Crescere con i bit

Ryan McNealy ha quattro anni, e come tanti bambini americani, guarda troppo la televisione. Così il papà decide di regalargli un computer e tanti bei programmi divertenti. Fra questi c’è “Reader Rabbit”, una serie di storie raccontate mentre il testo scorre sullo schermo. Il papà è contento del successo del nuovo gioco, e il bambino per alcuni mesi sembra aver dimenticato la tv.

Finché un giorno Ryan chiama i genitori e carica sul computer una storia digitale, che comincia a leggere dallo schermo. Poiché nessuno gli ha insegnato a leggere, l’unica spiegazione è che abbia imparato tutto a memoria. Ma il successo di Ryan si manifesta anche davanti ad un libro che non aveva mai visto. E cresce quando esibisce gli esperimenti scientifici che ha imparato dai programmi interattivi.

“Immaginatevi ora di essere la sua maestra d’asilo”, commenta Don Tapscott, l’autore di “Growing up digital, the rise of the Net Generation (McGraw-Hill, New York 1998). Il caso di Ryan McNealy non è che un esempio, e fra i più semplici, di come le nuove tecnologie stanno cambiando l’istruzione. Ovviamente è il cyberspazio di Internet a dare la scossa definitiva alle vecchie aule. Il punto centrale, afferma l’autore, è il passaggio da un’istruzione di tipo “broadcast” (“da uno a tutti”, come nei programmi TV) all’interattività. Le conseguenze prospettate sono entusiasmanti, e sembrano uscite dai sogni degli insegnanti più rivoluzionari. Nel catalogo dei successi attesi, puntigliosamente enumerati, ci sono punti come: “Dall’insegnante come trasmettitore all’insegnante come agevolatore”, e “Dallo studio come tortura allo studio come piacere”.

Ma, come dichiara il titolo del libro, non si tratta solamente dello sviluppo di una nuova tecnologia applicata efficacemente alla didattica. Secondo Tapscott, qualcosa di ancora più importante sta avvenendo. E’ in atto una vera e propria rivoluzione antropologica. “La Net Generation è arrivata!” afferma perentorio. Il tempo di crescere, e la N-Generation, la prima ad essere circondata dai media digitali collegati in rete, “imporrà la sua cultura al resto della società. Saranno loro il motore della trasformazione sociale. Sono pochissimi i genitori che capiscono cosa fanno i loro figli nel cyberspazio. E l’istituzione scolastica deve affrontare studenti che spesso sono più abili dei loro insegnanti nella cyber-comunicazione e nei nuovi metodi di apprendimento”.

Nessuno oggi è in grado di dire se il quadro tracciato da Tapscott corrisponda al vero. L’ottimismo implacabile che lo pervade assume a volte il tono alto della profezia, più che l’andamento rigoroso della dimostrazione scientifica. Eppure è un libro scritto con un metodo e sulla base di un’osservazione “dal vivo” estremamente originali ed interessanti. Per più di un anno un gruppo interdisciplinare di ricercatori ha tenuto i contatti in rete con centinaia di giovani dai 4 ai 20 anni distribuiti in sei continenti. E’ stato creato un apposito sito che è stato la fonte fondamentale per la ricerca e le discussioni. “Il libro è stato scritto in Internet”, dalla fase dell’analisi dei dati a quella dell’editing. E ancora oggi nel sito è possibile trovare molte utili informazioni.

Se i dati, e il metodo di elaborazione, su cui Tapscott basa le sue affermazioni non sono scientificamente verificabili, il suo metodo di osservazione ha comunque dato vita ad uno dei primi osservatori “in” Internet. Un’idea che forse può aprire nuove strade allo studio di cosa sta succedendo nel cyberspazio. E c’è da augurarsi che altre ricerche confermino il benefico influsso dello spazio digitale sulla N-Generation “Secondo i risultati della nostra ricerca, i figli dell’era digitale sembrano essere più svegli e tolleranti nei confronti della diversità. Sono curiosi, in grado di farsi valere, fiduciosi in se stessi e dotati di spirito critico: amano confrontarsi e discutere. Non credo ci sia nulla di più importante per il futuro”.

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