Dove finisce l’Universo

What You See is What You Get: questa frase inglese e la sua impronunciabile abbreviazione WYSWYG compare sempre più di frequente sulle confezioni dei prodotti made in USA. Non importa che si tratti di software destinato ad un impiego “friendly” del computer o di argentee scatole di prodotti alimentari… Un amico da poco di ritorno da Los Angeles mi assicura di aver visto la famosa sigla campeggiare con luci multicolori all’ingresso di un noto locale dove si esibiscono generose spogliarelliste.

“Quel che vedi è quel che avrai”: i consumatori vogliono essere rassicurati del contenuto. Non c’è forse da stupirsi se un astrofisico di Princeton, Jim Peebles ha usato di recente la stessa frase per descrivere le nuove tendenze della cosmologia. Anche i cosmologi hanno bisogno di essere rassicurati. Basta con le idee fumose e le ipotesi fantascientifiche: l’Universo è quel che vediamo. Stelle, galassie, ammassi di galassie, filamenti, walls, vuoti, radiazione di fondo, Gamma burst: un inventario di segnali e di oggetti che strumenti elettronici catalogano e classificano con la stessa asettica efficienza con cui le macchine automatiche immettono un numero predeterminato di fagioli nelle confezioni di “Hungry-Man” nei supermercati americani.

Per rendere l’operazione ancora più impersonale e, si immagina, più veritiera, un gruppo di ricercatori alla Carnegie Institution, Washington DC, diretto da Vera Rubin (allieva di George Gamow) ha asservito un potente telescopio a un calcolatore, addestrato quest’ultimo a riconoscere le galassie e… il gioco è fatto: in un anno sono state catalogate circa 20mila galassie; dopo cinque anni di lavoro (del computer) si sfiora il milione di galassie. Per ognuna sono indicate ascensione retta, declinazione e distanza. Immaginate per un momento di porre a questa nuova generazione di astrofisici il quesito: quali sono i confini dell’Universo? Risponderebbero immediatamente “abbiate pazienza, non vedete che stiamo ancora contando?” Con la completa fiducia che, catalogata l’ultima galassia, si avranno a disposizione tutte le informazioni sulla struttura del contenitore, di quella confezione- regalo che il Buon Dio ci offre e che noi chiamiamo Cosmo.

La Big Astrophisics

Probabilmente era inevitabile che la cosidetta Big Science con la sua ingordigia tecnologica finisse con l’impadronirsi anche dell’astrofisica, trasformandola in una gigantesca Banca-Dati con gli astronomi relegati a svolgere il ruolo di noiosi notai: personalmente non crediamo che ciò sia un bene, né che il tutto corrisponda a una maggiore obiettività. I nostri antenati, forse anche perché utilizzavano una assai più semplice impalcatura tecnologica, nutrivano un sano scetticismo verso l’uso indiscriminato delle osservazioni: Aristotele aveva sviluppato una sua Teoria della Visione dove la raccolta dei segnali e la loro interpretazione non erano due momenti separati e sequenziali, ma simultanei, cosicché la scelta stessa dell’oggetto era guidata da un codice personale: in breve, sosteneva Aristotele, noi vediamo quello che vogliamo vedere. Certo, su questa via il celebre filosofo giungeva a negare la realtà della prospettiva, relegando la geometria euclidea a un astratto esercizio mentale, e negandosi così la possibilità di fondare la scienza fisica migliaia di anni prima di Galilei.

Ma pure nelle sue considerazioni c’era qualcosa di profondamente vero. Il moderno impiego di CCD (Charge Coupled Device, mosaico di sensori a stato solido che consente di rilevare le immagini e passarle direttamente CCD calcolatore) e computer sembrerebbe capace di eliminare il problema sollevato da Aristotele, spersonalizzando l’operazione. In realtà lo esaspera. Consideriamo, per esempio, il lavoro del gruppo di Vera Rubin: il calcolatore è addestrato ad identificare galassie simili alla nostra. Densi agglomerati di stelle, pigiati entro poche migliaia di parsec di distanza, e che per ciò stesso brillano come un unico faro luminoso nell’oscurità. Immaginiamo ora una galassia con lo stesso numero di stelle della Via Lattea ma diluito su distanze dieci volte maggiori: la massa complessiva resta invariata, come pure l’emissione di energia, ma la brillanza superficiale è diminuita di cento volte.

L’oggetto diviene scarsamente visibile e si confonde con lo sfondo luminoso del cielo. Esistono simili “galassie”? Gli astronomi ne hanno osservate alcune, quelle non troppo lontane sì da divenire irriconoscibili, e le stime ci dicono che forse sono numerose tanto quanto le normali galassie, forse di più. Ma il computer di Vera Rubin non è addestrato a riconoscerle: se un astronomo, invece di una CCD, stesse al telescopio, forse incontrando uno di questi oggetti avrebbe un sussulto, un dubbio. Il computer no, semplicemente è istruito a non vederli e non riconoscerli. Il computer realizza in pieno l’ipotesi aristotelica che “noi vediamo quello che vogliamo vedere”.

Un altro esempio? Allineate in direzione di lontani Quasar sono state scoperte numerose nubi di idrogeno neutro: gli atomi di idrogeno diffondono la luce del Quasar in corrispondenza di una riga di eccitazione dell’idrogeno, chiamata Lyman-alpha. Si sono osservate tante di queste righe da parlare di ”Lyman-alpha forest”. Molte delle nubi viste hanno massa confrontabile con quella di una galassia: forse questi sono gli oggetti più numerosi e più massicci dell’Universo. Di nuovo il sistema automatico della Rubin non è in grado di vederli. Certo i giovani ricercatori impegnati nel progetto hanno tutto il diritto di rispondere al nostro quesito chiedendoci di lasciarli in pace a contare: il dubbio rimane su ”cosa” stanno contando e se questo qualcosa alla fine sarà davvero l’elemento più importante nella struttura dell’Universo.

Esistono esempi molto più sottili di come le nostre osservazioni, a dispetto della tecnologia impiegata, restino guidate da un codice che è in parte personale e in parte determinato dalla cultura dominante della società in cui viviamo. Il lavoro di catalogazione intrapreso dagli astronomi ha l’obiettivo di misurare le proprietà medie dell’Universo: i conteggi di galassie forniranno, alla fine, la densità media della materia, le velocità medie, la luminosità media ecc. L’intera operazione si basa quindi sul presupposto che queste quantità medie esistano.

Fin dall’Ottocento tuttavia i matematici hanno mostrato che possiamo immaginare distribuzioni per le quali i valori “medi” perdono di significato in quanto dipendono dalle dimensioni del campione: queste sono le cosidette strutture frattali. Ovviamente non c’è ipotesi che faccia di più inquietare i cosmologi di quella che l’Universo abbia una struttura frattale: eppure i dati fino ad oggi raccolti possono essere interpretati proprio in questa direzione, come ha di recente mostrato Luciano Pietronero, fisico teorico di Roma, la densità media derivata dai conteggi di galassie sembra diminuire regolarmente con l’aumentare della zona esplorata. Certo, è possible che i dati siano incompleti, come abbiamo già avuto modo di illustrare negli esempi precedenti, così da simulare una decrescita che in realtà non esiste: questa è, ad esempio, l’opinione di Peebles.

Ma è un ben strano atteggiamento quello di una tecnologia che basa la giustificazione del suo operato sulla sua incapacità di eseguire misure soddisfacienti. In realtà a guidare i cosmologi nella loro opera di conteggio c’è la antica idea di un Universo che non può essere disordinato e disomogeneo, ma che, almeno al di là di una certa scala, deve assumere quell’aspetto di ordine ed omogeneità degno di un’opera divina. Così se i conteggi non corrispondono a questo principio superiore sembra probabile che essi siano incompleti. E’ questa una visione oggettiva della natura?

La conoscenza è da psicanalizzare

Il lettore potrebbe pensare che ci stiamo avviando ad un dibattito sulla oggettività della scienza. Anche se questa non è la nostra intenzione, diciamo subito che siamo convinti della presenza di un lato soggettivo nella ricerca; anzi, a costo di far inorridire alcuni colleghi, riteniamo che questo sia il vero aspetto creativo e interessante del processo conoscitivo. In ogni caso, esistono delle discipline particolari, quali per esempio la Cosmologia, e delle domande chiave, come quella che vogliamo porre sui confini dell’Universo, che sembrano offrire una via preferenziale di accesso a questo oscuro lato della scienza.

Ecco quindi l’obiettivo della nostra premessa: il lettore si prepari ad un viaggio verso un mondo sotterraneo che è alle radici del nostro sapere. Il paragone che ci sembra più calzante è quello di immaginare una seduta psiconalitica dove il paziente è la conoscenza umana. Abbiamo fatto stendere sul lettino una elegante signora che ha una passione smodata per la matematica e ritiene di poterla applicare con la massima obbiettività all’analisi di qualsiasi evento. Noi vestiamo i panni severi dello psicanalista e le diciamo “si rilassi e chiuda gli occhi: e ora ci parli di questo suo sogno ricorrente. Quando per la prima volta ha sognato dell’Universo e dei suoi confini?”

E’ accaduto la prima volta molti anni addietro: allora la nostra paziente era appena una bimba e guardava con occhi sgranati di stupore le meraviglie della natura. Dietro ad ogni fenomeno sconosciuto pensava ci fossero volontà o forze misteriose; per distinguerle le chiamava ninfe, fauni, folletti… Gli uomini non si curavano molto di lei, preoccupati ogni giorno di procurarsi di che sopravvivere: fino a che qualcuno non scoprì in quel suo fanciullesco interesse per i fenomeni celesti un incredibile potenziale economico. Grazie allo studio dei moti dei pianeti e del Sole era possibile creare un calendario, dividere l’anno in dodici mesi, determinare quelli più favorevoli alla semina e al raccolto. La scoperta di questo miracolo celeste aprì la strada alla nascita delle primegrandi civiltà agricole: Sumeri, Egizi, Babilonesi. E’ stata una scoperta sconvolgente, forse la più importante nella storia dell’umanità che usciva dal mondo oscuro delle caverne per entrare in quello delle grandi città circondate da campi arati e seminati.

Il sogno dell’orologio

E fu allora che la nostra scienza giovinetta sognò per la prima volta l’Universo e i suoi confini. Lo vide sotto forma di un immenso orologio, perché a questo in fondo serviva quell’incredibile addensarsi di punti luminosi: a fornire un tempo regolare per le attività umane. Platone parla nel Timeo del passaggio dal tempo di Giove, erratico e confuso, determinato dai fenomeni naturali della vita e della morte, al tempo di Saturno, preciso e razionale, imposto dal maestoso incedere degli astri in cielo. Così dunque apparve l’Universo, come un insieme ordinato di sfere, mosse da raffinati ingranaggi. Ogni sfera porta un astro: la Luna, il Sole, i pianeti e, infine, la lontana sfera delle stelle. C’era qualcosa al di là di quel confine solido? Ci poteva essere solo una materia fluida, che non ostacolasse il perpetuo rotolare dell’Orologio-Universo. Il colore azzurro del cielo, confrontato con quello altrettanto azzurro del mare, suggerì che proprio l’acqua occupasse il resto del mondo: oltre la sfera delle stelle fisse si estende l’Oceano Primordiale, una continuazione celeste di quello stesso mare che segna i confini terrestri. Questo dunque fu il sogno, che tradiva l’emozione delle nuove possibilità inesplorate offerte dal calendario astronomico. E, come accade con ogni psicoanalisi, a poco a poco dall’emozione iniziale nascevano manie, fobie, ossessioni.

Cosa dire di quel fatidico numero dodici, dei dodici mesi dell’anno? Dodici diverranno le fatiche d’Ercole, dodici gli Apostoli, dodici le ore del giorno e altrettante della notte e così via.E che dire dell’Oceano Primordiale? Non accadrà forse che la sfera delle stelle rompendosi farà precipitare l’acqua dentro al nostro fragile guscio-Universo travolgendo tutto? E’ la fobia del Diluvio Universale che ha atterrito generazioni di popoli, che forse sentivano la necessità di pagare un prezzo, di espiare per quella inaspettata fortuna che era arrivata in loro soccorso dal cielo sotto forma di leggi agricole. E che dire infine della più grande di tutte le fobie, la più persistente, l’astrologia? Accanto al calendario agricolo si è andato a costruire un calendario sociale parallelo che faceva corrispondere all’ingresso del Sole in una determinata costellazione non solo l’avvento di una stagione, ma anche le sorti di un re o di un popolo.

Ma torniamo all’immagine dell’Universo che emerge da queste epoche lontane: solide sfere trasparenti che scivolano senza attrito le une sulle altre e, tutte insieme, sguazzano nell’Oceano Primordiale. Non sembra esserci traccia della passione per la matematica che abbiamo attribuito alla nostra paziente: e invece la matematica c’è ed è così ben nascosta e dissimulata che occorreranno duemila anni di innovazioni tecnologichepiù un anno di notti insonni dell’astronomo Tycho Brahe per smascherare questo astuto modello matematico. Solo molto più tardi, nell’Ottocento, ci si è resi conto della perfidia che si nascondeva dietro all’Universo-orologio. Perché solo allora il matematico Fourier ha provato che qualsiasi moto periodico può essere decomposto nella somma di moti armonici, e che questi ultimi sono proiezioni di moti sferici. Così qualunque fosse il moto reale dei pianeti in cielo, il suo carattere periodico garantiva la possibilità di rappresentarlo come una somma di tanti moti sferici. Con terminologia moderna potremmo dire che il sogno della nostra scienza giovinetta non era altro che lo sviluppo in serie di Fourier dei movimenti reali degli astri.

Utilizzando gli orologi meccanici progettati e costruiti da Jobst Burgi, il grande astronomo Tycho Brahe è stato capace di incrementare la precisione delle osservazioni di circa 20 volte rispetto alle vecchie misure di Tolomeo. E’ a questo punto che il moto in cielo del pianeta Marte è apparso così complesso che solo impiegando una cinquantina di sfere era possibile descriverlo. Troppe perché il modello di Universo-orologio potesse continuare ad essere accettato. Così lentamente il sogno dell’Universo medioevale andava disfacendosi: di questo lontano episodio ci restano piccole innocue manie. Perché troviamo rassicurante il moto orario delle lancette del nostro orologio? Se le grandi civiltà umane fossero nate nell’emisfero Sud oggi le lancette girerebbero in senso inverso in modo da inseguire correttamente il moto degli astri per un osservatore rivolto al meridiano. E quanti di noi sanno di celebrare un antico rito sumero quando si incontrano intorno all’albero di Natale, che altro non è con le sue palle (i pianeti) e stelle il simbolo di quell’abete primigenio che imita la montagna primigenia attorno alla quale ruotavano i cieli sumeri e che puntava verso la stella polare? Quale straordinaria opera di rimozionefreudiana è stata operata sostituendo la stella polare in cima all’albero con la stella cometa!

Il sogno newtoniano

E’ venuto il momento di analizzare il secondo sogno della nostra paziente: più che un sogno ha i contorni di un incubo dove la ragione si perde. Lo chiameremo il “sogno newtoniano”. Adesso l’Universo non ha più sfere né Oceano Primordiale. Ovunque regna sovrano la spazio geometrico di Euclide: l’unica forza presente è quella di gravità che tutto attrae. Questo Universo non ha confini, perché per definizione lo spazio Euclideo è infinito.

Ma ci può essere stabilità in un Universo siffatto? Le stelle, attraendosi reciprocamente non precipiteranno forse le une sulle altre? E’ questa la domanda che il reverendo Richard Bentley pose a Newton, guastandogli il sonno e popolando i suoi sogni di incresciosi dubbi. Quale distribuzione di stelle può rendere stabile un siffatto Universo? Alla fine Newton concluse che se le stelle fossero distribuite in modo uniforme all’infinito l’attrazione reciproca sarebbe eguale in ogni direzione e l’Universo diventerebbe stabile. La soluzione è sbagliata, e oggi Newton sarebbe bocciato a un esame di Meccanica Razionale. Tuttavia la soluzione da lui prospettata ha aperto la strada a una analisi nuova del problema che, alla fine, ha portato a una possibile soluzione.

Continuiamo dunque con il nostro sogno, dove lo spazio Euclideo è ora popolato uniformemente di stelle, all’infinito. Ci rendiamo ben presto conto di essere caduti in una fornace: il calore emesso da infinite stelle si accumulerà fino a vaporizzare la Terra. Questo è il Paradosso del Cielo Notturno, cioè dell’inspiegabile oscurità della notte in contrasto con la luminosità straordinaria dell’Universo di Newton, scoperto, ma non risolto, da Edmund Halley, amico fraterno di Newton. Sul finire della sua vita, Halley chiamerà questo paradosso “metafisico”, sostenendo che la mente umana non può risolvere il problema: era quella un’epoca nella quale si credeva nei “miracoli scientifici”. Si credeva cioè che il Signore avesse manifestato la sua presenza con eventi ripetibili, studiabili con metodo scientifico ma totalmente inspiegabili sul piano della ragione. Lo stesso Newton farà uso di questa possibilità per replicare alle critiche assai ragionevoli di Bentley circa il suo Universo uniformemente popolato di stelle: Bentley aveva osservato che era sufficiente che una stella soltanto fosse “fuori posto” per avviare un collasso catastrofico, e Newton di rimando aveva replicato che la creazione dell’Universo doveva testimoniare della presenza di Dio, e che quindi non c’era da stupirsi dell’aspetto miracoloso di tale distribuzione.

Il Paradosso Gravitazionale, di cui abbiamo prima parlato, e il Paradosso del cielo notturno rappresentano i due talloni di Achille dell’universo newtoniano. Per questo motivo una cosmologia Newtoniana non si è mai sviluppata. Per un lungo periodo di tempo, almeno duecento anni, la nostra paziente ha smesso di sognare l’Universo, perché ogni volta che ciò accadeva il sogno terminava o con una rovinosa catastrofe gravitazionale o con l’immagine delle fiamme dirompenti che vaporizzano il nostro pianeta: un incubo, come abbiamo detto.

L’Universo ha una data di nascita

Poi, a metà dell’Ottocento, la nostra scienza ormai adulta, appassionata come è di letture, si imbatte in un libro di poche pagine e dal titolo curioso Eureka. Il suo autore è famoso per bel altri motivi: è quello che oggi viene definito il fondatore del genere horror, Edgar Allan Poe. In Eureka Poe cerca i segreti racchiusi nell’oscurità della notte; argomento a lui familiare, quello del buio, componente essenziale dei suoi racconti del terrore.Facendosi beffa degli scienziati del tempo Poe spiega l’oscurità notturna in modo semplice: anche se l’Universo è infinito e uniformemente popolato di stelle, per evitare il Paradosso di Halley è sufficiente che esso non sia esistito da sempre, ma sia nato in un lontano passato, diciamo qualche decina di miliardi di anni (chi abbia suggeritoa Poe un numero tanto vicino alle stime attuali è motivo di riflessione per gli appassionati del paranormale). La luce delle stelle più lontane di dieci miliardi di anni-luce non avrà avuto tempo di arrivare fino a noi: questo è il motivo dell’oscurità del cielo notturno, e questa stessa oscurità è una prova della nascita dell’Universo.

L’idea di un Universo che nasce ed evolve nel tempo è stata probabilmente mutuata dalla analoga proposta che in quell’epoca Darwin andava facendo per la biologia. Il fatto è che ora si può ricominciare a sognare anche se molti lati restano oscuri. L’Universo è sempre immenso, statico ed infinito, ma noi possiamo spingere il nostro sguardo fino all’Orizzonte, cioè fino a quella sfera ideale alla quale la luce è arrivata viaggiando per l’intera storia del cosmo: una sfera che continua ad allargarsi offrendo ai nostri sguardi sempre nuovi spazi.

Il sogno einsteiniano

La soluzione al Paradosso Gravitazionale è arrivata circa settanta anni più tardi con la scoperta della recessione delle Galassie: l’Universo non è soltanto nato 10miliardi di anni orsono, ma è anche in espansione. Le galassie non cadono le une sulle altre attratte dalla reciproca gravità semplicemente perché una immane esplosione le ha spinte all’inizio dei tempi ad allontanarsi le une dalle altre. In questo modo sono completi gli ingredienti per un nuovo modello, che per brevità chiameremo “il sogno einsteniano”. Un Universo dove la iniziale Geometria Euclidea è rimpiazzata da una nuova geometria in espansione, piatta e infinita o curva e finita, non sappiamo. Forse in un lontano futuro accurate misure potranno determinare esattamente la geometria e topologia del nostro cosmo.

Intanto dobbiamo accontentarci di notare che l’Orizzonte determina i limiti da noi raggiungibili, e non possiamo dire nulla di quanto avviene fuori di essi. Questo nuovo cosmo ha due caratteristiche importanti: è nato in un passato lontano ma non infinitamente lontano (ha quindi un preciso confine temporale) ed ha un confine osservativo, l’Orizzonte, determinato dalla presenza stessa di un confine temporale. Il sogno einsteniano, a dispetto della sua indiscutibile eleganza matematica, contiene in sé i germi di molteplici fastidiosi incubi notturni.

Sono Robert Dicke e Jim Peebles a sollevare il velo sugli incubi, i nightmare della cosmologia relativistica, in un famoso articolo apparso proprio in occasione delle celebrazioni del centenario di Einstein. La commistione tra geometria e fisica, iniziata con Newton ed esasperata nella Teoria della Relatività Generale, ha portato a mostruosi paradossi. Immaginiamo per un attimo di essere stati incaricati dal Signore di realizzare un nuovo Universo e di avere quindi il potere di farlo, rispettando però le leggi della fisica e della geometria. Scegliamo, per iniziare le nostre prove, un Universo facile, nel quale la geometria sia quella Euclidea in espansione. Dalla Relatività Generale sappiamo che ciò corrisponde ad una distribuzione uniforme di materia con densità costante, e pari ad un valore critico di circa 10-29 gr/cm3. Incominciamo quindi il nostro lavoro spostandoci rapidamente da una parte all’altra del cosmo per livellare la densità locale, portando della materia là dove manca e togliendola da dove è in eccesso.

E qui viene il bello: la metrica euclidea è ovviamente infinitamente estesa: noi possiamo spostarci al più alla velocità della luce. Dunque per ottenere che la metrica in oggetto sia realizzata e la distribuzione di materia sia unforme dovremo lavorare per un tempo infinito. Lo stesso ovviamente avverrà se ci limitiamo a trasmettere degli ordini, informando i nostri fedeli sparsi nel cosmo: anche i segnali radio non possono viaggiare più svelti della luce. Qualunque universo che sia organizzato secondo una certa regola (qualunque essa sia) non potrà essere realizzato se non in un tempo infinito. L’unica possibilità che resta a noi, o al Signore, se non si vogliono violare le leggi della natura, è di lasciare il tutto al caso creando un universo totalmente caotico.

Dove sta il problema? Nell’aver collegato enti geometrici, quali lo spazio Euclideo, con quantità fisiche, quali la densità della materia. Per la geometria non vi è alcuno scandalo nell’immaginare uno spazio infinito, o nell’ipotizzare che esso sia nato in un certo istante o si stia espandendo producendo nuovo spazio a ritmi elevati. In ognuno di questi casi però, se vogliamo spostare un oggetto o mandare un segnale, in breve fare della fisica, siamo vincolati a non superare la velocità della luce. E’ da questo contrasto che nascono i paradossi: se voglio distribuire della materia secondo una certa regola in un universo infinito avrò bisogno di infinito tempo per trasmettere la mia regola a regioni infinitamente lontane.

Non resta che il caos?

Se davvero l’unica soluzione è quella del caos , sarebbe molto confortante se alzando gli occhi al cielo potessimo registrare il caos originario in regioni tra loro ancora oggi causalmente sconnesse, cioè così distanti che la luce non ha fatto in tempo ad andare dall’una all’altra durante l’intera storia dell’Universo. I telescopi servono proprio a questo: essi ci mostrano Quasar e galassie che distano tra loro più di dieci miliardi di anni-luce. E’ sufficiente guardare in due direzione opposte in cielo. Ebbene queste regioni presentano la stessa densità di galassie, la stessa densità di materia, di radiazione, di temperatura. C’è di più. La radiazione di fondo cosmico proviene da circa un milione di anni dopo l’istante iniziale: a quell’epoca l’orizzonte era esteso grosso modo un milione di anni-luce: rapportato all’orizzonte attuale questo dato ci indica che la radiazione di fondo proviene da zone che, ogni 2 gradi quadrati circa, sono causalmente sconnesse. Ora le misure condotte da vari gruppi testimoniano che tra queste zone le differenze di temperatura sono inferiori ad una parte su diecimila. Così quell’Universo che dovrebbe apparirci immerso nel caos è in realtà più uniforme di quanto si possa realizzare con un raffinato termostato in laboratorio.

Quell’Orizzonte è un paradosso

Per quale misterioso accordo l’Universo lontano, ai margini delle osservazioni telescopiche, ci appare uniforme? Quell’Orizzonte dovuto alla finitezza della velocità della luce e che ci libera dal Paradosso del cielo notturno è in realtà lui stesso un paradosso, capace come è di disaccoppiare causalmente le varie zone di Universo, e facendosi poi beffa di noi presentandocele tutte fra loro straordinariamente simili. Questa uniformità inspiegabile non è forse il segnale della presenza di una qualche legge a noi ancora ignota alla quale l’Universo ha dovuto conformarsi al momento della sua nascita? Se è così, se ciò che sta fuori da un orizzonte non ha possibilità di essere diverso da ciò che sta dentro, allora lo studio di quanto è contenuto nel nostro orizzonte esaurisce le informazioni ottenibili sul nostro Universo nel suo insieme. Il confine conoscitivo viene a coincidere con l’Orizzonte e noi potremo stabilire la storia e le leggi che regolano l’intero universo. Questa ipotesi, detta anche dell’Universo Causale, è oggi caldeggiata da pochi fisici eretici, ma il fatto che Stephen Hawking abbia di recente parlato a suo favore lascia da pensare. E’ questo il contenuto del primo dei due “sogni recenti” che la nostra paziente è disposta a raccontarci; lo chiameremo “il sogno di Turok” in onore a Neil Turok, fra i primi a descrivere la fisica dell’Universo Causale.

Si riprende a sognare

Siamo all’inizio dei tempi: l’Universo si presenta a noi come un’opera perfetta: un cristallo di luce omogeneo in ogni sua parte che brilla ad altissima temperatura. Lentamente il cristallo si espande e si raffredda, e a un tratto si ha un’incrinatura: in termine tecnico si osserva una “transizione di fase” e la corrispondente formazione di difetti locali, o difetti topologici. A parte questi difetti il processo di espansione continua, ma l’energia accumulata nei difetti fornirà in seguito i semi gravitazionali necessari per avviare la formazione delle galassie. Lunghi filamenti di luce segnano ancora oggi le tracce di quelle incrinature della perfezione iniziale. Restano inevase alcune domande: perché il cristallo originario ha preso ad espandersi? Quale legge o principio ha imposto la perfezione iniziale?

Intorno al 1980 la nostra paziente ha avuto un altro sogno: lo chiameremo, per distinguerlo, “il sogno di Guth”, in onore di Alan Guth, tra i primi a formulare una Teoria dell’Inflation (oggi esistono decine di Teorie dell’Inflation). Anche questa volta ha viaggiato verso il confine temporale, indietro fino alle origini. Ma non c’è più il bellissimo cristallo uniforme. L’Universo è un ribollire caotico: alcune regioni stanno per esplodere, cioè per dare il via a quella espansione che dura tutt’oggi. Visto che non possiamo spostare la materia più velocemente della luce, perché non proviamo ad utilizzare una “esplosione della metrica”? Creiamo con rapidità fulminea tanto di quello spazio che una piccola regione, inizialmente all’interno di un orizzonte, viene diluita su una scala immensa, molto maggiore dell’orizzonte attuale. Ora noi ci troviamo al centro di questa regione: quelli che vediamo sono solo i resti del primitivo orizzonte terribilmente diluiti nello spazio; e continueremo a vederli fino a quando il nostro orizzonte luminoso non avrà raggiunto quello attuale della regione “inflata”. Fino ad allora l’omogeneità su larga scala del cosmo sarà garantita dalla omogeneità iniziale della materia all’interno del piccolo orizzonte di partenza.

Un Universo inizialmente a-causale è stato riprocessato dal meccanismo di espansione violenta (chiamato Inflazione) e trasformato in un cosmo che è ancora a-causale, ma su scale così grandi che il nostro orizzonte non vi è ancora giunto. Se l’inizio è differente dal modello di Turok, la situazione attuale deve essere simile all’interno del nostro orizzonte, dove l’Inflazione ha stirato via ogni piega della metrica e presenta ora un cosmo quasi perfetto, fatte salve piccole fluttuazioni che sono sopravvissute all’Inflazione e costituiscono il seme gravitazionale per la formazione delle galassie. Ma la differenza profonda tra i due modelli sta al di là dell’Orizzonte. In questa visione, quello che noi sappiamo del nostro orizzonte è ben misera cosa se rapportato all’intero universo: noi non potremo mai dire se un giorno all’improvviso uno spettacolo grandioso e terribile si presenterà ai nostri occhi, quando l’orizzonte comincerà a penetrare nella regione misteriosa che giace al di là del confine della Inflazione locale e piomberemo nel ribollire del caos.

Tra ordine e caos

Ecco la situazione psicoanalitica della nostra paziente: i sogni di Guth e di Turok si alternano nelle sue notti senza pace. Ora la paziente si è svegliata, si alza preoccupata dal lettino e ci chiede se esiste una cura, una possibilità di guarire e di avere una risposta ai suoi incubi: cosa significano? Vorremmo dirle che in un modo forse esasperato si presenta in lei l’eterno contrasto fra il caos e l’ordine, tra l’idea che tutto è nato da un confuso gioco di dadi oppure da un preciso disegno del quale si vede giorno dopo giorno realizzarsi lo schema. Vorremmo anche consigliarla di essere cauta con le dichiarazioni: la creazione del mondo è materia delicata. Nel cristallo perfetto dell’Universo causale non si scorge forse l’impronta di un atto divino? E, al contrario, nel modello Inflattivo a-causale non si vede forse all’opera il confuso ribollire iniziale della natura e il successivo convergere verso l’Universo attuale grazie sempre e solo a ferree leggi naturali? E’ forse questo l’ultimo atto di una battaglia che Darwin ha iniziato più di cento anni orsono?

Non dissimile è la questione dei confini: l’idea che l’intero universo, anche se infinito, altro non è che una replica di quanto avviene all’interno del nostro orizzonte non è forse equivalente in arroganza al rifiuto che molti potenti opposero a Colombo di navigare verso nuove spiagge, dato che l’umanità doveva per forza esaurirsi nel mondo conosciuto? E, d’altra parte, dobbiamo noi amaramente rinunciare a qualsiasi conoscenza di un cosmo che potrebbe essere smisuratamente grande e attraversare, da regione in regione, fasi completamente diverse della sua evoluzione? Non è forse questa una strada che porta alla ipotesi tanto cara a certi filoni di fantascienza circa la possibile presenza di infiniti universi paralleli? Vorremmo dirle che esistono sia pur vaghe, le possibilità di giungere a una scelta: i cosmologi discutono ormai da alcuni anni sui test osservativi della teoria dell’Inflation e i fautori dell’universo causale indicano nella presenza dei difetti topologici una traccia per una possibile alternativa all’Inflation. Questi fossili viventi delle imperfezioni primordiali deviano la luce formando immagini multiple di Quasar o producono strani gradini nella temperatura del fondo cosmico.

Ma forse la risposta è altrove: per esempio nel mistero di uno spazio-tempo che consideriamo continuo e non lo è. Forse in queste proprietà sconosciute dello spazio-tempo è racchiuso il mistero del limite invalicabile della velocità della luce e insieme la soluzione al paradosso degli orizzonti.

E’ dunque possibile che un giorno le risposte siano date, e allora il sogno finirà di tormentare l’elegante signora che ha una smodata passione per la matematica: ma sarà un bene?

8 Commenti

  1. Personalmente ho elaborato una mia idea di universo infinito di energia dove si realizza in modo esclusivo la famosa E=mc2 di albert einstein, per motivi di dualità fisica, comunicante, tramite i buchi neri, con un altro universo costituito di antimateria e da esso delimitato dagli orizzonti degli eventi.
    In tale contesto le funzioni svolte dai buchi neri sono fondamentalmente due, trasformare la materia in energia, grazie al contatto con l’ antimateria, e convertire parte di questa energia in materia oscura per evitare la probabile disgregazione della materia dovuta alla continua espansione dell’ universo.
    Accorgimento fisico che la dice lunga sulla caratteristica conservativa della natura.

  2. In un tale succitato universo, ammettendo l’ ipotesi di alcuni studiosi che parlano dei buchi neri come generatori di materia oscura, è possibile pensare ai buchi neri anche come costruttori di galassie? Si può cioè pensare ai buchi neri anche come generati da ingenti vortici di energia in regioni estremamente vuote e sconfinate dell’ universo dove l’ intenso annichilarsi di particelle virtuali del vuoto quantistico possa concentrarsi in un punto che nel tempo diventerebbe come una fornace entro la quale convoglierebbe tutta l’ energia del suo intorno mettendo in campo forze non riscontrabili in nessun altro luogo capaci di trasformare l’ energia in materia oscura, intesa come fase intermedia tra energia e materia,(paragonabile, in campo biologico umano, alle cellule staminali embrionali ) e successivamente in materia ordinaria per l’ aggregazione in galassia ?

  3. I misteri del nostro universo continuano a perdurare nel tempo da quando gli astrofisici hanno smesso di concentrare i loro studi anche sulla possibilità di poterlo considerare infinito !

  4. In un siffatto universo avrebbe ancora senso parlare di ESPANSIONE ma occorrerebbe spostare l’ obiettivo sugli oggetti ” GALASSIE ” per darne un significato più concreto.

  5. Le ultime scoperte dell’ astrofisica ci presentano un universo in continuo cambiamento a cui sembra difficile poter associare delle costanti ed iniziare, forse, a pensare a delle ” COSTANTI periodicamente ……..VARIABILI ”
    Questo potrebbe essere un ulteriore espediente a cui la natura ricorre per confonderci ulteriormente le idee ! ! !

  6. Non si può escludere che tra i tanti segreti che il nostro universo sembri non voler rivelare sia ben celato quello dell’ “eternità”.

  7. Nei commenti precedenti è sintetizzata l’ ipotesi che tutta la materia visibile possa essere stata generata, invece che da un’ esplosione, dall’ implosione dell’ energia !

  8. In ambito astronomico si sente spesso pronunciare la frase ” l’ universo si sta espandendo ” ma non si sente pronunciare la frase più importante cioè ” d o v e ….. si espande ” .

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