Un Nobel da Guerra Fredda

Intrigo internazionale a Stoccolma. Ma questa volta non è un film di spionaggio, anche se la protesta di alcuni accademici russi, nata dopo l’assegnazione del Nobel per la fisica ai due statunitensi Steven Chu, William Phillips e al francese Claude Cohen-Tannoudji, fa pensare all’eterna competizione tra sovietici e occidentali durante la “guerra fredda”. L’accusa: il premio sarebbe stato assegnato agli occidentali per ricerche analoghe a quelle condotte, e pubblicate, dai russi già dieci anni fa. D’altra parte, quando si tratta di Nobel, in ballo non è solo il prestigio personale, ma anche l’ammontare del premio, pari a circa un miliardo e ottocento milioni di lire.

Ma qual è il lavoro che ha fruttato il Nobel ai due fisici americani e a quello francese? Da anni i tre scienziati studiano cosa succede ai sistemi quando sfiorano i -273 °C, una temperatura vicina allo zero assoluto. Solo raffreddando gli atomi fino a pochi milionesimi di grado sopra questo limite si riescono a intrappolare e studiare con una precisione mai raggiunta. Ed è proprio questo il cuore della ricerca da Nobel: i fisici occidentali hanno costruito una trappola per atomi sfruttando le proprietà dei laser. Un fascio di atomi di sodio viene bombardato con luce laser che appare agli atomi come uno spesso liquido (la “melassa otica”) nel quale essi rallentano. Tanto da essere catturati e intrappolati in un campo magnetico. La fontana di atomi, come viene chiamata questa tecnologia, permette inoltre di sparpagliare come getti d’acqua gli atomi raffreddati, frenati e intrappolati dai laser.

Naturalmente non mancano le applicazioni. Se la melassa permette infatti di indagare la struttura interna degli atomi con una precisione ancora mai raggiunta, la fontana è la base di funzionamento per orologi atomici da utilizzare nello spazio. Ma non solo, con queste tecniche sarà possibile costruire microscopici componenti elettronici e studiare il comportamento degli atomi vicini allo zero assoluto: quando, come aveva previsto Einstein, gli atomi perdono la loro individualità, mostrano un comportamento collettivo sino a sembrare un solo “super-atomo”.

E i russi? In effetti, qualche motivo di insoddisfazione ce l’hanno. La scuola sovietica è stata pioniera nello studio dell’interazione della luce con la materia, e le attuali sperimentazioni sono nate a Mosca, nell’Istituto di Spettroscopia diretto dall’accademico Vladilen Letokhov. Risultati simili a quelli che hanno meritato il Nobel erano stati pubblicati nel 1987 sulla rivista russa “Nauka” (Scienza) in un articolo dal titolo “La pressione del laser sugli atomi”. La pubblicazione, successivamente tradotta in inglese dalla casa editrice Gordon e Bridge, conteneva inoltre disegni e progetti di macchine simili a quelle realizzate da Chu, Phillips e Cohen-Tannoudji per la loro “trappola per atomi”.

Ecco allora perché il 18 ottobre, dalle pagine del quotidiano “Kommersant-Daily”, i ricercatori russi hanno sparato a zero sull’Accademia delle Scienze svedese, denunciando la parzialità del consiglio di esperti che ha poi assegnato il Nobel per la fisica: un gruppo di scienziati composto per due terzi da nord americani e per un terzo da europei.

A scrivere parole di fuoco sul quotidiano russo, in particolare, è uno dei presunti “padri” della scoperta, il fisico Vladimir Minoghin: “Conosco benissimo i premiati perché sono stato loro ospite, e posso tranquillamente affermare che la loro ricerca ha un valore scientifico medio. Noi russi in questo campo siamo molto più avanzati di loro”.

La motivazione del premio parla di una ricerca che rappresenta “un passo avanti nel campo del raffreddamento laser e una più profonda conoscenza dell’interazione fra la radiazione e la materia”. Ciò non toglie che rimane un po’ debole la risposta del comitato Nobel alle proteste degli scenziati dell’est: “Eravamo al corrente dei lavori russi, ma non erano avanzati come quelli degli altri contendenti”, ha detto il presidente Bengt Nagel. Aggiungendo: “Comprendo le rivendicazioni dei russi che, essendo in gravi difficoltà, avrebbero ricevuto dal premio un aiuto per proseguire nelle loro ricerche. Ma i lavori sono stati esaminati da persone esperte ed è falso sostenere che noi privilegiamo l’Occidente rispetto alla Russia”.

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