Via libera al mercato dei rifiuti

Abbiamo appena bevuto una bella lattina di birra gelata sotto l’ombrellone. E siccome siamo persone civili, non inquinatori di spiagge, cerchiamo un cestino dove buttarla. Poi di nuovo all’ombra, con la gola fresca e la coscienza a posto. Ma quei pochi grammi di metallo che abbiamo gettato, in un anno diventano 9500 tonnellate. Una montagna di alluminio purissimo letteralmente sprecato.

In Italia solo il 40% del miliardo e mezzo di lattine vendute ogni anno viene recuperato e riciclato. E pensare che da una lattina ri-fusa se ne ricava una identica, recuperando il 90% del suo valore energetico e perdendo solo il 20% del materiale. In Svezia, Norvegia e Danimarca lo hanno capito da tempo, e riciclano praticamente tutte le lattine in circolazione. Comunque anche da noi la “cultura del riciclaggio” è in crescita. Proprio per fare il punto della sitazione si è svolto nei giorni scorsi a l’Aquila il Primo congresso nazionale sulla valorizzazione e il riciclaggio dei residui industriali.

Ormai le pattumiere dei paesi industrializzati sono colme. Ogni anno nell’Unione europea si producono 100 miloni di tonnellate di rifiuti urbani (17 milioni solo in Italia) e 22 milioni di tonnellate di rifiuti tossici (1,5 milioni nel nostro paese). Montagne di immondizia che finiscono nelle discariche, spesso abusive, alimentando il già lauto giro d’affari delle eco-mafie di mezzo mondo. Ma l’ambiente non è una discarica infinita in grado di assorbire una tale quantità di rifiuti. E tre direttive comunitarie, recepite in Italia nel cosiddetto “decreto Ronchi”, impongono che a partire dal 2000 solo i rifiuti inerti e i residui del riciclaggio potranno finire in discarica. Insomma, si dovrà dare massimo impulso alla cosiddetta “strategia delle 4 R”: riduzione dei volumi, recupero, riciclaggio e riuso. Anche perché, oltre a salvaguardare l’ambiente, l’operazione potrebbe diventare un business da 50 mila nuovi posti di lavoro.

Qualche esempio. Da una tonnellata di fusibili per automobili si possono ricavare fino a 600 mila lire di oro, argento, platino e rame, anziché spenderne 300 mila per la messa a discarica. Carta, plastiche, vetro, gomma e batterie si possono recuperare quasi al 100%, ma anche il siero di scarto dell’industria casearia può trovare applicazione nel settore farmaceutico. Alcuni residui industriali possono dare ottimo cemento e l’energia necessaria a produrlo si può ottenere bruciando copertoni e olii esausti. Alla Mercedes stanno studiando come “trapiantare” le parti ancora utilizzabili delle vetture da rottamare sulle auto nuove, mentre la Siemens ha elaborato programmi che definiscono, per ogni prodotto elettromeccanico, il procedimento di demolizione che riduce al minimo i costi.

Perché infatti la rivalorizzazione dei rifiuti possa funzionare, quello dei costi è un problema da risolvere quanto prima. Il residuo-materia prima deve costare poco. Per questo è necessario innescare “circoli virtuosi” che consentano il riutilizzo degli scarti non lontano da dove vengono prodotti, in modo da abbattere le forti spese di trasporto. “Ma soprattutto”, sottolinea Mario Pelino, docente di Scienza e tecnologia dei materiali e presidente del congresso dell’Aquila, ”è indispensabile aprire il mercato dei rifiuti. E’ l’unico modo per battere le eco-mafie”. Se, infatti, i rifiuti erano finora un problema di cui liberarsi, magari affidandoli a gente di pochi scrupoli, il futuro è quello del residuo-merce, con un proprio valore di mercato. Ogni industria sarà così stimolata a “mettere in mostra” i propri scarti affinché qualcun altro li comperi e li utilizzi come materia prima.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here