Vita con gli indios

“La prima volta che arrivai nella foresta amazzonica, più di dieci anni fa, fui avvicinato innanzitutto dai bambini. I bambini indios sono curiosissimi. Mi chiesero qual era la mia tribù e trovarono singolare che non avessi né moglie, né figli e ancora più strano parve loro che non sapessi né cacciare, né pescare. Per loro ero un imbranato. Nonostante tutto, mi hanno insegnato a vivere nella giungla e, con il tempo, si sono fidati a farsi curare da me”. Così Aldo Lo Curto, medico itinerante volontario, ha raccontato in questi giorni a Roma, su invito dell’ambasciatore brasiliano e dell’Associazione Italia-Brasile, il suo incontro con quattro piccole tribù amazzoniche, Ararete, Asurini, Cararao e Arara. Seicento anime in tutto, concentrate nella regione di Xingu River, una fascia di terra delimitata dai fiumi Xingu e Iriri.

Il sogno di Aldo Lo Curto è impedire l’estinzione dei pochi sopravvissuti agli stermini assurdi e crudeli, grazie anche alla diffusione della conoscenza della loro cultura nel mondo. Oggi gli abitanti originari dell’Amazzonia sono 220 mila, ma appena trent’anni fa erano due milioni, mentre prima dell’arrivo di Colombo dovevano essere circa dieci milioni. La cultura, l’ambiente e lo stile di vita degli indios è stato profondamente alterato dall’arrivo degli europei. Per questo il dottor Lo Curto ama particolarmente vivere tra quelle tribù che ancora conservano in gran parte la loro cultura precolombiana.

“Sin da piccolissmi imparano a conoscere e a rispettare la natura giocando con le farfalle, le tartarughe, i pappagalli e le scimmiette”, spiega. “A sette, otto anni, cominciano a inoltrarsi da soli nel folto della vegetazione della foresta per imparare a orientarsi e a saper distinguere le piante. Si divertono con il fiume nuotando controcorrente e, se sono maschietti, iniziano a cacciare e a pescare con dei piccoli archi. Le femmine, invece, imparano a cucinare il cibo, intrecciare le fibre vegetali per farne stuoie o a realizzare vasi di ceramica”. Senza imposizioni, è tutto un gioco. “Il risultato di una vita in armonia con la natura e con se stessi è il sorriso. Gli indios sorridono sempre e pensano che chi non è capace di ricambiare un sorriso sia malato. Ridono perfino dei morti, perché per loro l’individuo non muore, ma si trasforma in uno spirito che continua a gravitare nel villaggio. Se un uomo e una donna indios muoiono in solitudine si organizzano vere e proprie cerimonie di matrimonio tra i defunti per farli stare in compagnia”. La solitudine è inconcepibile. A 18-20 anni ci si sposa e si fanno figli, di cui si occupa tutta la tribù. “Non sono famiglie numerose” precisa Lo Curto “al massimo due bambini per coppia. La donna conosce piante che regolano le nascite, secondo un sapere millenario. E’ una scelta culturale fatta per questioni di sicurezza: in caso di imminente pericolo, ognuno dei genitori si carica addosso un figlio per fuggire rapidamente nell’intricata foresta”.

La tribù segue con grande partecipazione tutte le tappe importanti della vita di ciascun membro, dalla nascita al matrimonio, dalla gravidanza all’educazione dei bambini, nella malattia e fino alla morte. La tribù si riunisce sia durante i riti medico-religiosi dello sciamano, che spesso è il capo tribù, sia quando ci si va a far visitare dal medico occidentale che prescrive le medicine oppure opera: “Il coniuge sano non lascia un minuto quello malato, tenendolo per mano, mentre tutta la comunità li circonda come in un grande abbraccio”. E nella malattia, il medico occidentale collabora con quello indigeno: “Lo sciamano assiste psicologicamente il malato, mentre io intervengo con le iniezioni e le suture”, dice Lo Curto. Si supera così il problema di dover scegliere tra la rassicurante tradizione o la novità estranea. Il dottore italiano ha conquistato la fiducia degli indios che gli hanno svelato il segreto dei poteri curative di piante, cristalli e animali. “Purtroppo, molte aziende farmaceutiche hanno scoperto che la foresta è una miniera di farmaci. Gli inviati dell’industria si inoltrano nella giungla portando con loro quel misterioso oggetto che è la radio con la cassetta da cui esce la musica. Poi, chiedono all’indio una pianta per il mal di testa e loro, gentilmente, gliela forniscono. Il principio attivo arriva sul mercato, fa fruttare miliardi alle aziende, e all’indio rimane un inutile registratore. Ma diverse organizzazioni si stanno muovendo per riconoscere finalmente agli indios i diritti di proprietà sulla loro cultura”.

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