Galassie neonate all’infrarosso

La scoperta di nuovi oggetti tra le polveri di galassie in formazione sembra far luce su uno dei misteri della cosmologia. Quello che riguarda la creazione e l’evoluzione dei corpi celesti, alle origini dell’Universo. I dati analizzati sino ad oggi indicavano infatti che la maggiore “produzione” di stelle si era verificata quando l’Universo aveva la metà degli anni che ha ora, a una velocità circa dieci volte superiore a quella attuale. Ora la rivista Nature pubblica i nuovi risultati di due gruppi di astrofisici guidati da David Hughes del Royal Observatory di Edimburgo e da Amy Barger dell’Istituto di astronomia all’Università delle Hawaii. I ricercatori hanno esplorato l’Universo con un nuovo potente strumento che “vede” anche radiazioni diverse dalla luce visibile, e hanno trovato i segni evidenti di un processo di formazione stellare assai antico e intenso. L’evento sembra cinque volte più rapido di quanto finora ipotizzato e risalirebbe a un periodo in cui l’Universo era otto volte più giovane di oggi.

“Un evento così rapido e antico fa retrocedere la data di formazione dei primi oggetti nell’Universo. E pone vincoli nuovi alle teorie che riguardano la nascita delle galassie”, commenta Douglas Scott, astrofisico dell’Università di Vancouver in Canada, sulle pagine della rivista inglese. La discrepanza tra le nuove osservazioni e quelle finora disponibili si spiega considerando che le stelle nascono in dense nubi di polveri interstellari che alterano le frequenze della radiazione emessa durante il processo. Le stelle molto giovani hanno il loro picco di emissione alle frequenze dell’ultravioletto, ma può capitare che le polveri, costituite da granelli di silicio, carbonio e altri detriti interstellari, assorbano la luce visibile e ultravioletta, si riscaldino e la riemettano alle invisibili frequenze dell’infrarosso. E’ necessario quindi integrare le osservazioni con luce visibile con altri dati per indagare le fasi dell’evoluzione del cosmo. Ed è per questo che gli astrofisici studiano con i loro strumenti la luce di fondo extragalattica, in pratica la memoria storica dell’Universo, cercando di coprire il maggiore intervallo di frequenze della radiazione elettromagnetica: dall’ultravioletto, al visibile, fino al lontano infrarosso.

Proprio alle frequenze dell’alto infrarosso è entrato in gioco il Submillimeter Common-User Bolometer Array, o più brevemente Scuba (http://www.jach.hawaii.edu/JCMT/scuba/), il protagonista della vicenda. L’apparecchio, istallato sul telescopio James Clerck Maxwell (http://www.jach.hawaii.edu/JCMT/) alle Hawaii, è stato progettato per analizzare a fondo l’Universo primordiale, investigando lo spazio in questa regione relativamente inesplorata dello spettro. Scuba ha collezionato dati cento volte più velocemente di qualsiasi precedente strumento, e soprattutto ha rivelato “una popolazione di stelle pesanti all’interno di galassie in formazione che erano nascoste alle osservazioni visive per la presenza delle polveri”, come spiega Amy Barger. Queste stelle stanno irradiando un’energia complessiva pari a quella emessa dall’intero Universo nel campo visibile e quindi rappresentano una componente estremamente importante nella formazione dell’Universo.

“Senza Scuba non avremmo mai potuto scoprire questa popolazione di stelle massive all’interno delle galassie in formazione”, prosegue Barger, “perché avremmo avuto una visione scorretta e incompleta della formazione delle galassie e della loro evoluzione. Ora la luce di fondo extragalattica può essere scomposta negli oggetti individuali che la emettono, insegnandoci qualcosa di nuovo sul loro conto”. Ogni anno le galassie osservate sembrano trasformare circa cento masse solari di gas in nuove stelle, una frequenza quasi cento volte maggiore di quella della Via Lattea. “Resta però da chiarire se questi oggetti sono gli stessi che si potrebbero trovare con tecniche ottiche, o se sono una classe completamente differente di galassie altamente oscure”, commenta Scott. E per questo gli astrofisici progettano di utilizzare il telescopio Keck (http://www2.keck.hawaii.edu:3636/), alle Hawaii: lo strumento capta la luce visibile e permetterà di studiare la controparte ottica di queste sorgenti di raggi infrarossi.

Ma le ricerche non sono che all’inizio. Per comprendere a fondo come si formano ed evolvono le galassie servono immagini meno sfocate e indistinte. E per ottenerle serve una nuova generazione di strumenti, come quelli che nasceranno dall’unione dei due progetti Lsa (http://iraux2.iram.fr/LSA/) (Large Southern Array) e Mma (Millimeter Array) (http://www.mma.nrao.edu/), frutto di una collaborazione europea e statunitense, per la costruzione in Cile di una serie di telescopi sensibili all’infrarosso. E non è tutto. “Per evitare l’effetto schermante dell’atmosfera e investigare un intervallo di frequenze più largo”, conclude Scott, “si sta progettando la missione spaziale First (http://astro.estec.esa.nl/astrogen/first/mission_top.html), pietra angolare dell’Agenzia spaziale europea, prevista per il 2007”. E ancora prima altri progetti spaziali indagheranno le caratteristiche di queste sorgenti di infrarossi.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here