Cybernews, la lenta crescita dell’Europa

In Italia il cybergiornalismo ancora non decolla. Lo afferma una nuova ricerca condotta dall’Anee, l’Associazione Nazionale Editoria Elettronica. Ciononostante, la nostra penisola non è il fanalino di coda: la stessa tendenza, infatti, coinvolge l’Europa intera. I numeri dicono che all’inizio del ‘97 il vecchio continente raccoglieva appena il 15,8 per cento dei giornali on line, rispetto al 65,8 per cento degli Stati Uniti. Un dato confermato anche da una recente indagine dell’American Journalism Review: nove dei dieci giornali digitali più “letti” nel mondo sono statunitensi. E non a caso, dato che il 10 per cento dei cittadini statunitensi si collega ogni giorno a pubblicazioni editoriali on line. Un fenomeno favorito, senz’altro, dallo scarso numero dei giornali cartacei nazionali, dalla presenza su vasta scala della fibra ottica, dalla politica liberista e, non da ultimo, dalla vastità del territorio.

In Italia lo scenario è invece completamente diverso. Oltre la metà degli editori dei quotidiani più venduti in edicola non è ancora entrata nell’orbita digitale: su cinquanta testate stampate ogni giorno, solo ventiquattro sono presenti in rete. Ancora più nero il capitolo periodici. Se si prendono in esame i 160 settimanali e mensili più diffusi, si scopre che appena 45 hanno allestito un sito, mentre 115 (oltre il 70 per cento) stanno ancora alla finestra. E come se non bastasse, secondo la ricerca dell’Anee quasi il 50 per cento dei quotidiani nazionali consultabili on line costituisce una presenza interattiva solo potenziale, dato che la loro periodicità di aggiornamento è assai meno celere di quella su carta. Secondo Federico Reviglio, responsabile dei servizi editoriali de La Stampa, in Italia “possiamo essere ottimisti, se guardiamo alla vastissima area di mercato potenziale, oppure pessimisti, se rileviamo che l’informazione giornalistica non riesce a uscire dai ristretti campi in cui è nata”.

Ancora più disarmante il dato che riguarda il contenuto dell’informazione elettronica. Purtroppo moltissime pubblicazioni on line non sono altro che riproduzioni degli articoli stampati su carta. Considerato che leggere una pagina stampata è assai meno stancante di consultare il video – la lettura sullo schermo del pc è il 30 per cento più lenta di quella su carta e il 25 per cento più faticosa – quale vantaggio ricava l’utente dal collegamento telematico? Un articolo privo di link e composto con un linguaggio tradizionale non produce alcun valore aggiunto. La fruizione attiva, figlia della navigazione spontanea, non ha in questo modo alcuna possibilità di essere attivata. Il redattore del giornale telematico deve perciò sviluppare una tecnica di costruzione degli articoli adeguata al mezzo: linguaggio asciutto e poco ricercato, frasi stringate, link e rimandi ipermediali. Ma secondo recenti ricerche, i giornalisti faticano ad adattarsi al nuovo stile. E si giustificano sostenendo che sono ancora poche le testate in rete a possedere una redazione esclusivamente digitale. Dunque, i cronisti non potrebbero esercitarsi pienamente nella tecnica più idonea all’on line.

Eppure, al di là di queste difficoltà, oggi per mettere in piedi una struttura redazionale di medio livello non occorrono risorse tecniche superlative: bastano alcuni computer forniti di modem, un server, un buon manuale per il linguaggio Html e una redazione in stretto contatto con il giornale cartaceo (un modello organizzativo di spessore è il Wall Street Journal, http://www.vsj.com). Insomma, gli strumenti elettronici non sono così onerosi come sembra. Una recente ricerca americana, condotta da Domenica Mensig, dell’Università di giornalismo del Nevada, rivela che gli editori di un giornale on line investono appena il 14 per cento del budget all’hardware, mentre la fetta più grande viene riservata ai salari dei giornalisti.

Qual è allora il destino del giornalismo in rete? La ricerca dell’Anee ha messo in luce alcuni dati inaspettati. Innanzitutto, cresce l’uso dell’interattività, una delle caratteristiche più importanti di Internet: quasi tutti i giornali on line, quotidiani o periodici, hanno allestito uno spazio dedicato allo scambio di messaggi con gli utenti (e-mail, forum, gruppi di discussione, e così via). Diversi quotidiani digitali prevedono, inoltre, la presenza di messaggi pubblicitari. E il solo fatto che la pubblicità sia entrata nel circuito del cybergiornalismo è estremamente indicativo: significa che la rete comincia a suscitare interesse, anche quello economico.

Sono invece del tutto sfumate le speranze di sovvenzionare l’informazione telematica attraverso l’abbonamento dei lettori. In occasione dell’ultima edizione della Interactive Newspaper Conference (nel marzo ‘97) si è appreso che l’89 per cento dei giornali on line non richiede agli utenti finanziamenti di alcun genere. Chi ci ha provato, tranne il Wall Street Journal, ha dovuto fare marcia indietro. “A meno che non si tratti di informazione specializzata, i lettori on line hanno a disposizione troppe riviste gratuite per accettare l’idea di sottoscrivere abbonamenti”, tagliano corto Martignago, Pasteris e Romangnolo autori di “Sesto potere” (Apogeo, 1997). In Italia sono rimaste solo tre testate a mantenere la formula a pagamento (Il Piccolo, l’Unione Sarda, Messaggero Veneto). Ma presto anche loro abbandoneranno questa formula.

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