Ora il prione ha meno segreti

Da qualche giorno dalle tavole inglesi è scomparsa la T-bone, la bistecca con l’osso. E la colpa, oltreché del premier britannico Tony Blair, che ha decretato l’interruzione delle vendite dalle macellerie del paese, è di quell’agente infettivo in parte ancora misterioso, ritenuto responsabile del morbo della “mucca pazza”: il prione. Così, mentre i veterinari inglesi devono fare i conti con l’encefalopatia spongiforme, e i medici con la malattia di Creutzfeldt-Jacob, la forma dell’infezione che colpisce la specie umana, nei laboratori di mezzo mondo si lavora alla ricerca dell’ultimo tassello del grande puzzle della malattia, quello che permetta di comprenderne la patogenesi. Ora una novità arriva dalla Svizzera: il pezzo mancante sarebbe rappresentato dai linfociti B, che sembrano svolgere un ruolo essenziale nello sviluppo dell’infezione.

“Ora che sappiamo che i linfociti B sono coinvolti nella patogenesi delle encefalopatie spongiformi possiamo pensare a un sistema per interrompere la catena dell’infettività dei prioni”, afferma infatti Adriano Aguzzi, ricercatore presso l’Istituto di Neuropatologia dell’Ospedale universitario di Zurigo. E Aguzzi ha voce in capitolo. E’ coautore, infatti, di uno studio pubblicato su Nature, nel quale viene finalmente tracciato il percorso che il prione compie dagli organi periferici al sistema nervoso centrale.

Creutzfeldt-Jacob (Cjd) è – almeno per il grande pubblico – la forma più nota di encefalopatia spongiforme. Colpisce l’essere umano, è trasmissibile ed è caratterizzata da una demenza rapida e progressiva. Dopo una fase di incubazione più o meno lunga, provoca la morte per degenerazione della corteccia cerebrale. Recentemente, dopo anni di forti – e a quanto pare fondati – sospetti, è stato confermato il legame strettissimo tra le nuove varianti di Cjd e il “morbo della mucca pazza”. Almeno due ricerche, pubblicate dal British Medical Journal lo scorso ottobre, affermano che l’agente responsabile dell’encefalopatia spongiforme umana, e quello della Bse, l’encefalopatia spongiforme bovina, è lo stesso: un prione, cioè un fattore di natura proteica con capacità infettante. In altri termini, è possibile che ingerendo carne animale infetta da encefalopatia spongiforme ci si ammali di Cjd.

Come si è arrivati alla ricostruzione del puzzle? “Per il nostro esperimento abbiamo usato topi knock-out, cioè animali modificati in laboratorio che non possiedono linfociti B o T” spiega Aguzzi. “E abbiamo visto che inoculando il prione dell’encefalopatia spongiforme direttamente nel loro cervello riuscivamo sempre a provocare la malattia. Quando invece iniettavamo il prione nel peritoneo, quella membrana sierosa che riveste la cavità del corpo, l’encefalopatia si sviluppava solamente negli animali che possedevano linfociti B”. Questa scoperta ha spinto gli scienziati a concludere che le cellule B del sistema reticolo-immunitario siano strettamente implicate nel meccanismo dell’infezione. “Sebbene non abbiamo ancora prove dirette, è molto probabile – continua il ricercatore – che i linfociti B trasportino i prioni dalle regioni periferiche al tessuto nervoso. Non si può comunque escludere che queste cellule abbiano un ruolo meno diretto nel meccanismo infettivo, che esistano cioè altri elementi coinvolti nel processo”.

Attualmente si sta tentando di scoprire quali siano i linfociti B che “catturano” i prioni per “traghettarli” verso i neuroni. “E’ possibile – suggerisce Aguzzi – che si tratti dei linfociti B del sistema immunitario diffuso, presenti nella stessa mucosa del tubo digerente”. Il valore di questi risultati sul piano della profilassi delle encefalopatie spongiformi umane è intuibile: “Ora possiamo pensare a qualche sistema per inibire o manipolare i linfociti B, in modo da impedire a questi elementi di legare e quindi trasportare i prioni verso il loro target definitivo”.

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