Dipendenza: una questione di geni

Il fenomeno della dipendenza da stupefacenti è ora meno oscuro: un gruppo di ricercatori del Centro di Neurobiologia e Comportamento della Columbia University ha infatti individuato una componente genetica che potrebbe spiegare la propensione all’abuso di droghe. Studiando alcuni topi nei quali era stato eliminato un recettore per la serotonina-1B, i ricercatori hanno scoperto che su questi animali la cocaina aveva un effetto maggiore di quanto non avesse sugli esemplari normali. I topolini mutanti, infatti, imparavano molto rapidamente ad autosomministrarsi la droga, e mostravano un comportamento tipicamente cocainomane sin dalle prime dosi. Secondo i ricercatori, dunque, la mancanza del recettore per la serotonina rende il cervello dei topi mutanti simile a quello di un topo normale al quale sia stata somministrata cocaina per lungo tempo.

Ma in cosa consiste esattamente il fenomeno della dipendenza da cocaina? La chiave di volta dell’intero processo va cercata nella dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto nelle sensazioni di soddisfazione e di piacere. L’aumento dei livelli di questo neurotrasmettitore nell’organismo scatena il tipico effetto di euforia legato all’assunzione dello stupefacente. Ma c’è un altro neurotrasmettitore che prende parte a questo meccanismo: la serotonina. Questa sostanza interferisce con la dopamina, modificando gli effetti prodotti dall’uso di alcune droghe, tra cui anche la cocaina. Studiando il comportamento dei topi privi del recettore per la serotonina-1B, i ricercatori hanno così dimostrato il suo coinvolgimento nei processi che sottostanno all’abuso di cocaina.

Lo studio americano ha analizzato i tre aspetti tipici della dipendenza da cocaina: la crescita esponenziale del desiderio, cioè l’assuefazione, i cambiamenti nel comportamento del tossicodipendente e le modificazioni fisiologiche nel cervello. Nella prima fase, i topi sono stati addestrati ad autosomministrarsi la droga: la semplice pressione di una leva permetteva loro di iniettarsi una dose di cocaina. Quando i ricercatori hanno aumentato il numero di pressioni necessarie ad ottenere l’iniezione, hanno visto che il desiderio dei topi mutanti era tale da procurarsi, in media, una dose doppia di cocaina rispetto a quella ricercata dai loro compagni normali.

Obiettivo della seconda fase era invece quello di dimostrare che i topi mutanti sviluppano il tipico comportamento da cocainomane in tempi molto più rapidi dei topi di controllo. Così, gli animali sono stati lasciati liberi di correre in un prato, mentre una telecamera li riprendeva. Sebbene la somministrazione di droga fosse graduale, già dopo poche dosi i topi mutanti mostravano il comportamento tipico dei tossicodipendenti: correvano molto rapidamente e ciondolavano la testa in modo tipico. I topi di controllo, al contrario, avevano mostrato gli stessi sintomi dopo ben cinque giorni di somministrazioni. Secondo i ricercatori, dunque, la mutazione genetica che provoca la mancanza del recettore della serotonina-1B, produce un livello maggiore di sensibilizzazione alla cocaina. Ai topi mutanti, insomma, bastano poche dosi per sviluppare la tossicodipendenza.

La terza fase prevedeva invece lo studio degli effetti di questa mutazione sul cervello. L’assunzione di cocaina, infatti, provoca dei cambiamenti fisiologici anche nel cervello di un topo normale. La presenza delle stesse alterazioni neurochimiche nel cervello dei topi mutanti e di quelli cocainomani ha dimostrato una volta di più che l’assenza del recettore per la serotonina predispone alla dipendenza da cocaina.

Se da una parte questo studio getta nuova luce sul complesso meccanismo che regola la dipendenza dalle droghe, dall’altra solleva anche numerosi interrogativi. Resta ancora da approfondire, per esempio, una delle questioni più importanti: se cioè la serotonina interferisca con il desiderio e la soddisfazione anche negli esseri umani.

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