Rubbia: “Il mio nucleare pulito”

“L’innovazione è la migliore delle energie rinnovabili”. Come spesso amano fare i fisici, Carlo Rubbia ha voluto chiudere con una battuta a effetto il suo intervento alla Conferenza nazionale energia e ambiente organizzata dall’Enea il 27 novembre a Roma. Un intervento molto atteso, quello dell’illustre premio Nobel. Soprattutto dopo le polemiche sollevate nei giorni precedenti dagli interventi dei ministri Bersani e Zecchino (Industria e Ricerca scientifica e tecnologica). Per la prima volta, da una decina di anni a questa parte, nelle relazioni che i due ministri hanno tenuto alla Conferenza è comparsa una parola che nel nostro paese è quasi un tabù: nucleare. E sullo sfondo si intravedono proprio le ricerche che Carlo Rubbia sta conducendo con grande impegno su un sistema che ripropone in chiave del tutto nuova la questione dell’energia dei nuclei.

Ma chi si attendeva da Rubbia un accenno all’attualità politica è rimasto deluso. Anzi, il professore ha subito dichiarato che avrebbe accuratamente evitato l’argomento per non alimentare le polemiche (anche se poi, a margine dell’intervento, Rubbia ha energicamente espresso la sua opinione. E ha preferito invece presentare un quadro generale dei termini del problema da affrontare nel prossimo secolo. Un quadro che guarda in faccia i crudi numeri del fabbisogno energetico previsto e cerca di confrontare le possibili soluzioni. Ancora una volta, come è nello stile di Rubbia, numeri alla mano.

Affrontare la questione energetica, ha affermato in sostanza Rubbia, significa guardare a un periodo di tempo molto più lungo dell’orizzonte considerato in media dai politici. Anche la semplice vita media di una centrale elettrica (nucleare o meno) è di diverse decine di anni. Bisogna insomma proiettarsi in avanti almeno fino al 2100. In secondo luogo, il problema energetico è indissolubilmente legato a quello demografico. E qui arriva la prima buona notizia: se fino alla fine degli anni Ottanta si pensava che la popolazione del pianeta sarebbe cresciuta a un ritmo esplosivo, ora sembra ragionevole pensare che la crescita si possa stabilizzare (secondo alcuni modelli attorno a 10 miliardi di abitanti nel 2100) se non addirittura diminuire. Ciò significa che si tratta di gestire una fase di transizione da una situazione di equilibrio (seppur precario e in via di “rottura”) come quella attuale, a una nuova situazione di equilibrio. Un compito difficile ma affrontabile e probabilmente sostenibile.

Nell’ipotesi che la popolazione mondiale si stabilizzi, si può prevedere che verso la fine del prossimo secolo il fabbisogno annuo di energia sarà compreso tra 20 e 40 miliardi di tonnellate di petrolio equivalenti, cioè tra 2 e 4 tonnellate di petrolio equivalenti pro capite. Da quali fonti estrarle? Secondo Rubbia la scelta è sostanzialmente economica: l’energia migliore è quella che costa meno. Ma nel calcolare il prezzo non basta considerare il semplice costo di produzione (su cui influiscono per esempio la reperibilità delle risorse o la difficoltà tecnica nello sfruttarle), ma bisogna tener conto anche di costi aggiuntivi, come quelli legati all’impatto ambientale o alla stabilità politica (per esempio i costi per il controllo della proliferazione di scorie di interesse militare). E proprio questi costi aggiuntivi contribuiranno in gran parte a stabilire quale energia impiegheremo nei prossimi decenni.

Per l’immediato futuro, ha proseguito il premio Nobel, è prevedibile un notevole aumento della richiesta di energia nei paesi in via di sviluppo, sia di petrolio (per la motorizzazione sempre più diffusa) sia di energia nucleare. D’altra parte le limitazioni imposte dagli accordi di Kyoto (una riduzione del 30 per cento nelle emissioni di anidride carbonica, il più pericoloso dei gas serra) si tradurranno in una “tassa” sulla CO2 tra i 20 e i 200 dollari a tonnellata (ciò potrebbe significare un aumento del costo della benzina tra 50 e 500 lire circa). Una forma simile di “tassa” dovrebbe essere imposta anche alle scorie nucleari.

Ma a lungo termine non sarebbe saggio contare esclusivamente né sulle fonti di energia fossili – per i problemi ambientali che comportano, e perché si tratta di fonti esauribili -né sul nucleare che abbiamo conosciuto fino a oggi, anche perché pure la disponibilità dell’uranio 235 è limitata. Cosa ci resta? C’è chi punta molto sulle cosiddette fonti rinnovabili, soprattutto sull’energia solare ed eolica, considerate del tutto pulite e a basso impatto ambientale.

Su quale possa essere il loro contributo effettivo, ha detto Rubbia, ogni ricercatore e ogni politico dovrebbe interrogarsi a fondo, e lasciando da parte qualsiasi pregiudizio. E secondo lui, pur riconoscendo un importante valore di supporto a queste fonti, pensare che da esse arrivi una porzione considerevole dell’energia futura è quantomeno azzardato. “Supponiamo di voler ottenere con pannelli fotovoltaici circa un quarto dell’energia di cui avremo bisogno nel 2100, cioè circa la quantità d’energia consumata oggi”, ha affermato Rubbia. “L’energia che arriva dal Sole è, nella situazione più favorevole, di 270 Watt al metro quadro. Questa energia va poi trasformata in elettricità e considerando un’efficienza complessiva del 10 per cento, significa che bisognerebbe coprire 700 mila chilometri quadrati del pianeta con pannelli solari”. Qualche esempio: il Giappone dovrebbe coprire più del 35 per cento del suo territorio, la Svizzera poco meno del 25, all’Italia (terra soleggiata) “basterebbe” circa il 12 per cento. Per soddisfare la metà del nostro futuro fabbisogno elettrico con l’energia solare servirebbero circa 22 mila chilometri quadrati di pannelli, un’area grande più o meno quanto tutta la Sardegna. Se poi un calcolo analogo si ripete per l’energia eolica, il risultato è che bisognerebbe riservare quasi 8 milioni di chilometri quadrati del nostro pianeta ai “mulini a vento” (per confronto: la superficie mondiale coltivata è di circa 10 milioni di chilometri quadrati).

Il messaggio è chiaro: per niente non si ottiene niente. “Chi si preoccupa tanto dell’impatto ambientale dovuto al raddoppio dell’autostrada Bologna-Firenze dovrebbe considerare seriamente cosa significa stendere 22 mila chilometri quadrati di pannelli solari…”. E quindi? E’ ovvio che il professore crede molto al suo Energy Amplifier. Una forma di “nucleare più pulito” che prima di tutto avrebbe il grande merito di bruciare le scorie e il plutonio prodotte negli anni del “nucleare sporco”. Basterà l’energia di Carlo Rubbia a portare il suo gioiello se non proprio alla fase applicativa almeno a una fase di sperimentazione avanzata?

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