Le regole internazionali

Nel nuovo diritto internazionale dei diritti umani, che faticosamente si fa strada nell’attuale assetto delle relazioni internazionali, la Convenzione delle Nazioni Unite del 1980 sulle armi disumane, cioè dagli effetti indiscriminati verso i civili, era un punto debole (1). Si trattava infatti di un tentativo di regolamentare l’utilizzo di certe armi per evitare che venissero usate intenzionalmente contro i civili nell’ambito dei conflitti tra stati o dei conflitti per la liberazione nazionale, ma non delle guerre civili. In particolare il Protocollo n. 2 della Convenzione, relativo all’interdizione e ai limiti imposti nell’utilizzo di mine, booby traps e altri congegni esplosivi, ne vietava, con numerose riserve a favore dei militari, un uso indiscriminato, che non distinguesse cioè obiettivi militari da obiettivi civili, e sleale, cioè di ordigni camuffati che possano trarre in inganno la popolazione civile. In sostanza la Convenzione si basava su possibili deviazioni da norme sul corretto utilizzo delle mine in guerre convenzionali, mentre le dottrine militari che di fatto si sono imposte nei conflitti esistenti sono di tutt’altro tipo e prevedono anche un uso profondamente diverso e assai più devastante di certe armi, tra cui le mine. Inoltre la Convenzione non faceva nessun riferimento al controllo della produzione e del commercio delle “armi disumane”. Nel dibattito che si è aperto sulla revisione della Convenzione del 1980, anche a seguito della campagna internazionale di opinione contro le mine anti-persona, sull’onda delle numerose decisioni di moratoria sull’esportazione e talvolta sulla produzione di questi ordigni, si e fatta largo la proposta di un bando generale delle mine anti-persona. Oltre una trentina di paesi, nonché il Parlamento Europeo, si sono espressi in questa direzione. La Conferenza delle Nazioni Unite per la revisione della Convenzione e degli annessi protocolli si è aperta nel settembre l995 a Vienna e si è chiusa nel maggio 1996 a Ginevra. L’esito è stato duramente criticato dagli organismi non governativi che conducono la Campagna internazionale contro le mine. Ma anche Boutros Boutros-Ghali, allora segretario generale dell’Onu, ha commentato nel suo intervento del 3 maggio: “Devo esprimere la mia profonda delusione per il fatto che il progresso ottenuto e molto al di sotto di quello che avevo sperato” (2). Quello che doveva essere l’appuntamento in cui la comunità internazionale riconosceva il disastro provocato dalla massiccia semina di ordigni esplosivi in più di 60 paesi e tentava di porvi fine con un bando internazionale almeno delle mine anti-persona, si è rivelato invece la sede per una clamorosa rilegittimazione dell’uso di queste armi. La Conferenza ha approvato la nuova Convenzione sulle armi disumane e gli annessi protocolli, in particolare quello sulle mine (3). La nuova normativa, in particolare, vieta la mine anti-persona che non si autodistruggano o che non si disattivino a distanza, le mine cosiddette “cieche”, a meno che non siano collocate in campi minati perimetrati e sorvegliati. Non vieta invece, in generale, le mine che si autodistruggono o che si disattivano a distanza, le cosiddette mine “intelligenti”. Ma sul funzionamento e l’affidabilità dei meccanismi di autodistruzione o di autodisattivazione i dubbi sono ancora numerosi. Nella Conferenza delle Nazioni Unite si è parlato di margini di errore in questi meccanismi dell’uno per mille, ma i sistemi finora sperimentati hanno presentato margini di errore che vanno dal 10 al 50 % (4). Inoltre, nell’intervallo tra la collocazione delle mine e la loro auto-neutralizzazione, le mine “intelligenti” agiscono in modo indiscriminato come tutte le altre mine. Infatti sulla durata ammissibile della fase attiva il dibattito è aspro e la nuova Convenzione indica modalità per cui il grosso delle mine con meccanismi di auto-neutralizzazione possono restare attive fino a quattro mesi dalla semina. In ogni caso il controllo degli ordigni resta in mano ai militari. Se il vero motivo della massiccia semina di morte che e stata fatta negli scorsi due decenni in tanti paesi sta nella dottrina militare che di fatto si e affermata nelle guerre, la via d’uscita delle mine che si autodistruggono è una illusione, ancor più che per motivi tecnici, perché l’uso di queste armi non cambia la sostanza del conflitto (5). La Conferenza delle Nazioni Unite ha visto molti altri cedimenti alle pressioni delle lobbies militari-industriali. La normativa che ammette le mine “intelligenti” e vieta quelle “cieche” potrebbe non entrare in vigore prima di nove anni, se una delle parti contraenti non e pronta. Questo e stato il compromesso raggiunto tra i paesi già in grado di produrre le mine che si auto-neutralizzano, Stati Uniti in testa, e paesi che chiedevano tempo per non rimanere “fuori mercato”, in primo luogo la Cina. Anche sui dettagli tecnici il nuovo Protocollo consente alle imprese e agli Stati produttori una serie di scappatoie: la definizione di “mina anti-persona” esclude tutte quelle che non siano esclusivamente anti-persona, nonché le mine anticarro dotate di meccanismi anti-maneggiamento, dunque anti-persona; l’applicabilità del Protocollo, al contrario della Convenzione del 1980, e estesa ai conflitti interni, ma e il singolo stato coinvolto che decide quando si possono applicare le clausole internazionali; non sono contemplati meccanismi di verifica. Un passo avanti importante e invece il bando a partire dal 1 gennaio 1997, delle mine non rilevabili magneticamente, quelle interamente in plastica, che dovranno incorporare una piccola quantità di ferro per consentire la rilevazione. Tuttavia l’iniziativa per il bando internazionale della produzione, commercio e uso delle mine anti-persona prosegue, e non solo dietro la spinta degli organismi non governativi. Gli stati che hanno aderito a questa proposta stanno conducendo un’iniziativa diplomatica parallela per allargare l’area del consenso. Per ampliare e rafforzare i divieti potrebbero essere valorizzate alcune legislazioni nazionali. Ad esempio la normativa italiana sul commercio delle armi, la legge n. 185 del 1990, che ha fissato alcuni principi e regole in un campo in cui vigeva un’ampia incertezza del diritto, prevede il divieto della produzione e del commercio delle armi biologiche, chimiche e nucleari, in quanto armi che hanno effetti indiscriminati. Inoltre, elemento forse ancora più importante, tra i criteri per concedere l’autorizzazione all’esportazione di materiali d’armamento introduce quello che fa riferimento alle “violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”. Nel caso delle mine terrestri, e in particolare delle mine anti-persona, e l’utilizzo stesso di quest’arma che contrasta con le convenzioni internazionali in materia di diritti umani. I governi italiani, pur avendo a disposizione una normativa avanzata, hanno finora avuto su questa questione un atteggiamento cauto. Nel 1994 L’Italia ha deciso una moratoria sulla produzione e il commercio delle mine anti-persona. Nella Conferenza delle Nazioni Unite tuttavia non ha preso una posizione favorevole al bando totale. Eppure la questione delle mine, la proposta del bando totale della loro produzione, commercio, uso, da regolamentazione internazionale di uno tra i tanti sistemi d’arma esistenti, se affrontata fino in fondo può costituire un passaggio rilevante nel diritto internazionale e nel modo stesso di pensare le relazioni internazionali: un passo in direzione del riconoscimento dei diritti della persona umana come diritti prioritari rispetto a quelli delle imprese e degli Stati. Note (1) Convention on Prohibition or Restrictions on the Use of Certain Conventional Weapons Which May be Deemed to be Excessively Injurious or to Have Indiscriminate Effects. Convenzione delle Nazioni Unite sulle armi disumane e protocolli annessi, Ginevra 10 ottobre 1980, riportata in “The Arms Project of Human Rights Watch & Physicians for Human Rights”, Landmines, cit., pp. 365-380. (2) Statement of Secretary-Ceneral to Review Conference of l980 United Nation Convention on Certain Conventional Weapons, Ginevra, 3 maggio 1996. United Nations Press Release, United Nations Office at Geneva. 3 maggio 1996. (3) Revised President’s text on Protocol II and Technical Annex, Review Conference on the States Parties to the Convention on Prohibition or Restrictions on the Use of Certain Conventional Weapons Which May be Deemed to be Excessively Injurious or to Have lndiscriminate Effects, 2nd resumed session, Ginevra, 22 aprile – 3 maggio 1996. (4) Steve Goose, Human Rights Watch, Mine “intelligenti”?, memoria presentata alla Review Conference of the States Parties to the Convention-on Prohibition or Restrictions on the Use of Certain Conventional Weapons Which May be Deemed to be Excessivelg Injurious or to Have Indiscriminate Effects, Ginevra 22 aprile – 3 maggio 1996. (5) Jef Van Gerwen, Le mine antiuomo. Una riflessione etica, cit.

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