Bambini, gioco e computer

Per il mondo della scuola l’introduzione del computer e della telematica non significa solo avere a disposizione nuovi strumenti didattici: può anche essere l’occasione per ridisegnare l’intervento formativo e concepire nuove forme di “lezione”. Se ne parla molto, forse troppo, ma c’è anche chi lavora da anni con risultati significativi. Uno dei filoni più fertili, in questo contesto, è l’impiego del computer in ambiente ludico. Di questo si è parlato il 6 novembre scorso al Museo della scienza e della tecnica di Milano, nel corso del convegno “Bambini, gioco e computer”.

Ad aprire gli interventi, sul tema “Giocattoli per pensare”, è stato di Mitchel Resnick, collaboratore di Seymour Papert al Massachusetts Institute of Technology di Boston nel gruppo di ricerca “Epistemologia e apprendimento”. Seymour Papert, matematico, pioniere nel campo dell’intelligenza artificiale, negli anni Cinquanta lasciò il Sud Africa (militava nel movimento anti-apartheid) e raggiunse Ginevra, dove collaborò con Jean Piaget (il più grande studioso dello sviluppo cognitivo del bambino) fino al 1963. Dal 1964 lavora al Mit di Boston, dove, con Marvin Minsky, ha fondato il laboratorio per l’Intelligenza artificiale.

Secondo Papert, il computer in classe permette di concretizzare i principi pedagogici del “costruzionismo”. Le sperimentazioni con i bambini sono iniziate nel 1984: il gruppo americano ha avviato un’intensa collaborazione con la Hennigan School, una scuola elementare pubblica di Boston e le idee di Papert si sono trasformate in realtà. L’essenza dell’opera di Papert è nel linguaggio Logo: il bambino impara, giocando, a comandare una “tartaruga virtuale” (rappresentata inizialmente da un triangolino sul monitor) che muovendosi descrive figure basate su precise relazioni geometriche. Recentemente al linguaggio Logo è stato associato il laboratorio del “Lego-Robot”: ora i bambini non si limitano a programmare i movimenti della tartaruga, ma possono progettare nuovi mondi e nuovi personaggi, costruirli e verificarne la funzionalità. Il gruppo di Papert è ora impegnato a realizzare sistemi informatici per bambini di due, tre anni, che saranno così in grado di creare nuovi micromondi.

Ed è proprio quello del “micromondo” il concetto sul quale si basa la filosofia pedagogica di Papert: l’esplorazione dell’ambiente circostante, tipico del bambino, può essere riprodotto al computer per aggiungere esperienze e per costruire conoscenza. Del resto, sostiene Papert, come i bambini imparano a parlare in età prescolare, altrettanto facilmente devono poter apprendere tutte le materie scolastiche, attraverso lo sminuzzamento e successiva ricostruzione dei contenuti. Tutto ciò, secondo Papert, è reso più semplice dall’impiego di nuovi strumenti, come le tecnologie digitali, valide alleate per la ristrutturazione dell’apprendimento in forme più “naturali”.

Di bambini e computer Papert parlava già nel 1980, con il libro “Mindstorms: Children Computers and Powerful Ideas” (tradotto in italiano da Anita Vegni per EMME Edizioni con il titolo “Mindstorms. Bambini, computers e creatività”, 1984) e più recentemente, nel 1992, con “The Children’s Machine: Rethinking School in the Age of the Computer” (uscito in Italia l’anno successivo per i tipi della Rizzoli: “I bambini e il computer”, lire 28.000). L’ultimo suo lavoro, “The connected family” del 1996, è parte di un progetto più ampio, che integra le informazioni contenute nel libro con quelle del sito Internet Mamamedia (http://www.mamamedia.com/home/my_mamamedia/home.html), nel quale viene offerta alle famiglie interessate una gamma articolata di servizi di supporto, dalla formazione alla consulenza sulla navigazione.

Su Papert sono disponibili alcuni documenti in italiano:l’intervista andata in onda su Rai Due Mediamente (http://www.mamamedia.com/home/my_mamamedia/home.html)e quella di Enrico Pasini e Filippo Viola per “Nexus” (http://www.znort.it/nexus/papert_i.html)

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