Più veloce della luce

Viaggiare alla velocità della luce? Oltre ai fotoni, questa è stata un’esperienza riservata fino a oggi solo a Superman. Ma se fosse invece la luce a rallentare fino a 62 chilometri orari, allora anche un buon ciclista riuscirebbe a superarla. L’impresa di ridurre la velocità più alta raggiungibile in natura a un’andatura “umana” è riuscita a Lene Vestergaard Hau, una ricercatrice danese che si divide tra i laboratori del Rowland Institute for Science e l’Università di Harvard, entrambi in Massachusetts. “I nostri risultati inducono a ripensare il limite di ciò che è possibile”, ha affermato la studiosa intervistata da Galileo, “e apre nuove prospettive per la realizzazione di sofisticati dispositivi ottici come, per esempio, le telecamere per la visione notturna”. Ma soprattutto, secondo alcuni colleghi, potrebbe avviare Hau lungo la strada che porta al Nobel.

Nel vuoto la luce viaggia a circa 300 mila chilometri al secondo. Ma quando attraversa mezzi come l’aria, l’acqua o il vetro, la sua velocità diminuisce. E’ il motivo per cui immergendo un bastoncino in un bicchiere d’acqua esso ci appare “spezzato” in corrispondenza della superficie. “La luce passando attraverso un pezzo di vetro già subisce una frenata che la rallenta almeno della metà”, spiega Hau. Il fatto è che attraversando un mezzo, la luce non solo rallenta ma viene anche parzialmente assorbita. Esiste quindi un limite oltre il quale la velocità dei raggi luminosi non può scendere, se non a scapito del suo completo assorbimento. “Il nostro problema era creare un mezzo che riuscisse a ridurre la velocità della luce di 20 milioni di volte, ma che allo stesso tempo fosse perfettamente trasparente”, continua la ricercatrice danese.

Hau e i suoi collaboratori hanno utilizzato un mezzo molto speciale: un sistema costituito da atomi “immersi” in un “mare” di luce laser (i cosiddetti laser-dressed atoms), un po’ come delle palline in una melassa. Quando un altro raggio laser attraversa questo mezzo particolare, esso non interagisce solo con gli atomi, ma con l’insieme degli atomi “ammaestrati” dal laser. Risultato: la luce non viene assorbita. Non è tutto. “Per rallentare ancora di più il cammino della luce”, spiega ancora la ricercatrice, “abbiamo raffreddato il sistema, formato da atomi di sodio e luce laser, al di sotto di 435 nanoKelvin (435 miliardesimi di grado sopra lo zero assoluto – ndr). A questa temperatura, la più bassa mai ottenuta in laboratorio e inferiore anche a quelle delle regioni più remote dello spazio, la materia si trasforma in un cosiddetto condensato di Bose-Einstein: la densità degli atomi è molto alta e le loro oscillazioni sono minime”.

L’esistenza dei condensati di Bose-Einstein fu prevista negli anni Venti da Albert Einstein e Satyendra Nath Bose. Ma furono ottenuti in laboratorio per la prima volta solo quattro anni fa. Da allora sono stati studiati molto intensamente soprattutto per via di alcune loro proprietà, tra cui il comportamento collettivo degli atomi che li compongono. Quando sono sotto forma di condensato di Bose-Einstein, le particelle non si comportano più in modo “indipendente”, ma oscillano tutte insieme. Ebbene, la ricercatrice danese ha calcolato quanto impiega un raggio di luce ad attraversare un sistema atomico di questo genere: 7 milionesimi di secondo per percorrere due decimi di millimetro. In questo intervallo di tempo la luce nel vuoto, viaggiando a 300 mila chilometri al secondo, si sposterebbe di oltre due chilometri. Nel campione della Hau, invece, arranca ad appena 62 chilometri l’ora.

“La luce procede così lentamente perché il nostro condensato, simile a una melassa, ha un indice di rifrazione non lineare 100 mila miliardi più grande di quello della fibra ottica, il più alto mai osservato finora. Questa caratteristica può essere utilizzata per convertire le frequenze dei raggi luminosi: per esempio dagli infrarossi si può passare alla luce visibile o agli ultravioletti. Una proprietà molto utile, per esempio, per migliorare la tecnologia dei visori notturni. Questi dispositivi sono sensibili ai raggi infrarossi emessi da un corpo caldo, ma invisibili a occhio nudo. In futuro gli infrarossi potrebbero essere trasformati in luce visibile impiegando assai meno energia che nei visori attuali”. Ma le possibili applicazioni non finiscono qui. In futuro la luce giocherà un ruolo sempre più importante nelle comunicazioni e nell’elaborazione di informazioni. Gli studi della Hau potrebbero servire per costruire filtri che diminuiscano i disturbi nei sistemi di comunicazione ottica, o interruttori ottici superveloci per opto-computer. “Ma non dobbiamo aspettarci tutto ciò prima di dieci anni”, ammonisce la ricercatrice. Che per ora promette di migliorare ancora il suo record: vuole praticamente immobilizzare la luce, costringendola a trascinarsi a 36 metri all’ora. Tutti allora potremo dire: “Via, più veloce della luce!”

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