Il disarmo possibile

Una nuova politica nucleare per gli Stati Uniti. La rinuncia esplicita a usare per primi le armi atomiche, da utilizzarsi solo come mezzo dissuasivo o in risposta a un attacco nucleare nemico. La creazione di una zona denuclearizzata nell’Europa centro-occidentale e azione decisa nella direzione del disarmo atomico. E’ quanto suggerisce il Comitato sulla sicurezza internazionale e il controllo degli armamenti (Cisac) dell’Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti nel “Rapporto sul futuro della politica delle armi nucleari degli Usa”. Una sintesi del documento è stata presentata mercoledì 29 ottobre nel corso di un dibattito organizzato dall’Istituto Ugo La Malfa di Roma al quale hanno partecipato il Ministro della difesa Beniamino Andreatta, Francesco Calogero, segretario del Pugwash Council (il movimento internazionale degli scienziati per la pace), mentre l’onorevole Giorgio La Malfa ha fatto gli onori di casa.

La Guerra fredda è ormai un ricordo del passato. Ma i piani militari, in cui è previsto l’impiego delle armi nucleari, sono ancora quelli di un tempo. La strategia rimane quella di un attacco immediato e massiccio contro le forze avversarie. “Ne consegue che il pericolo che possa scoppiare una guerra nucleare per errore (cioè a causa di un falso allarme) o per un incidente (cioè per un guasto tecnico) rimane inaccettabilmente elevato”, si legge nel rapporto. E come ha fatto notare il professor Calogero, un avvertimento di questo tipo non può essere ignorato se viene da un comitato che annovera fra i suoi membri anche personaggi come il generale George Lee Butler, ex comandante in capo del Comando Strategico degli Stati Uniti, o il generale maggiore Williams F. Burns, presidente degli studi sugli armamenti nucleari ed ex direttore dell’Agenzia sul controllo degli armamenti e il disarmo degli Usa.

Si impone a questo punto un cambiamento di rotta. Al potenziale nucleare si dovrebbe concedere solo una “funzione essenziale” di risposta a un attacco atomico o alla sua minaccia. “Gli Stati Uniti non dovrebbero più minacciare di rispondere con armi nucleari ad attacchi con armi convenzionali, chimiche o biologiche”, prosegue il rapporto. Insomma: “no first use”. E se cambia la strategia, anche la struttura, la quantità e la gestione operativa delle testate dovrebbe adattarsi. Per cominciare, la Commissione chiede una riduzione delle testate e una gestione che ne aumenti la sicurezza. “Arsenali più piccoli saranno più facili da controllare e proteggere da incidenti, furti e usi non autorizzati”. Perché quello della sicurezza è uno dei temi più scottanti. “Il vero rischio, oggi e in futuro, è l’utilizzazione di ordigni nucleari da parte di organizzazioni non statali, come gruppi terroristici, sette religiose o pazzi”, ha ricordato il professor Calogero, “in giro per il mondo c’è abbastanza materiale fissile per costruire 100 mila bombe nucleari”.

E’ pur vero che con i trattati Start per la riduzione delle armi strategiche russe e statunitensi la strada del disarmo è stata imboccata da tempo. Ma solo continuando in questa direzione si riuscirà a rafforzare il regime di non-proliferazione nucleare. Fino a quando gli arsenali di Stati Uniti e Russia saranno pieni di decine di migliaia di ordigni tra quelli schierati e quelli di riserva, le potenze con arsenali più deboli riterranno inutile sottoporsi ad alcuna limitazione. Soprattutto bisogna scoraggiare gli stati con qualche intenzione di dotarsi di un dispositivo nucleare. Per esempio con strategie diplomatiche mirate a soddisfare le loro esigenze di sicurezza.

Un regime di vincoli crescenti sulle operazioni nucleari: questo, in sostanza, il programma proposto dal comitato. Sia vincoli operativi sull’uso delle armi (per esempio riducendo il livello di allerta si impedisce una risposta rapida e massiccia a un attacco), sia vincoli internazionali tra le varie potenze che dovrebbero instaurare un clima di fiducia reciproca. Si potrebbe arrivare alla creazione di un organismo internazionale che garantisca il rispetto degli accordi.

L’obiettivo a lunga scadenza è la proibizione totale delle armi nucleari. Solo così si può assicurare un’adesione universale al Trattato di non-proliferazione nucleare. Ma “il disarmo deve essere perseguito in un contesto di più ampia sicurezza internazionale, capace non solo di dissuadere o punire l’acquisizione e l’uso di armi nucleari, ma anche di dare risposta ad aggressioni importanti”, conclude rapporto.

Ma cosa ne pensa il Ministro della difesa italiano? “Iniziativa lodevole”, ha commentato Andreatta, “ma, a mia opinione, del tutto irrealizzabile”. Se le grandi potenze riducessero troppo i propri arsenali, anche le poche testate delle potenze più piccole potrebbero diventare strategicamente importanti. “Sarebbe auspicabile raggiungere la soglia di un centinaio di testate ciascuno, per salvaguardarsi dai colpi di testa di paesi male intenzionati e allo stesso tempo soddisfare le più stringenti norme di sicurezza. Bisognerebbe agire all’interno del Trattato di non-proliferazione con una politica di incentivi e disincentivi, anche con sanzioni economiche e militari, per scoraggiare sia le potenze nucleari non dichiarate, come Israele, India e Pakistan, sia quelle di cui si sospetta che stiano intraprendendo un programma nucleare, come l’Irak, il Sudafrica e addirittura la Corea”.

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