La luce in gabbia

Prendere la luce in trappola? Un’impresa a lungo tentata, e che finalmente sembra riuscita a un gruppo di fisici di Firenze. Chi studia l’interazione tra la luce e la materia si cimenta da tempo con questa sfida, ma con qualche difficoltà. Perché la luce non si lascia imbrigliare facilmente. Finora, con le fibre ottiche, si era solamente riusciti a costringerla a propagarsi lungo un filo. Ma non si era mai riusciti a fermarla in un punto preciso, a “metterla in scatola”. Per ora siamo solo agli inizi. Ma questo genere di ricerche potrebbero introdurre parecchie novità in settori che vanno dalla costruzione di computer ottici, alla spettroscopia fino alla tecnica delle radiografie nel corpo umano e ai sistemi per “vedere” attraverso la nebbia.

A catturare la preda sono stati i fisici del Laboratorio europeo di spettroscopie non lineari (Lens) , coordinati da Roberto Righini dell’Università di Firenze, che descrivono il loro lavoro in un articolo pubblicato sulla rivista Nature. “Nel nostro campione, una polvere di arsenuro di gallio, abbiamo osservato un fenomeno particolare: la luce si propaga in cerchi disordinati, tornando negli stessi punti come un serpente che si morde la coda e rimanendo intrappolata tra le polveri”, spiega Diederik Wiersna , ricercatore nel laboratorio fiorentino.

Questo “bizzarro” comportamento della luce si spiega con le leggi dell’elettromagnetismo che descrivono le interazioni tra la radiazione luminosa e gli atomi della materia. Fu James Maxwell, nel XIX secolo, a dare la forma matematica definitiva, e anche il suo nome, alle equazioni che descrivono il comportamento di un’onda elettromagnetica come la luce. Eppure, gli strani fenomeni di localizzazione della luce sono stati previsti solo negli anni Ottanta, e solo oggi sembrano trovare una conferma sperimentale. Si basano sul cosiddetto processo di diffusione multipla dei raggi luminosi: il nome è un po’ complicato, ma tutti noi conosciamo bene gli effetti di questo processo. Perché è lo stesso che, per esempio, ci fa vedere il cielo di colore azzurro. I raggi solari, bianchi perché contengono tutte le frequenze, vengono diffusi dalle particelle dell’atmosfera, in modo che solo le frequenze corrispondenti al colore azzurro arrivano ai nostri occhi.

Quando la luce colpisce un atomo, o una particella, questo emette a sua volta della luce che si diffonde in tutte le direzioni. I raggi diffusi da ogni atomo si combinano con quelli degli atomi vicini in modo che le loro intensità si possono sommare o annullare a vicenda in un processo detto interferenza. Se un raggio di luce ben collimato, come quello di un laser, attraversa un materiale costituito da atomi disposti in modo regolare, le radiazioni diffuse da ciascuno di loro formano altri fasci luminosi che si propagano in direzioni ben precise. Ma cosa succede quando gli atomi del materiale sono disposti a caso, come nell’aria o nei liquidi? In questo caso la luce non emerge più in raggi precisi, ma si diffonde in tutte le direzioni.

Ma non è tutto. C’è un altro parametro importante, il cosiddetto cammino libero medio della luce, cioè la distanza che essa percorre prima di “rimbalzare” tra un atomo e l’altro. E qui sta il punto: nell’arsenuro di gallio, la sostanza che intrappola la luce, questa distanza è paragonabile alla lunghezza d’onda dei raggi luminosi. Insomma, l’onda sarà continuamente deviata prima di compiere un’oscillazione completa. E finirà per percorrere le traiettorie circolari osservate dai fisici di Firenze, senza riuscire a “scappare” dalla zona in cui è entrata.

Per ora, abbiamo detto, si tratta di ricerca di base. Ancora lontana dalle applicazioni che potrebbero riguardare i campi della spettroscopia, della fisica dei laser, o dei computer ottici. Ma approfondire le conoscenze dell’interazione tra la radiazione e la materia, in particolare le polveri, le vernici, l’aria o il corpo umano fa pensare a eventuali innovazioni delle tecnologie radiologiche con le quali, per esempio, si diagnosticano i tumori, o a possibili miglioramenti della visibilità in autostrada in caso di nebbia.

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