I nuovi topolinidi Seveso

Tutti siamo in grado di distinguere oggi un asino da un cavallo. Ma se vogliamo capire quali sono i meccanismi che hanno portato le due specie a differenziarsi, siamo in ritardo di almeno una dozzina di milioni di anni. Più affascinante è invece cogliere sul nascere il processo di diversificazione genetica che in un futuro altrettanto lontano sarà all’origine di una nuova specie. Così è comprensibile come negli ultimi vent’anni, con l’evoluzione delle tecniche della biologia molecolare, i biologi dell’evoluzione si interessino a casi di microevoluzione presenti in tutto il mondo.

Proprio in questo filone si inserisce la ricerca di tre scienziati italiani, pubblicata su Nature, in un articolo in cui si parla di “cattura di speciazione” tra i topi della regione della Valtellina, in particolare quelli appartenenti alla zona di Seveso. Un nome che in tutti gli italiani sopra i vent’anni riporta alla memoria l’incidente dell’Icmesa. Ma facciamo un passo indietro.

Tutto comincia con uno studio finanziato dalla regione Lombardia per il monitoraggio ambientale di un’area costituita artificialmente in seguito all’incidente avvenuto nel 1976 presso la fabbrica dell’Icmesa di Seveso, quando nell’ambiente circostante l’impianto industriale si riversarono diversi composti chimici, tra cui la famigerata diossina. A seguire il progetto di ricerca sono Silvia Garagna e Carlo Alberto Reda, biologi del Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Pavia, insieme a Maurizio Zuccotti, della Fondazione Lombardia per l’ambiente. Esplorando il “Bosco delle querce”, parco creato dopo la desertificazione della zona investita dalla nube tossica, i tre ricercatori non trovano traccia di mutazioni genetiche direttamente collegabili al disastro ambientale. Catturano invece, negli edifici situati nel parco e nelle abitazioni limitrofe, 23 topolini un po’ particolari.

Si tratta di animali dalla forma e dalle caratteristiche esteriori del tutto simili alle tre specie tipiche della zona, le Milano I, Milano II e Crema, ma che rivelano un corredo cromosomico (un cariotipo), completamente nuovo. I topi sono cioè degli ibridi, delle nuove configurazioni rispetto alle specie conosciute: lo rivelano le analisi basate su marcatori genetici e molecolari, che sono in grado di discriminare il patrimonio genetico di una specie da quello di un’altra.

“Questo ha permesso di riconoscere un primo gradino nel processo di differenziazione che porta alla formazione di nuove specie. La nostra scoperta dimostra inoltre che sebbene i tempi con i quali l’evoluzione compie i suoi processi vengano ritenuti lunghissimi, imboccando certi sentieri delineati da eventi di trasformazione cromosomica, questi tempi possono accorciarsi di molto. E i topi di Seveso ne sono una prova”, commenta Ernesto Capanna, biologo dell’Università “La Sapienza” di Roma e co-autore della pubblicazione. La grande novità del lavoro di ricerca riguarda infatti la precisa determinazione del tempo di formazione della nuova popolazione: un massimo di venti anni.

Ma cos’è in effetti una “speciazione cromosomica”, una tra le tante ipotesi formulate per spiegare l’origine delle specie? Secondo la moderna definizione, due organismi appartengono alla stessa specie se sono in grado, anche potenzialmente, di incrociarsi e produrre una progenie fertile, e quindi se c’è tra loro uno scambio di informazione genetica. Se in generale immaginiamo di avere due specie con un assetto di cromosomi differente, si possono verificare due casi.

Nel primo caso le differenze sono notevoli, come quelle che passano tra un asino e un cavallo. Se avviene un incrocio, l’ibrido risulta sterile: il mulo avrà caratteri equini e asinini, ma tra le due specie non c’è una effettiva penetrazione. Più interessante è il caso in cui le differenze sono minime, come per due specie di topi: gli incroci producono una progenie che in parte è ancora regolare e fertile, in parte è meno fertile, se non addirittura sterile.

“In natura questo processo viene a costituire delle fasce di ibridazione al confine delle due razze, differenziate per la loro costituzione cromosomica”, spiega Capanna. Gli animali ibridi con ridotta fertilità costituiscono una sorta di tampone che rallenta il passaggio di caratteri da una popolazione all’altra. E’ in una tale barriera riproduttiva tra le due popolazioni che successivi processi spontanei di mutazione, selezione naturale, porteranno a una differenziazione sempre maggiore delle caratteristiche genetiche e quindi a una nuova specie.

I 23 topi di Seveso sarebbero un esempio di questo processo. In particolare, deriverebbero dagli incroci tra le popolazioni Milano I e Milano II, venute in contatto dopo i cambiamenti del territorio causati dalla frana in Valtellina. E’ questa infatti una delle spiegazioni alle origini del fenomeno proposta dagli scienziati che mette in luce un altro aspetto interessante della scoperta : la rapidità con cui questi eventi appaiono e scompaiono. Il fatto che una nuova varietà cromosomica di topi possa affermarsi in un periodo di una decina di anni non era mai stato sospettato prima d’ora.

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