Elogio della superficialità

Whitesides è uno scienziato, professore di chimica presso la Harvard University, membro della National Academy of Science e della American Academy of Arts and Science, mentre Felice Frankel è una fotografa, “artist-in residence” e ricercatrice presso il Massachusetts Institute of Technology. Dal loro incontro è nato un libro straordinario, per capacità di coniugare bellezza delle immagini e rigore dei contenuti. Il principio su cui si basa “On the Surface of Things. Imagines of the Extraordinary in Science” (San Francisco, 1997) è che una singola immagine può contenere una enorme quantità di informazioni in una forma facile da capire. “Ciò che colpisce gli occhi, colpisce la mente”, affermano gli autori. E la fotografia di Frankel, spesso realizzata con tecniche estremamente sofisticate, consente di cogliere la straordinaria bellezza di fenomeni che avvengono su superfici di dimensioni a volte non superiori al nanometro (un millionesimo di millimetro).

Ma l’incontro fra immagini e scienza non produce solo buona divulgazione scientifica. Il linguaggio delle immagini ha a che fare con qualcosa di più profondo: ci aiuta anche a capire come nella nostra mente si formano le idee e le teorie scientifiche (l’”immagine” che ci facciamo del mondo). In modo analogo, la luce e la superficie delle cose non sono soltanto gli elementi che ci consentono di vedere e apprezzare “lo straordinario nella scienza”. La superficie, afferma Whitesides, è l’elemento fondamentale per capire fenomeni importantissimi. Ad esempio la vita degli organismi e le reti di computer, che si spiegano solo a partire da fenomeni che avvengono “in superficie”. E per quanto riguarda la luce, essa è “l’inconsistente elemento fondamentale della nostra vita”. Ecco come Whitesides ha risposto alle domande di Galileo.

“Ciò che colpisce gli occhi colpisce anche la mente”: questa sua affermazione riguarda solo la divulgazione scientifica o coinvolge anche la ricerca ? Nella comunicazione scientifica, il linguaggio delle immagini è importante quanto quello verbale e quello matematico?

“L’immagine è uno dei metodi più efficaci per trasmettere informazioni. Se in alcuni campi è la matematica a fornire la miglior descrizione dei fenomeni, e in altri la parola, in altri ancora è l’immagine ad essere addirittura insostituibile. Per un chimico, come sono io, la visualizzazione è fondamentale. La matematica non può descrivere compiutamente quello che fa un chimico. Noi dobbiamo essere in grado di immaginare in tre dimensioni, magari partendo da un’immagine bidimensionale”.

E nella formulazione di una teoria, che ruolo ha per lo scienziato l’”immaginazione spaziale”, la capacità di rappresentarsi nello spazio gli oggetti della propria ricerca?

“Di solito si dice che un fisico pensa “matematicamente” quando elabora una teoria. In realtà, io credo che la maggior parte dei fisici – come del resto gli altri scienziati – parta da un’idea “visiva” di ciò che sta facendo, sia essa l’idea di uno scontro fra galassie o di una molecola che interagisce con un’altra. Solo successivamente lo scienziato elabora un’espressione che descrive la relazione fra alcuni degli elementi a cui sta pensando. Credo che, in generale, prima ci sia un’immagine, anche se è difficile separare l’immagine dal linguaggio, perché è difficile sapere come è possibile pensare senza parole. I grandi fisici usavano dire che un buon approccio ai problemi della comprensione della struttura dell’atomo è quello di porsi dal punto di vista di un elettrone. Che cosa vede un elettrone? Che cosa sente? Quando si è capito che cosa sente – questa è la parola giusta – un elettrone quando tenta di evitare una carica negativa e ricerca una positiva, allora si può cominciare a formulare una descrizione, una teoria”.

In questo contesto, cosa significa per uno scienziato lavorare con un fotografo, con un artista? Che tipo di interesse ha lo scienziato per il suo punto di vista?

“Ci sono parecchie ragioni per cui questa collaborazione è interessante, come ho potuto verificare lavorando con Felice Frankel. La prima è di tipo estetico. Uno dei principali risultati che uno scienziato spera di ottenere dalla ricerca è un nuovo modo di guardare alle cose a cui è interessato. Ogni nuovo modo suggerisce nuove idee. Nel lavoro con Felice abbiamo dovuto colorare le cose, manipolarle per raggiungere un buon risultato estetico. Manipolare in più dettagli un sistema ci insegna quanto poco sappiamo nella prospettiva di controllarlo su più larga scala. Ma soprattutto osservare il sistema e chiedersi come lo si possa descrivere e rappresentare, insegna molto riguardo alla scienza. Il lavoro dello scienziato è una grande sfida per arrivare a una spiegazione che sia abbastanza accurata e sufficientemente semplice perché la gente la capisca”.

A proposito dell’importanza della superficie nella spiegazione di alcuni fenomeni lei afferma : “La superficie è, in un certo senso, uno stato separato della materia”. Cosa significa?

“Gli stati classici della materia – liquido, solido e gassoso – hanno caratteristiche omogenee, hanno proprietà costanti. La caratteristica della superficie, invece, è che le proprietà cambiano in fretta muovendosi nello spazio. Ci sono delle regioni dello spazio nelle quali le proprietà cambiano: ciò dà loro delle specifiche caratteristiche molto interessanti, e questo modifica abbastanza profondamente la teoria classica della materia”.

E per quale motivo la superficie è così importante nella manipolazione degli organismi viventi, che lei definisce una delle “invasioni tecnologiche” del nostro tempo?

“Semplificando, possiamo dire che la vita è una serie di trasformazioni, nelle quali una molecola incontra e riconosce un’altra molecola. Una cellula ha una membrana che separa l’esterno dall’interno, e questa membrana è una superficie. Ed è attraverso questa che la cellula riceve informazioni dal mondo esterno. Una serie di segnali chimici attraversa nei due sensi la superficie, e in questo meccanismo c’è la chiave per capire la vita. Quando una molecola con una certa forma incontra un’altra molecola con una forma che si “adatta” alla propria, avviene una reazione di superficie, che a sua volta interagisce con altre molecole di superficie, e così via. Per questo motivo quando parliamo di manipolazione genetica o di biotecnologie parliamo sempre di interazioni tra una superficie e un’altra”.

Ma allora possiamo dire che alla fine di questo secolo l’interesse della scienza sta tornando “alla superficie delle cose”, al livello dove si manifesta la vita, e che la ricerca nel campo dell’infinitamente piccolo, delle particelle subatomiche sta divenendo meno interessante per gli scienziati e per la società?

“Indubbiamente la scienza sta attraversando una fase di trasformazione molto interessante. Il grande sviluppo scientifico fra il 1945 e i primi anni Ottanta fu guidato fondamentalmente dalla Guerra fredda e dalla necessità di sviluppare armi adatte a quella particolare situazione. Non fu certamente l’unico elemento, ma indubbiamente rappresentò un grande stimolo. Ora quell’esigenza è diminuita e con essa l’interesse per un certo tipo di fisica. Penso che in futuro le scienze che cambieranno la nostra visione del mondo saranno le scienze dell’informazione e della vita, come la biologia. I fisici si pongono domande per rispondere alle quali sono necessarie energie paragonabili a quelle di collisioni fra stelle. I fenomeni che riguardano la vita avvengono invece a basse energie e basse temperature. La vita è fatta di temperatura ambiente e legami chimici ordinari. Quello che conta è la complessità. Le interazioni (relativamente) deboli che avvengono sulla superficie sono i processi più importanti, è da essi che dipende la vita. Le domande più interessanti che oggi la scienza si pone riguardano il modo in cui questi diversi sistemi si autorganizzano, come le molecole si replicano nelle cellule, come vivono nelle cellule, come comunicano”.

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