Lévy-Leblond, “critico scientifico”

“La scienza moderna è nata nel Seicento. Al di fuori della cultura, non esiste una cultura scientifica da contrapporre a una cultura umanistica classica. E chi vede l’esistenza di due culture da riconciliare è troppo ottimista”. Questa la tesi che Jean Marc Lévy-Leblond, fisico teorico francese, ha sostenuto nel suo intervento alla Conferenza Europea “Sapere di scienza e di tecnologia in Europa”. Obiettivo del congresso, svoltosi a Roma la scorsa settimana, era quello di riunire scienziati, responsabili politici, imprenditori, accademici, giornalisti e grande pubblico, per discutere dei diversi effetti e significati della cultura scientifica e tecnologica in relazione alla società e all’economia.

Definendosi un “critico scientifico”, nel senso in cui si parla di “critico letterario”, Lévy-Leblond ha incentrato il suo discorso su una serie di provocazioni, riguardo al problema della diffusione del sapere scientifico e tecnologico.

E in questo senso il suo intervento è stato di profonda critica all’ambiente della ricerca scientifica. Un mondo specializzato e frammentario e caratterizzato da una enorme perdita di credito culturale. D’altra parte, secondo lo scienziato, “la frammentazione è già una forma di non-cultura se si pensa alla cultura come unica. E l’unico modo per superare il problema di una profonda dis-cultura degli addetti ai lavori è quello di rimettere la scienza in cultura”.

Ma quali sono le basi e le prove di questo ragionamento, e quali le strade per migliorare la situazione?

“Se si analizza la scienza del ventesimo secolo al suo interno – è il parere del fisico francese – si osserva un’evoluzione non lineare che presenta strani fenomeni di isteresi: alcune teorie si evolvono, vengono accantonate e poi riprese per essere utilizzate in altri contesti. E questo evidenzia continui circoli che riportano al passato. Un esempio è l’aver recuperato, con la moderna teoria dei fluidi, il formalismo matematico ottocentesco di Poincaré, che era stato abbandonato”.

“Troppo spesso – dice – si assiste a una perdita di qualità e di pertinenza nella ricerca scientifica: basti pensare all’enorme massa di pubblicazioni mediocri che non portano a nulla di nuovo, o a casi eclatanti di “truffe scientifiche” come la fusione fredda o la memoria dell’acqua£.

Continua Lévy Leblond: “La situazione è peggiore se si considera il mondo scientifico in relazione al mondo esterno. Dietro una certa idea di semplicità nella divulgazione, si nasconde infatti una profonda incultura degli scienziati, e molta superficialità nei dibattiti su temi che riguardano anche la società. Inoltre, le tante promesse fatte dagli scienziati negli anni Cinquanta si sono rivelate impossibili da realizzare. Se durante l’età d’oro della fisica si pensava che si sarebbe arrivati presto ad avere l’energia nucleare a domicilio o addirittura energia gratis per tutti, i fatti hanno smentito tante aspettative”.

“La biologia si trova attualmente nella stessa situazione in cui era la fisica quarant’anni fa. Ma guardare al passato può aiutare gli scienziati a essere più cauti nell’evitare certe promesse”. Emerge così l’atteggiamento suggerito da Lévy-Leblond: una maggiore attenzione alla storia per ricomporre le tappe del percorso scientifico e arrivare a una nuova figura di scienziato. E’ chiaro che il ricercatore di oggi non avrebbe avuto senso nel passato, quando esisteva la figura del “savant”, lo scienziato intellettuale che aveva molti ruoli e funzioni. Ma è a questa figura che ci si può riferire per formare chi farà ricerca in modo che sappia comprendere di storia, filosofia, economia, senza limitarsi esclusivamente al suo campo di azione.

L’Europa, facendo leva sulle proprie tradizioni storiche e culturali, forse è ancora in tempo per riuscire a ricollocare la scienza all’interno della cultura. Con l’idea di puntare a nuovi obiettivi, evitando di abbandonarsi a una facile nostalgia del passato.

“Il vero pericolo è che sia ormai troppo tardi”, avverte Lévy-Leblond, chiudendo il suo provocatorio intervento. “Abbiamo assistito alla nascita, all’evoluzione e alla fine di importanti episodi scientifici, basti pensare a tutto ciò che si è concluso per civiltà come i greci, gli arabi o i cinesi. Nessuno ci dice che anche la nostra scienza, ormai trasformata in tecnoscienza, non sia in procinto di arrestarsi”.

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