale e finale) e quella massima dei raggi osservati: il deficit corrisponde all’energia spesa nella massa del neutrino, sempre in base all’equivalenza tra massa e energia. In pratica, tale metodo diretto comporta errori sperimentali, che, per quanto piccoli, impediscono il raggiungimento della straordinaria sensibilità necessaria.

Per rendersi conto delle difficoltà poste, si consideri che il metodo diretto è ora sensibile a masse circa centomila volte più piccole di quella della più leggera particella nota, l’elettrone, e ciò, tuttavia, non basta.

Nel decadimento di un nucleo atomico, o in una reazione nucleare all’interno di una stella, viene emesso un elettrone (e) “associato” a un neutrino detto neutrino elettronico. Neutrini diversi sono associati a particelle simili all’elettrone ma di massa più grande, i cosiddetti muoni () e tauoni (). La questione sulla massa del neutrino si indirizza a tutti i tre tipi: se solo si provasse che uno di essi ha massa, questo sarebbe presumibilmente vero anche per gli altri! Genericamente si pensa che i neutrini abbiano masse in successione fortemente crescente, come i rispettivi e, e . Il neutrino associato a avrebbe così la massa di gran lunga più grande, attirando su di sè un particolare interesse come candidato a costituire la “materia oscura”.

La metodologia sperimentale, oggi più promettente per la misura della massa dei neutrini, è basata sulla rivelazione delle cosiddette “oscillazioni di neutrini”, un fenomeno originariamente ipotizzato da Bruno Pontecorvo che, per verificarsi, richiede un valore non nullo della massa. Se i neutrini avessero massa, infatti, in base alla meccanica quantistica i tre tipi di neutrini non sarebbero irrimediabilmente “diversi”: in un tempo sufficientemente lungo, un neutrino di un tipo potrebbe “trasformarsi” (od “oscillare”) in un neutrino di un altro tipo. Così, con una certa probabilità, un neutrino solare, nato come neutrino elettronico, potrebbe giungere sino a noi rivelandosi come muonico.

Due linee sperimentali vengono attualmente perseguite per evidenziare l’esistenza di oscillazioni di neutrino. Da un lato, la misura del flusso di neutrini solari segue come metodologia l’osservazione di fenomeni naturali. I neutrini solari sono di tipo elettronico; la misura di quante fra queste particelle spariscono nel cammino tra il sole e la Terra fornisce indicazioni sulla massa dei neutrini, da cui il fenomeno dipende.

Dall’altro lato, la questione della massa del neutrino è attualmente investigata ricercando il fenomeno delle oscillazioni nelle reazioni indotte “ad arte” da neutrini prodotti da acceleratori di particelle.

Oscillazioni di neutrino

Il fenomeno delle “oscillazioni di neutrino” è basato sulla cosiddetta “dualità onda-particella” per cui, obbedendo alle leggi della meccanica quantistica, una particella, nel propagarsi, si comporta come un’onda.
L’interazione fondamentale “debole” è capace sia di generare i neutrini (per esempio nelle reazioni nucleari all’interno delle stelle), che di farceli osservare quando interagiscono in un apparato sperimentale, producendo particelle elettricamente cariche e quindi rivelabili. Lo studio dell’interazione debole ha messo in luce l’esistenza di tre tipi o, come si dice nel linguaggio della fisica, di tre “sapori” di neutrino. Abbiamo osservato, precedentemente, che il neutrino emesso nei decadimenti dei nuclei atomici, o nelle reazioni nucleari all’interno del sole e delle altre stelle, è associato all’elettrone ed è detto neutrino elettronico (). Gli altri due sono il neutrino muonico e il neutrino tauonico .

Riferiamoci ora, per esempio, ai neutrini solari e analizziamo lo svolgersi dell’ipotizzato fenomeno delle loro “oscillazioni”. Dobbiamo considerare la propagazione dei neutrini (generati come ) verso la Terra, ove è situato l’apparato sperimentale per rivelarli. Il fenomeno delle oscillazioni di neutrino implica, come si vedrà, che parte dei “magicamente” (ma il “trucco” è nelle leggi della meccanica quantistica) si trasformi in neutrini di sapore diverso.

Limitiamoci per semplicità a considerare solo due sapori di neutrino, e . Notiamo che questo rispecchia il presumibile caso in cui il “mescolamento” dominante per il è quello con il , a lui più vicino nella nostra classificazione delle particelle elementari: in una scala di massa per le particelle elettricamente cariche associate ai neutrini, il muone è il più prossimo all’elettrone. Che cosa succede se la proprietà di propagarsi immutati è goduta non da e (detti auto-stati di sapore), ma solo da loro determinati “miscugli” , i cosiddetti “auto-stati di massa” 1 e 2? Chiaramente, per la propagazione dei neutrini dobbiamo allora ragionare in termini di auto-stati di massa e non di auto-stati di sapore.

Per chiarire meglio il concetto di mescolamento, consideriamo (figura 4) un sistema di coordinate cartesiane i cui assi x e y corrispondono agli auto-stati di sapore e un sistema di coordinate cartesiane x’-y’ (con x’ e y’ corrispondenti agli auto-stati di massa) ruotato di un piccolo angolo rispetto al sistema x-y. Nel secondo sistema, un punto P(x,0) sull’asse x (corrispondente ad un puro auto-stato di sapore) viene rappresentato non più da una sola coordinata (x’) , ma assume una piccola componente anche nell’altra coordinata (y’). In altre parole, esso viene rappresentato da una combinazione o “miscuglio” di due componenti x’ e y’. L’entità del mescolamento viene univocamente determinata dall’angolo di cui è ruotato un sistema cartesiano rispetto all’altro.

Questo parametro, definito angolo di mescolamento, viene quindi utilizzato come parametro quantitativo per descrivere la situazione. Si noti che se l’angolo di mescolamento è piccolo, gli auto-stati di massa sono quasi puri autostati di sapore e viceversa. Scomponiamo quindi l’auto-stato di sapore generato nel Sole in auto-stati di massa 1 e 2, seguiamo questi ultimi nel loro cammino verso la Terra e vediamo il ruolo che nella propagazione rivestono eventuali masse dei neutrini, o meglio le loro differenze di massa.
Si noti che, se i neutrini hanno massa diversa da zero, neutrini diversi avranno presumibilmente masse diverse e in scala fortemente crescente, analogamente alle corrispondenti particelle cariche e, e . Per questo, ogni differenza di massa, avrà valore vicino a quello della massa del neutrino più pesante, essendo quella dell’altro presumibilmente molto più piccola e quindi trascurabile.

A parità di quantità di moto, l’energia che possiamo associare agli auto-stati di massa è tanto più grande quanto maggiore è la loro massa a riposo; infatti, secondo l’equivalenza massa-energia, la massa a riposo di una particella contribuisce alla sua energia totale, assieme all’energia cinetica (associata alla quantità di moto). Come tutte le particelle elementari, nella loro propagazione gli auto-stati di massa dei neutrini vengono rappresentati da onde, la cui frequenza cresce con l’energia. Quindi, se i neutrini hanno massa, e questa è differente per i diversi neutrini, anche le loro frequenze sono differenti. Vediamo ora le conseguenze di questo fatto.

Anche senza ricorrere ai formalismi matematici utilizzati dai fisici e necessari per una comprensione completa e quantitativa del fenomeno, seguendo il percorso dei neutrini solari verso la terra possiamo visualizzare gli auto-stati di massa dei neutrini proprio come onde, che si propagano con frequenza diversa a seconda della massa. Se gli auto-stati hanno la stessa massa, le relative onde giungono con immutata relazione temporale sulla Terra (con la stessa “fase”). Tali onde, possono quindi essere ricombinate per dare di nuovo esattamente un come auto-stato di sapore, quello che viene visto nell’interazione (debole) con l’apparato sperimentale. Se gli auto-stati hanno invece masse diverse, le relative onde si propagano con diversa frequenza e quindi non arriverebbero nella stessa relazione temporale di partenza. Le onde, ricombinandosi, non danno più il puro auto-stato di sapore di partenza . Si ha piuttosto un miscuglio di e . Così, in base alle leggi della meccanica quantistica si vede talvolta un e talvolta un , con probabilità data dalle proporzioni del miscuglio. Questo è il singolare fenomeno delle oscillazioni di neutrino, secondo cui un osservatore sulla Terra potrebbe osservare anche un mai prodotto!

Per meglio capire come uno sfasamento delle onde possa mutare l’auto-stato di sapore, ricorriamo ad una analogia. Nella teoria del colore distinguiamo “colori base” (rosso, blu e verde) e “colori composti”.
Immaginiamo che una certa sorgente generi un’onda “violetta”. Il violetto (corrispondente nell’analogia ad un auto-stato di sapore) è in realtà un colore composto, formato dal mescolamento dei colori base (corrispondenti agli auto-stati di massa) rosso e blu. L’onda emessa è quindi composta da un’onda “rossa” (curva tratteggiata in figura) e da una “blu” (curva continua) con valori iniziali tali da dare, nel loro miscuglio, la giusta tonalità di violetto. Per la propagazione, consideriamo quindi i colori base rosso e blu . Se le onde rossa e blu si propagano con la stessa frequenza, ovunque la loro sovrapposizione dà lo stesso colore violetto. Se invece si propagano con velocità diversa, da punto a punto la loro proporzione è diversa, e parimenti lo è il colore risultante visto dall’osservatore, il cui occhio è globalmente sensibile non ai colori base isolati, ma al loro miscuglio o sovrapposizione. Il fatto che il colore di partenza sia in realtà composto da due diversi colori base (auto-stati di massa) e che questi si propaghino diversamente, dà luogo all’osservazione di un colore composto (auto-stato di sapore), diverso da quello di partenza e variabile da punto a punto!

La parola “oscillazione” non si riferisce, in effetti, al fatto che le particelle sono rappresentate da onde, ma piuttosto al fatto che il colore osservato (auto-stato di sapore) cambia da punto a punto allontanandosi dalla sorgente, con legge oscillatoria. In certi punti, l’onda potrà apparire ad un osservatore addirittura come puramente rossa o blu.

Alla ricerca dell’oscillazione

Veniamo ora alla manifestazione sperimentale delle oscillazioni di neutrini solari ed ai tipi di esperimenti che possono venire condotti. Gli esperimenti sui neutrini solari realizzano la difficile misura del flusso di neutrini solari () che investe la Terra. Esso risulta significativamente inferiore a quello atteso da un modello solare costruito in base alle nostre conoscenze di astrofisica. Questa osservazione ha due interpretazioni possibili. Una, astrofisica, è che il modello solare deve essere perfezionato. L’altra, di fisica particellare, è che tra il Sole e la Terra le oscillazioni trasformano parte dei in neutrini di diverso sapore non visibili negli esperimenti effettuati. Siffatti esperimenti di ricerca di oscillazioni vengono chiamati “di scomparsa”, in quanto si cerca di vedere se sono “scomparsi” dei neutrini del sapore che sappiamo essere stato generato.

Per contro, gli esperimenti di “apparizione” sono condotti tramite apparati sperimentali capaci di vedere neutrini di sapore diverso da quello generato. Nel caso dei neutrini solari, si tratterebbe di indagare non già sulla riduzione del flusso di, ma di cercare l’apparizione degli inattesi . Purtroppo, in pratica, esperimenti di apparizione sono impossibili per i neutrini solari. Infatti, per essere visibile e individuabile il dovrebbe interagire nell’apparato sperimentale e produrre la particella carica corrispondente, il mesone . La massa a riposo (moltiplicata per c2) di quest’ultimo è però di gran lunga superiore all’energia con cui le reazioni nucleari all’interno del Sole emettono i neutrini, e quindi l’individuazione dei risulta in pratica energeticamente impossibile!

Gli esperimenti di apparizione richiedono neutrini di energia sufficientemente alta per produrre le particelle, di massa a riposo grande relativamente all’energia dei neutrini solari, associate ai neutrini di cui si ricerca l’apparizione. Tali esperimenti sono possibili con gli acceleratori di particelle. Così, al CERN di Ginevra i protoni accelerati vengono inviati su un bersaglio e interagendovi producono particelle secondarie instabili, soprattutto i cosiddetti mesoni (pioni). Questi, decadendo, danno luogo a neutrini di alta energia, essenzialmente . Mediante opportune lenti magnetiche che agiscono sulle particelle “genitrici”, si riescono anche a ottenere fasci di neutrini relativamente collimati, che possono investire un apparato sperimentale posto a una certa distanza, senza troppo disperdersi. Si pensi che tra i vari progetti ora allo studio vi è addirittura quella di dirigere un fascio di neutrini dal CERN verso il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso, distante circa 1000 Km.

Gli esperimenti di apparizione sono, in linea di principio, estremamente sensibili: bastano pochi neutrini di tipo non atteso (anche uno solo, se si è sicuri di non commettere errori nella sua identificazione), per provare l’esistenza del fenomeno di oscillazione. Negli esperimenti di scomparsa bisogna invece fare i conti con la differenza tra due numeri relativamenti grandi (che rappresentano le misure del flusso osservato e del flusso atteso) e quindi anche piccoli errori nella misura deteriorano notevolmente la sensibilità nell’osservazione di un eventuale segnale.

I neutrini solari

Consideriamo la fusione nucleare di due nuclei leggeri in uno più pesante, con conseguente rilascio di energia. Il Sole è un reattore di enorme massa, basato sulla fusione. Sulla terra, per la produzione di energia dobbiamo, invece, limitarci a masse incomparabilmente più piccole: utilizziamo quindi una possibilità totalmente diversa, caratterizzata da un’energia cinetica (“temperatura”) delle particelle interagenti molto più alta.

Nelle reazioni di fusione nucleare che avvengono nel Sole viene emessa una grande quantità di energia, che manifestamente giunge a noi sotto forma di radiazioni elettromagnetiche, tra cui la luce. Come si è detto, viene inoltre emesso un grandissimo numero di neutrini. Il Sole è la stella più vicina e in pratica la sola che possiamo studiare attraverso i neutrini. La distanza delle altre stelle è tale che i loro neutrini giungono a noi con intensità troppo bassa, e quindi insufficiente per trarre informazioni sui processi che avvengono al loro interno.

Nella catena di reazioni di fusione nucleare che avvengono all’interno del Sole e che portano da nuclei di idrogeno (protoni) a nuclei più pesanti, la reazione primaria comporta la fusione di due protoni in un nucleo di deuterio, con l’emissione di un positone e di un neutrino. Da essa proviene larghissima parte dell’energia irradiata dal Sole e del flusso di neutrini solari. La nostra conoscenza di questa energia ci permette di stimare il flusso dei neutrini emessi con il minimo di incertezze derivanti dalla nostra limitata conoscenza dei processi nucleari all’interno del Sole, secondo il modello “solare”.

In un esperimento di scomparsa dobbiamo confrontare una misura del flusso di neutrini con il flusso atteso. Se disponiamo di un apparato sperimentale in grado di osservare i neutrini emessi nella reazione primaria, avremo il minimo di incertezze nella stima del flusso atteso.Il problema è che tali neutrini sono caratterizzati da una energia estremamente bassa, al di sotto di quella rivelabile dai pionieristici esperimenti, prima negli Stati Uniti e poi in Giappone. Questi furono, pertanto, solamente in grado di misurare il flusso di neutrini provenienti da reazioni successive a quella primaria, per cui il deficit osservato nel loro flusso ci lasciò nel seguente dilemma: abbiamo una prova del fenomeno delle oscillazioni o dobbiamo rivedere la stima fornita dal modello solare, non tanto attendibile sui neutrini non proprio prodotti nella reazione primaria?GALLEX (GALLium EXperiment) al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) è stato il primo esperimento in grado di misurare il flusso di neutrini prodotti nella reazione primaria,

Il rivelatore GALLEX (figura 5) è essenzialmente costituito da 30 tonnellate di gallio, la cui caratteristica è di essere sensibile a neutrini di bassissima energia, come quelli emessi nella reazione primaria di fusione protone-protone. Tramite le interazioni deboli dei neutrini solari, in GALLEX ogni giorno circa un nucleo di gallio (71Ga, per precisione) si trasforma in germanio (71Ge). Il 71Ge viene rivelato con metodi radiochimici, osservandone il decadimento radioattivo.

Quanti nuclei di gallio vi sono in 30 tonnellate? Chi conosce il numero di Avogadro ( 6×1023 nuclei per grammo-atomo, ove la cifra 23 rappresenta il numero di zeri che dovrebbe essere scritto) può calcolarlo prontamente. Un cosiddetto “grammo-atomo” di gallio vale 71 grammi. Quindi in un grammo vi sono circa 1022 nuclei e in 30 tonnellate circa 3×1029 nuclei (uno seguito da 29 zeri, laddove per scrivere un miliardo ne bastano solamente 9). Il famoso ago nel pagliaio non è poi granchè, rispetto alla difficoltà sperimentali nell’identificare l’unico nucleo di germanio. Questo è stato fatto in GALLEX per misurare il flusso di neutrini solari.

Concludiamo con i risultati ottenuti. Il processo primario di fusione nucleare nel Sole è ora quantitativamente osservato, e i dati continuano a indicare la possibilità che si verifichino oscillazioni di neutrino. Un esperimento analogo, SAGE (Soviet American Gallium Experiment), conferma questi risultati. Recentemente, GALLEX ha condotto una importante verifica del suo metodo sperimentale. Il rivelatore è stato sottoposto a un flusso di neutrini noto a priori, prodotto da una sorgente radioattiva artificiale straordinariamente intensa inserita al suo interno. Entro gli errori sperimentali, la misura del flusso effettuata da GALLEX corrisponde a quanto fornito dalla sorgente.

Il deficit di neutrini sembra quindi non provenire da una sottostima dell’efficienza del metodo radiochimico utilizzato per misurare il numero di atomi di germanio prodotti. L’interesse per approfondire l’argomento mediante altri metodi sperimentali resta quindi altissimo.

Esperimenti con neutrini prodotti da acceleratori di particelle

Il fascio di neutrini del CERN è una sorgente molto intensa e praticamente pura di neutrini muonici . L’ esperimento da fare è quindi concettualmente molto semplice: si tratta di “fotografare” l’improvvisa apparizione in questo fascio di un neutrino tauonico . Anche una sola, purché inequivoca.

Le ricerche finora effettuate sono state tutte negative. Per andare oltre e sperare di ottenere la fotografia anche di una sola interazione di occorre collezionare e analizzare almeno 500 mila fotografie di ordinarie interazioni dei che costituiscono il fascio del CERN.Una collaborazione internazionale di più di 100 fisici europei (tra cui vari gruppi italiani), giapponesi e coreani ha costruito la necessaria sofisticata macchina fotografica; si tratta del rivelatore CHORUS, una macchina con emulsioni fotografiche per un peso di quasi una tonnellata.

Un secondo esperimento, NOMAD, ricorre invece a una tecnica puramente elettronica. Rivelare un significa, in pratica, rivelare il che emerge dalla sua interazione; il tauone è una particella instabile, che si disintegra in altre particelle dopo aver percorso meno di un millimetro: si tratta quindi di fotografare una traccia cortissima (rispetto alle tecniche utilizzabili sulle grandi dimensioni del rivelatore) dal cui punto terminale si diramano uno o più tracce di disintegrazione. Non c’è che una tecnica, a tutt’oggi, capace di rivelare tracce così corte: la vecchia tecnica delle emulsioni fotografiche cosiddette “nucleari”. Usate fin dagli anni `50, esse sono praticamente delle lastre fotografiche ad altissima risoluzione spaziale: impressionate dalle tracce nucleari che le attraversano, vengono poi sviluppate per fornire fotografie come quella che mostriamo in figura 6. Negli anni `50, tuttavia, si potevano analizzare solo qualche centinaio di fotografie all’ anno a causa della complessità dell’operazione; fino a ieri non si andava oltre qualche migliaio per tutto un esperimento, sfruttando apparecchiature parzialmente automatizzate. La novità tecnologica consiste in una tecnica completamente computerizzata di analisi di queste “instantanee”, che permette di processare una foto in circa 20 minuti e quindi con un singolo microscopio circa 20 mila fotografie all’anno. E i nuovissimi sviluppi condotti in Giappone e in Italia stanno decuplicando le prestazioni dei microscopi automatici.

Le interazioni dei hanno caratteristiche abbastanza diverse da quelle delle interazioni di neutrini muonici. Diverse sono le energie e differenti gli angoli di emissione dei prodotti di reazione. Quindi, insieme ad ogni fotografia, si acquisiscono delle informazioni aggiuntive, ottenibili in una frazione secondo con rapidissimi rivelatori di tipo elettronico. Con essi viene completata la conoscenza degli eventi osservati.Il grande rivelatore CHORUS (figura 7), costruito intorno al piccolo prezioso blocco di emulsioni, svolge anche questo compito, ricostruendo tutte le tracce e facendo il bilancio energetico della reazione. Una strumentazione raffinata ed innovativa con lettura elettronica è stata costruita a questo scopo. CHORUS, combinazione ibrida delle vecchie emulsioni e delle più moderne e sofisticate tecniche elettroniche, avviato nel 1994, raccoglierà dati fino al 1997. Da questo esperimento ci attendiamo una nuova risposta alla misteriosa questione della massa del neutrino.

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