Fra teoria ed esperimento

Simulazione: una parola quasi del tutto estranea al lessico scientifico fino a pochi decenni or sono. Ma che di pari passo con l’incredibile sviluppo dei calcolatori è divenuta sempre più frequente nei laboratori. Fino a inserirsi a pieno titolo tra i due cardini del metodo scientifico: l’attività teorica e quella sperimentale. Delle nuove frontiere aperte dalla simulazione, ma anche dei nuovi problemi che il suo utilizzo sempre più massiccio comporta, abbiamo parlato con Giorgio Parisi, fisico dell’Università “la Sapienza” di Roma, uno dei pionieri di questo settore.

Professor Parisi, negli ultimi decenni, grazie all’incredibile sviluppo dei calcolatori, ai due classici strumenti del metodo scientifico, la teoria e la sperimentazione, si è aggiunto un terzo elemento: la simulazione. Cosa ha significato questo avvento per l’attività scientifica?

“Credo che l’importanza e il successo della simulazione siano legati non solo al massiccio sviluppo dei computer, ma soprattutto al fatto che essa ha permesso di focalizzare l’attenzione su un altro elemento molto importante dal punto di vista epistemologico: il modello. Di un sistema fisico, come per esempio un materiale solido, possiamo dare una descrizione microscopica molto dettagliata. Infatti conosciamo le leggi fisiche che governano i nuclei, gli elettroni, gli atomi che lo compongono. Ma ciò a cui siamo interessati nello studio di questi sistemi sono quelli che in fisica vengono chiamati comportamenti collettivi: non tanto quale sarà il moto di un certo particolare atomo all’interno di un solido, quanto se il solido sarà un buon conduttore di corrente, o quali saranno le sue proprietà magnetiche. Per questo dobbiamo costruire un modello del sistema, una descrizione semplificata che conservi tutti gli elementi significativi e importanti del sistema e ignori gli altri. In questa operazione si corre il rischio di gettare il bambino con l’acqua sporca… E qui interviene la simulazione, grazie alla quale possiamo verificare se il comportamento collettivo che emerge dal nostro modello semplificato è analogo a quello del sistema fisico reale, cioè se il modello e il sistema appartengono alla stessa classe di universalità”.

Ma perché è lecito e ragionevole aspettarsi che il risultato di una serie di calcoli eseguiti da un computer riescano a riprodurre il comportamento di un sistema fisico reale. Insomma, quanto ci si può fidare di una simulazione?

“In ogni simulazione è necessario introdurre un certo grado di approssimazione. Se si vuole considerare ogni più piccolo dettaglio, anche simulare un sistema semplice con soli 3 o 4 elettroni, per esempio, diventa impossibile. Quindi bisogna applicare tutti i metodi statistici, che sono ben noti, per tenere conto dell’introduzione delle approssimazioni. Ma questo fa parte della professionalità di un ricercatore. D’altra parte, la simulazione, come procedimento in sé, è paragonabile a un teorema di matematica: una volta specificati esattamente tutti i suoi `ingredienti’, chiunque provi a ripeterla troverà lo stesso risultato. Dal punto di vista della fisica invece la simulazione può essere considerata come un esperimento effettuato su un sistema con pochissime particelle e su un brevissimo lasso di tempo. E come per ogni esperimento, i suoi risultati vanno interpretati alla luce di un quadro teorico. Abbiamo insomma bisogno di `occhiali teorici’ per prevedere, forti di questo micro-esperimento, cosa avverrà in un sistema reale che possiamo studiare in laboratorio. Naturalmente i nostri `occhiali teorici’ possono essere sbagliati, ma questo non significa che ci sia un difetto della simulazione in quanto tale. Spesso, anzi, un esperimento di simulazione permette di ottenere un quadro teorico più raffinato che a sua volta consente di ridurre il grado di approssimazione della simulazione e così via”.

Grazie ai computer moderni, oggi si possono fare simulazioni che 10 o 15 anni fa, probabilmente, nemmeno si riuscivano a immaginare. Di questo passo non si corre il rischio di un progressivo “scollamento” rispetto alla realtà degli eperimenti?

“Innanzi tutto si può constatare che, nonostante oggi i calcolatori siano 1000 o 10 mila volte più veloci, il tempo impiegato per effettuare una simulazione non è diminuito in modo significativo. Questo vuol dire che la potenza dei computer è stata impiegata soprattutto per svolgere simulazioni più raffinate, a partire da modelli in cui il grado di approssimazione introdotto è sempre minore. Certo il `rischio’ che qualcuno tenda a verificare delle teorie solo con la simulazione, slegandosi dalla realtà sperimentale, c’è. Ma la ritengo comunque un’attività sensata e ragionevole, anche perché nessuno può prevedere cosa ci riserva il futuro. Una ventina di anni fa alcuni matematici elaborarono teorie che sembravano completamente slegate da qualsiasi applicazione e che oggi, invece, vengono impiegate in settori della fisica delle particelle elementari. Qualcosa di analogo si potrebbe verificare anche per simulazioni che oggi ci appaiono particolarmente `spinte’. Poi c’è da sottolineare anche il fatto che le simulazioni ci permettono spesso di arrivare in zone che sfuggono alla possibilità di un esperimento reale”.

Ma che rilevanza può avere effettuare una simulazione proprio quando non c’è la possibilità di verificare con un esperimento la sua validità?

“Vi sono casi in cui per interpretare un fenomeno vengono avanzate due teorie, magari molto diverse, che però danno le stesse previsioni per i risultati sperimentali. Un esperimento, insomma, non riesce a discriminare tra le due teorie. Le differenze tra i due modelli potrebbero invece emergere laddove gli esperimenti sono `cechi’. In questi casi la simulazione può essere decisiva e permettere di scegliere tra le due teorie. Ora, se ho una teoria che da un lato si accorda correttamente con i dati sperimentali e dall’altro, dove i dati sperimentali non si possono ottenere, è suffragata dal risultato di una simulazione, bisogna avere argomenti molto solidi per confutarla. Un altro caso interessante è quello delle simulazioni di sistemi a 4 o più dimensioni. E’ naturale che non si possono fare esperimenti reali su questi sistemi, dato che il nostro mondo di dimensioni ne ha 3. D’altra parte alcune teorie fornsiscono dati più precisi proprio quando vengono sviluppate in dimensioni maggiori di 3. Se trovano conferma con un `esperimento simulato’, questo può costituire un buon punto di partenza. E permettere di concentrarsi nel trovare quelle correzioni che rendano soddisfacente la teoria anche a 3 dimensioni, in modo da poterla poi verificare con un esperimento reale”.

Un’ultima domanda, professore. Cosa sta “simulando” attualmente nelle sue ricerche?

“In questo momento stiamo lavorando su materiali piuttosto comuni, ma molto interessanti per la fisica dei solidi: i vetri. Stiamo cercando di capire come e preché si forma un vetro. Cioè i meccanismi per cui raffreddando un liquido in certe condizioni non si forma un cristallo, in cui gli atomi sono disposti in modo preciso e ordinato, ma un materiale con una viscosità praticamente infinita i cui atomi sono “disordinati”: appunto un vetro. Il quadro teorico che stiamo tentando di verificare fornisce previsioni su quantità che, per ora, non sappiamo come misurare. Quindi, accanto a ricercatori che studiano la possibilità di effettuare esperimenti e misure reali, noi ci occupiamo di una serie di simulazioni di questi sistemi che possono dare alcune indicazioni sulla validità delle nostre teorie”.

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