Un raffreddore da morire

Dall’autore di “Area di contagio” ecco il nuovo thriller. La “biologia nera” e l’eterna lotta tra scienziati buoni e cattivi

Richard Preston
Il giorno del Cobra
Rizzoli 1998, £.34.000

Nella mitologia greco-romana la Chimera era un mostro con corpo e testa di leone, una seconda testa di capra sorgente dalla schiena e la coda di serpente. In microbiologia il termine designa un virus ottenuto in laboratorio mescolando il materiale genetico di virus diversi. Il mito narra che la Chimera fu uccisa da Bellerofonte, che la catturò con una briglia d’oro. Il Bellerofonte moderno che sfida la creatura mostruosa, una particella virale nata da una miscela di sequenze di un virus degli insetti, del vaiolo e del comune raffreddore, è oggi una giovane dottoressa del Center for Diseases Control di Atlanta, la principale agenzia federale statunitense per l’epidemiologia e il controllo delle malattie.

La lotta tra il Bene e il Male viene messa in scena con gli ingredienti tipici e un po’ manichei di certi thriller. C’è lo scienziato pazzo, il gruppo di scienziati buoni e coraggiosi, la guerra fredda e la rivalità scientifica tra Usa e Urss sullo sfondo. Ma lungo le quattrocento pagine architettonicamente solide e logicamente serrate di “Il giorno del Cobra”, Richard Preston dipana un filo di inquietudine. La frontiera tra realtà e finzione è troppo labile, il realismo di certe descrizioni troppo accurato, la malvagità e l’arroganza umane troppo familiari perché il racconto non venga letto come uno scenario possibile. Di fronte al quale ci sentiamo inermi e vulnerabili.

L’autore, del resto, ha ormai una certa consuetudine con la scienza. Il suo libro precedente, “Area di contagio”, raccontava una storia vera, quella del virus Ebola. In questa sua ultima fatica, Preston conduce il lettore tra bioreattori che amplificano i virus, filtri Hepa (High-Efficiency Particle Arrestor) che purificano l’aria contaminata, unità speciali dell’Fbi preposte a indagini sui rischi biologici, uffici di medicina legale e sale per l’autopsia. E man mano che il progetto criminale che sta dietro alcune morti prende forma e si fa più chiaro e definito, nella mente di chi legge i contorni del lecito e dell’illecito nella scienza sfumano, si confondono.

L’ideale illuminista e positivista che riposa dentro ciascuno di noi si sgretola. Non capiamo come lo stabilimento iracheno di armi biologiche Al Manal abbia potuto produrre, durante la guerra del Golfo, novemila metri cubi di tossina botulinica comprando il ceppo originario per posta dagli Stati Uniti al costo di 35 dollari. Una quantità di tossina grande come il puntino di questa “i” ucciderebbe facilmente dieci esseri umani.

Preston ci fa indignare per le continue violazioni della Convenzione del 1972, che mise fuorilegge lo sviluppo e l’uso di armi biologiche, ci fa disprezzare l’avidità degli scienziati che si danno alla “biologia nera” (in gergo, l’uso clandestino delle biotecnologie o dell’ingegneria genetica per creare armi), ci fa deplorare la leggerezza con cui molti governanti ritengono infondato il rischio di una guerra biologica. E ci lascia con la triste e sgradevole sensazione di un’umanità autolesionista che, come nella sindrome di Lesh-Nyhan descritta nel libro, si nutre di se stessa, fino ad uccidersi.

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