Una Woodstock per gli hacker

    “I veri hacker non hanno niente a che fare con i criminali che usano il computer per rubare o compiere atti di terrorismo. Sono appassionati, il cui unico scopo è ampliare la propria conoscenza. Una volta la rete era appannaggio dei militari e del mondo accademico, gli hacker hanno dato il loro contributo per renderla accessibile al vasto pubblico. Internet è anche opera loro”. Rop Gonggrijp parla per esperienza personale: hacker fin dagli anni ‘80, oggi è gestore di uno dei maggiori provider olandesi. E tra una chat e l’altra quest’estate Gonggrijp e i suoi amici hanno anche organizzato il più grande raduno europeo di hacker della storia. Una Woodstock dell’informatica, intitolata Hacking in Progress, che dall’8 al 10 agosto ha richiamato più di 2.500 appassionati ad Almere, una cittadina alle porte di Amsterdam. “Molti di noi hanno messo a frutto la loro esperienza”, prosegue Gonggrijp, “Oggi le compagnie ci pagano per verificare la sicurezza dei loro computer, lo stesso Ministero degli Interni ha assunto degli hacker come consulenti”.

    Il raduno, annunciato in rete da mesi, è stato un curioso mix di alta tecnologia e vacanze in campeggio. Accanto a tende, sacchi a pelo e zaini c’era infatti la più vasta rete Ethernet non militare all’aria aperta della storia delle comunicazioni telematiche. L’ha realizzata l’organizzazione che ha anche fornito la corrente elettrica e una rete a fibra ottica da 60 Kbytes al secondo per collegare tutti i computer dei partecipanti. In un prato vicino al campeggio, qualche buontempone aveva persino piazzato una lapide tombale in memoria di Bill Gates per protestare contro l’invadenza della Microsoft. Pare che lo stesso Gates abbia visto una foto del monumento e si sia molto divertito.

    La manifestazione si è aperta con un collegamento video in diretta con New York, dove era in corso il raduno degli hacker americani: “Beyond HOPE”, organizzato dai redattori della storica rivista hacker “2600”. La convention americana era alla sua seconda edizione, dopo “HOPE-Hackers On Planet Earth” del 1994. Poi via con il programma. Tre giorni serrati con conferenze, seminari e tavole rotonde sui benefici e i rischi delle nuove tecnologie; dibattiti sugli aspetti sociali e politici della diffusione di Internet e su temi come la censura, la criptografia, la privacy, la sicurezza delle comunicazioni attraverso i cellulari Gsm e il business dell’informatica.

    Da anni le compagnie produttrici di software di tutto il mondo lamentano notevoli perdite economiche causate dalla pirateria informatica. A maggio, la Business Software Alliance, che riunisce i produttori di programmi di 65 paesi per proteggere i diritti d’autore in campo informatico, ha presentato alla stampa un rapporto sulla diffusione del software contraffatto. Dallo studio risulta che nel 1996 circolavano in tutto il mondo 523 milioni di copie di programmi commerciali. Ma di queste, quasi la metà erano abusive: un incremento del 20% rispetto al 1995, quando erano 187 milioni le copie illegittime. La regione con il più alto tasso di contraffazioni è l’Europa dell’Est, dove l’80% del software in circolazione è “al nero”. I veri record però si registrano in Vietnam, con il 99%, e in Cina, con il 96%.

    Ma gli hacker non ci stanno e si difendono: “Non siamo noi a violare il software commerciale. Studiamo i meccanismi di difesa dei sistemi e delle reti protette alla ricerca di varchi per penetrare, ma il nostro scopo non è il furto o il danneggiamento di dati. E’ vantare un trofeo: lasciare una firma per dimostrare di aver violato il sito dell’Fbi o quello della Casa Bianca”.

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