Scienza e kalashnikov

E’ di alcune settimane fa la notizia che gli studenti algerini sono scesi in piazza per protestare contro il governo per le precarie condizioni di vita negli alloggi universitari statali e la loro ridotta capienza: dall’inizio di quest’anno accademico ben 1800 studenti nella sola città di Algeri sono rimasti senza un tetto. Gli studenti rivendicano però anche infrastrutture migliori, biblioteche più fornite ed efficienti, oltre che un maggior numero di insegnanti. Ma che cosa c’è dietro questo malessere? In che modo gli avvenimenti che insanguinano l’Algeria da oltre cinque anni condizionano l’insegnamento universitario e la ricerca scientifica?

Nel dramma oggi in atto nel paese africano, soffocato tra le violenze degli integralisti islamici e la repressione del governo militare, ottenere informazioni imparziali non è certo facile. Le voci, spesso incontrollate, si susseguono. Poche sono le certezze. Di sicuro, tra i parlamentari democraticamente eletti nel dicembre 1991 nelle file del Fis – il Fronte islamico di salvezza che, benché avesse vinto il primo turno elettorale, fu dichiarato fuorilegge dal governo militare – erano numerosi gli scienziati. Lo stesso presidente della delegazione parlamentare del Fis era un fisico nucleare. E molti di costoro hanno dovuto lasciare il paese dopo lo scioglimento del partito il 4 marzo 1992. Il solo Dipartimento di Fisica dell’Università di Algeri ha perso dieci tra i suoi docenti migliori.

Lo scoppio della guerra civile ha creato un clima di incertezza generale. Buona parte degli intellettuali algerini, fautori di una conciliazione nazionale, è stata minacciata dal movimento islamico e si è sentita in serio pericolo. Si può quindi parlare di una vera e propria “fuga di cervelli” dall’Algeria. Un fenomeno che all’inizio del ‘95 aveva già coinvolto, secondo i dati del Ministero algerino dell’Università, ben 1500 docenti. La conseguenza è stata un impoverimento culturale del paese. La ricerca scientifica, che in settori specifici come la matematica e la fisica nucleare era particolarmente avanzata, è stata fortemente penalizzata. Inoltre, l’assenza di docenti di alto livello ha reso problematica anche la trasmissione del sapere e la formazione dei nuovi quadri del paese.

Eppure le cifre ufficiali rimangono di tutto rispetto. Secondo un rapporto presentato nei giorni scorsi al parlamento algerino, l’insegnamento universitario può al momento contare su 16.200 docenti facenti capo a 14 università, 13 centri parauniversitari, 29 istituti di insegnamento superiore e 16 istituti di ricerca. Da un anno la lingua ufficiale dell’insegnamento è diventata la lingua araba. Gli studenti sono in totale 341.000, l’80 per cento dei quali vive nelle abitazioni delle città universitarie gestite dal governo.

La protesta studentesca che si è accesa in autunno in tutta l’Algeria, sino a dieci anni fa destinata a diventare uno dei paesi più floridi dell’Africa, ha quindi una spiegazione logica. Come se non bastasse, la grossa crisi economica che ha colpito il paese negli anni Ottanta a seguito del crollo dei prezzi del petrolio e dal gas ha avuto forti ripercussioni sulla comunità accademica, che si è vista tagliare drasticamente i fondi per la ricerca. Inoltre, essendo sino ad ora i finanziamenti di provenienza quasi esclusivamente statale, la ricerca finisce per dipendere dalle decisioni governative. Solo recentemente alcune associazioni non governative, come per esempio l’OMS, sono riuscite a inserirsi in alcuni progetti di ricerca. Ma è una strada ancora lunga da percorrere, che deve necessariamente passare per una maggiore apertura verso i paesi stranieri e il reinserimento dell’Algeria in progetti di ricerca internazionali.

Tuttavia lasciare l’Algeria non è stata negli ultimi anni, e non lo è adesso, un impresa facile. Ed è comunque esiguo il numero di coloro che hanno potuto ottenere il visto per l’espatrio rispetto a quello di chi vorrebbe andarsene. In particolare, dopo l’ascesa al potere nel 1994 del generale Zeroual, soltanto chi ha potuto contare su forti legami con centri di ricerca stranieri, che fungono da garanti, è riuscito ad abbandonare il paese e a trovare lavoro all’estero.

Per i ricercatori algerini è un’impresa ottenere il visto anche soltanto per partecipare a conferenze all’estero. Minacce più o meno velate da parte degli integralisti hanno infatti costretto negli ultimi anni molte ambasciate occidentali ad Algeri a ridurre drasticamente il personale o addirittura a chiudere i battenti. Le operazioni per ottenere l’espatrio sono dunque divenute sempre più complesse: per esempio, i tempi di attesa medi per la Francia sono attualmente di 6-7 mesi circa. Inoltre, le tariffe altissime della compagnia aerea di stato, che detiene il monopolio del traffico, sono un grosso deterrente per chi vuole emigrare. Una situazione che non incoraggia certo gli stranieri a recarsi in Algeria: i grossi convegni internazionali che si tenevano di frequente nel paese nordafricano sono da alcuni anni solo un ricordo.

Ma anche chi è riuscito a trasferirsi all’estero non ha avuto vita facile. Dietro la facciata del professore accolto a braccia aperte da Università di tutto il mondo c’è un piccolo esercito di ricercatori che vive grazie a contratti a termine. Recentemente un gruppo di studiosi algerini residenti in Francia ha creato un sito Internet per convogliare informazioni e dibattiti su iniziative di solidarietà per l’Algeria e in particolare sui problemi dell’insegnamento universitario. Una posizione sostenuta anche da Amnesty International, che accusa le autorità del governo algerino di avere forti responsabilità nelle violenze compiute nei confronti di personaggi della cultura. Lo scopo di queste denunce è quello di stimolare l’interesse dell’opinione pubblica sul problema dell’impoverimento culturale dell’Algeria. Un dramma nel dramma che finora è passato sotto silenzio.

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