Un nodo per la memoria

Un manoscritto inedito, ritrovato fortunosamente da una studiosa in una collezione privata napoletana, sta per fornire la chiave di lettura al sistema di scrittura incaico. Sin dalla conquista spagnola del Perù (1532) i cronisti al seguito dei conquistatori, pur rimanendo esterrefatti dal livello sociale raggiunto dall’impero che gli Inca avevano creato, non seppero trovare testimonianze scritte di una civiltà che per il resto si presentava tanto avanzata.

Adesso finalmente si è vicini a risolvere il mistero della scrittura inca che gli spagnoli non trovarono, perché non seppero cercare nel modo giusto. La scrittura di questi popoli, infatti, non era affidata ad un alfabeto, ma ad un complicato sistema di cordicelle in cui i fili e i nodi, combinati tra loro, fornivano un messaggio cifrato, leggibile solo dall’élite imperiale. Ma vediamo nello specifico, alla luce del manoscritto Miccinelli di Napoli, come funziona questa scrittura: la chiave di lettura è stata data da un cronista gesuita del XVI secolo, che scrive su questo documento.

Anello Oliva, così si chiamava il religioso, traduce in italiano cifrato un racconto sacro contenuto in un quipu (questo è il nome che in lingua quechua indica le cordicelle annodate) arrotolato dentro il manoscritto. Il risultato ottenuto dalla ricerca effettuata dalla professoressa Laura Laurencich Minelli, dell’Università di Bologna, su questo testo è a dir poco incredibile: i simboli intessuti, appesi alle cordicelle, servivano per richiamare alla mente dei lettori specializzati di corte delle parole di cui si prendevano in considerazione tante sillabe quanti erano i nodi sottostanti.

Per esempio, il rettangolo che rappresentava il dio Pachacamac, con due nodini sotto, indicava al lettore che bisognava leggere solo le prime due sillabe della parola, cioè Pa-cha, che in lingua quechua significa “terra”.

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