Tre Nobel a confronto

Quali sono le grandi sfide che la scienza dovrà affrontare nei prossimi decenni? E come sarà possibile dare una risposta a problemi di bioetica sempre nuovi? Su questi temi hanno discusso il 2 dicembre a Roma tre oratori di eccezione: i premi Nobel Rita Levi Montalcini, Renato Dulbecco e François Jacob. L’incontro è stato organizzato dall’Enciclopedia Treccani, con la quale i tre scienziati collaborano in veste di membri del comitato scientifico della nuova enciclopedia “Frontiere della Vita”.

“Le due frontiere della biologia più avanzate dei prossimi anni saranno sicuramente lo studio del cervello e dei meccanismi molecolari che consentono il funzionamento delle cellule”, ha detto Jacob, “perché è da queste ricerche che potranno emergere nuove cure per i mali che più affliggono il mondo occidentale, ovvero i tumori, le nuove malattie infettive e le malattie degenerative del sistema nervoso.”

Il cervello è probabilmente l’argomento che più di altri desta l’interesse dei ricercatori e dei non addetti ai lavori. Forse perché si conoscono ormai piuttosto bene i meccanismi che consentono alle cellule nervose di comunicare fra loro, e si profila all’orizzonte la vera ultima frontiera della scienza: comprendere se e come dall’attività dai neuroni emergano fenomeni unici come il pensiero o la coscienza. “L’imperativo ‘conosci te stesso’ ormai è diventato ‘conosci il tuo cervello’” ha sottolineato Rita Levi Montalcini.

Per raggiungere questo obiettivo, le neuroscienze tradizionalmente hanno seguito due strade. La prima consiste nel cercare di osservare le cellule nervose, i tessuti cerebrali o il cervello intero, per capire in che modo le informazioni vengano elaborate e trasmesse da una parte all’altra del sistema nervoso. Altri invece hanno preferito un approccio più teorico al problema, e hanno tentato di costruire cervelli artificiali, il più possibile simili a quelli naturali. “Questi due metodi di ricerca hanno per lungo tempo proceduto separatamente”, spiega la Montalcini, “oggi al contrario si assiste a un fecondo interscambio tra i due campi. Sempre più spesso i risultati ottenuti dalla ricerca neurobiologica vengono confrontati ed elaborati con le ipotesi proposte dai teorici. Parallelamente, i teorici traggono ispirazione e informazioni per la costruzione delle loro macchine dalle nuove scoperte biologiche.”

Nel campo delle indagini sulla natura della coscienza, sia la ricerca biologica che quella sugli elaboratori elettronici tentano di affrontare il problema partendo dall’analisi di quei particolari aspetti della coscienza apparentemente più semplici da analizzare.Per esempio molti neuroscienziati sono concentrati sullo studio della consapevolezza visiva, ovvero di quei meccanismi che consentono al cervello di essere cosciente di trovarsi di fronte a un oggetto o a un volto, anche se ruotato o parzialmente coperto. Un’operazione, banale per un essere vivente, ma difficilissima per una macchina tradizionale. Recentemente però sono stati messi a punto computer in grado di imparare a riconoscere volti e oggetti, in modo relativamente simile a quanto fa un cervello umano.

Questi successi possono far pensare che sarà un giorno possibile costruire elaboratori che pensino come esseri umani? “I computer possono fornire informazioni molto utili per l’avanzamento delle neuroscienze”, dice Montalcini, “alcuni però, ed io fra essi, dubitano che si possano un giorno creare macchine capaci di amare o di odiare”.

Dal punto di vista della biologia cellulare e molecolare, secondo François Jacob, nei prossimi anni acquisterà sempre più rilevanza lo studio di come le stesse proteine vengano utilizzate per scopi completamente diversi in organismi evolutivamente anche molto lontani. “L’evoluzione non agisce come un ingegnere, che crea soluzioni nuove a nuovi problemi. Piuttosto tende a riciclare quanto già esiste”, spiega Jacob, “di conseguenza gli esseri viventi assomigliano a dei collage, in gran parte composti dai medesimi materiali. Per esempio creature apparentemente diversissime come l’uomo e lo scimpanzé hanno il 99% delle proteine in comune”.

L’aspetto rivoluzionario di questa osservazione è che essa mette in crisi la tradizionale ipotesi secondo la quale ogni proteina può avere una sola funzione. Ne sarebbe una prova la scoperta che alcuni batteri producono insulina, con una funzione ovviamente diversa da quella svolta nel metabolismo dei mammiferi. Inoltre è ormai chiaro che i prodotti dei medesimi geni governano lo sviluppo dell’occhio di alcuni insetti, del verme Caernorhabditis elegans e dell’uomo. Siccome queste strutture sono molto diverse, è estremamente probabile che le proteine in comune abbiano ruoli differenti nei vari organismi.

“L’argomento che più desterà interesse nei prossimi anni è però lo studio dei cosiddetti geni omeotici”, spiega Jacob, “ovvero dei geni che presiedono allo sviluppo embrionale. È stato appurato che questi sono in gran parte gli stessi anche in animali molto lontani evolutivamente. Resta da capire perché le proteine che essi codificano possono guidare verso la formazione di una Drosofila o di un essere umano”.

Naturalmente le grandi scoperte della biologia molecolare e delle neuroscienze sollevano interrogativi bioetici sempre più inquietanti. “Il problema principale, che ostacola un sereno dibattito sulla bioetica, è che molte persone non hanno le conoscenze di base per valutare le nuove scoperte” dice Dulbecco, “in un recente sondaggio per esempio sono state poste due domande. La prima era ‘sapete cosa è l’ingegneria genetica?’. Il 90% delle persone ha risposto ‘no’. Ma alla seconda domanda ‘pensate che l’ingegneria genetica sia pericolosa’, il 70% ha risposto sì.

Da questa contraddizione nascono molte false paure, per esempio quelle che portano a condannare frutti e verdure geneticamente modificati. Proprio queste sono invece la nostra arma più valida contro i parassiti, le malattie delle piante e, in ultima analisi, la maggiore speranza per sconfiggere la fame nel mondo. Allo stesso modo non è vero che tali modificazioni siano contro natura. La selezione naturale e la selezione artificiale, svolta da millenni dall’uomo, provocano anch’esse dei cambiamenti nel patrimonio genetico degli organismi, seppure molto più lenti. Oltre alle false paure, la mancata chiarezza su cosa siano i progressi scientifici può anche portare a speranze eccessive, come in Italia è stato recentemente dimostrato dal caso Di Bella. Resta agli scienziati e ai mezzi di comunicazione il difficile compito di fornire un’informazione scientifica corretta. Impegno reso più difficile dal fatto che la vera scienza è dura e tecnica, mentre la fantasia è facile e affascinate”.

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