Hanno pesato il quark top

Sono passati vent’anni dall’apertura della caccia al “top”, l’ultimo dei sei quark previsti dal Modello Standard, la teoria che descrive le interazioni nucleari. Ora, a due anni dalla cattura avvenuta nei laboratori del Fermilab di Chicago, la sua massa è stata misurata con una notevole precisione rispetto alle stime precedenti. Studiando i dati raccolti negli ultimi due anni al Fermilab dall’esperimento chiamato D0, gli scienziati hanno ottenuto questo risultato con un procedimento indiretto. Infatti non è possibile isolare un quark e l’unico modo di risalire alla sua presenza è osservare le particelle in cui si trasforma. La misura «può essere paragonata alla stima della grandezza di un chicco di grandine basata sull’ammaccatura che ha prodotto sulla vostra autovettura», come afferma Erich Varnes, uno degli scienziati autori della ricerca.

In pratica si parte dallo scontro di protoni e antiprotoni (protoni fatti di antimateria). Questi sono accelerati in modo che dall’impatto nascano due quark top e poi si osservano le particelle presenti nello stato finale. Tra i vari prodotti possibili, quelli più utili per individuare il quark sono elettroni o muoni, che, per quanto rari, sono facili da riconoscere nei rivelatori e indicano la possibilità che si sia prodotto un top. Elettroni e muoni potrebbero essere infatti conseguenza del processo di trasformazione (o decadimento) di uno dei quark top o di entrambi dando origine a due scenari diversi.

D0 disponeva di circa trenta eventi del primo tipo e cinque del secondo e li ha utilizzati per ricavare la massa del top. Si sono così ottenuti due risultati in accordo tra loro e che combinati restituiscono una massa pari a 172.0 GeV/c^2 (1 GeV è pari a un miliardo di elettronvolt e c è la velocità della luce). Inoltre, l’accordo tra le due misure smentisce quelle teorie che ipotizzano la presenza di qualche particella ancora sconosciuta nascosta dietro gli eventi in cui entrambi i top decadono in elettroni e muoni. E in questo senso costituisce un nuovo punto a favore del Modello Standard che, con la sua rappresentazione della natura dell’universo, sembra ancora una volta avere successo nel descrivere le forze tra i leptoni e i quark.

Per comprendere l’importanza del risultato, occorre collocare questo tassello in un mosaico che si è cominciato a comporre nel lontano 1977, quando la scoperta del quark “bottom” (il quinto in ordine di massa crescente) portò a ipotizzare l’esistenza di un suo compagno. Di questa nuova particella si sapeva quasi tutto teoricamente, sia come produrla, sia quali sarebbero stati i suoi modi di decadere in particelle più leggere, ma non si aveva, come non si ha tuttora, una previsione teorica di una sua proprietà fondamentale e cioè la massa. Infatti nel Modello Standard le masse delle particelle sono parametri e il loro valore non è spiegabile.

L’unica cosa certa era che il top doveva avere una massa superiore a quella del bottom, pari a tre volte la massa del protone. Si tratta di valori talmente alti che solo con particolari collisori di particelle si poteva avere una qualche speranza di raggiungerli e quindi di scoprire l’ultimo quark. Cioè utilizzando macchine come gli acceleratori di particelle, in cui elettroni e positroni o protoni e antiprotoni si urtano frontalmente, si annichilano e tutta la loro massa si trasforma in energia.

I primi risultati provennero dal Cern e furono poco incoraggianti. Infatti con le energie raggiunte dal collisore di elettroni e positroni che aveva avuto successo nella scoperta dei bosoni W e Z, non si riuscì a produrre nessun evento in cui fosse presente un quark top. E dal 1990 fu chiaro che esso doveva avere una massa ancora più grande del W. La palla passò quindi a Tevatron, l’acceleratore in cui vengono fatti scontrare protoni e antiprotoni e ai due esperimenti situati nelle zone di interazione, il Collider Detector at Fermilab (Cdf) e il già nominato D0. I rivelatori di particelle hanno raccolto un numero significativo di dati tale da portare nel 1995 alla scoperta del top da parte del Cdf.

Successivamente altri due anni di esperimenti hanno fornito il campione dal quale si è ora potuta ricavare la misura della massa. Ma questo risultato non è ancora definitivo. Infatti entro il 1999 sia gli acceleratori del Fermilab che i due esperimenti Cdf e D0 saranno perfezionati per generare nuovi eventi da studiare. E un campione più grande di dati non potrà che migliorare la misura, aprendo la strada, come sostengono molti scienziati, alla comprensione dell’origine di tutte le masse.

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