“Abbiate fiducia nella natura”

“In meteorologia non ci sono certezze. Solo possibilità. Coloro che esprimono certezze non possono dirsi scienziati. Alla scienza si addice la cautela”. Sono le parole di Bert Bolin, professore dell’Università di Stoccolma e protagonista, martedì 18 maggio, della conferenza annuale del Club di Roma, l’associazione di scienziati, economisti, filosofi e industriali nata nel 1968 per affrontare le emergenze ambientali. E nel suo incontro con la stampa, sembra quasi si diverta, Bolin, a sfatare miti e a controbattere conclusioni affrettate. Eppure era stato proprio lui, nel 1995, in qualità di presidente dell’Ipcc, la Commissione intergovernativa sul cambiamento climatico, ad annunciare al mondo che le emissioni di gas provocate dall’uomo influenzano il clima del pianeta. Un annuncio che ha aperto la via agli accordi di Kyoto. Ma attenzione – avverte – l’Ipcc è sempre stata esplicita su questo punto. Pur affermando che ci sono segni molto evidenti dell’azione dell’uomo sul clima, ha sempre chiarito che non è possibile trarre conclusioni definitive”.

Professor Bolin, negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti a questo proposito?

“Sì, dalla pubblicazione del Rapporto dell’Ipcc nel 1995 c’è stato un fiorire di ricerche sulle cause del riscaldamento del pianeta, che ormai si può considerare un dato di fatto: dal 1850 a oggi la temperatura globale è andata progressivamente aumentando. Ci sono alcune eccezioni, come la Groenlandia e in genere tutto l’Atlantico settentrionale, dove si è registrato al contrario un raffreddamento. Ma ci sono altre aree, e penso soprattutto al Canada e alla Siberia, dove l’innalzamento della temperatura è stato sorprendente. Tutti gli studi più recenti puntano nella medesima direzione, e cioè verso una responsabilità dell’uomo in questo fenomeno. Ma questa è tuttora difficilmente misurabile. L’esperimento più recente, e a mio avviso il più interessante, è opera dei climatologi del Max Planck Institute di Amburgo diretti da Leonard Bengtsson. Hanno realizzato un complesso modello matematico dove venivano alternativamente fatte entrare in gioco tutte le variabili: l’irraggiamento solare, le eruzioni vulcaniche, la naturale variabilità del clima. Ebbene: solo inserendo le emissioni provocate dall’uomo risulterebbe possibile spiegare i mutamenti climatici osservati nel corso di questo secolo”.

C’è chi dice che le prime avvisaglie di questo fenomeno siano rappresentate dagli uragani, sempre più frequenti e devastanti. Lei cosa dice?

“Gli uragani sono fenomeni naturali che da sempre si abbattono sul pianeta. A volte sono più frequenti e intensi, altre meno. E’ difficile dire se l’effetto serra abbia provocato una loro intensificazione. Certo è che il riscaldamento del pianeta fa sì che ci sia maggiore circolazione d’acqua nell’atmosfera: piove di più e quindi c’è maggiore evaporazione. Il tasso di umidità ai tropici è in continuo aumento. C’è chi sostiene che questo produca maggiore energia nell’atmosfera e dunque uragani più intensi. Si è perfino calcolato che per questo motivo l’uragano Mitch, abbattutosi l’anno scorso sulle coste dell’America centrale, è stato dieci volte più violento di quanto sarebbe stato in condizioni normali. Ma questa, per il momento, è solo un’ipotesi. Nel complesso possiamo dire che stiamo andando verso una situazione di squilibrio climatico, anche se questo è accaduto già diverse volte nel corso della storia del pianeta. Si pensi semplicemente alle ere glaciali. La natura però ha sempre saputo fronteggiare queste situazioni di emergenza e superarle. Oggi il problema è l’uomo, che da un lato rimane sconcertato per i cambiamenti e fatica ad adeguarvisi, dall’altro ne è egli stesso in parte responsabile. Proprio per questo, però, può intervenire. Ma deve farlo subito”.

E qual è la sua ricetta?

“Bisogna aver fiducia nella natura. Di tutte le emissioni di gas, la metà si disperde nell’atmosfera, un quarto viene assorbito dagli oceani e un quarto dal sistema terrestre. Se noi riduciamo le emissioni di gas, la natura ci aiuterà. Limitandoci al 20% dei gas emessi attualmente, potremmo continuare a vivere senza problemi per centinaia di anni ancora. Ma cerchiamo di essere più realistici. Oggi la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è di 365 parti per milione. Rispetto alle 280 della metà del secolo scorso c’è stato un aumento del 30%. Si è calcolato che il livello di guardia da non oltrepassare dovrebbe aggirarsi attorno alle 550 parti per milione, ma è difficile prevedere quali mutamenti climatici ciò comporterebbe. Questi numeri possono tuttavia fornire un utile punto di riferimento per gli accordi internazionali sulle misure da adottare. Che devono però essere considerati solo un modo per guadagnare tempo nell’attesa che si individuino soluzioni alternative”.

A cosa sta pensando?

“Da un lato bisogna incentivare la ricerca di metodi per un uso più efficiente dell’energia, dall’altro individuare nuovi sistemi per produrla. Si calcola che tra circa cinquant’anni le riserve più accessibili di petrolio e di gas naturali si esauriranno. Già oggi molti, Stati Uniti in testa, stanno tornando al carbone, il combustibile più inquinante. E questo bisogna assolutamente evitarlo. L’alternativa più valida, secondo me, è l’energia solare. Potrebbe essere usata per produrre metano, per esempio in Nord Africa. Da lì, i gasdotti potrebbero portare il metano nelle nostre case. In questo modo disporremmo di una riserva di energia pulita veramente inesauribile”.

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