Nestlè e McDonald’s dicono stop

Dilagano in Europa gli scandali alimentari. Dopo il pollo e il latte alla diossina, ora, sul mercato, esplode anche il caso della Coca Cola con “fungicida” e “cattiva anidride carbonica”. Le perplessità crescono: i controlli sanitari europei hanno dimostrato tutta la loro fragilità, e i diritti dei consumatori, allo stato attuale, sembrano sempre meno garantiti. Vista la situazione, alcune aziende hanno preso l’iniziativa e hanno deciso di garantire la qualità dei loro prodotti a chi li acquista.

La multinazionale svizzera Nestlè già la scorsa settimana aveva dichiarato di non utilizzare il latte belga. E, sempre la stessa azienda, più recentemente ha annunciato un’altra decisione importante: l’esclusione da tutti i suoi alimenti di ingredienti di natura transgenica. Tuttavia bisogna dire che la moratoria non è dovuta tanto a una posizione sfavorevole della Nestlè nei confronti degli organismi geneticamente modificati (omg), ma è stata dettata piuttosto da ragioni commerciali. Infatti, secondo un sondaggio della Healy & Baker, il 61 per cento dei consumatori europei non vuole cibi con i geni modificati sulle proprie tavole. E in Italia, il 79 per cento è contrario all’acquisto di omg.

E la Nestlè non è sola. Anche la McDonald’s, la catena di fast-food più famosa ed estesa del mondo con 25 mila locali in 115 paesi, ha dichiarato, proprio in questi giorni, di non voler più utilizzare alimenti transgenici nei suoi ristoranti inglesi. Ed è facile capirne i motivi. L’Inghilterra, al momento, è l’unico paese europeo dove uno schieramento piuttosto agguerrito di medici ha chiesto una moratoria di quattro anni nei confronti degli ogm. E la McDonald’s, spesso oggetto di critiche da parte degli ambientalisti, ha intrapreso così la nuova linea commerciale: quella di tutelare “la sicurezza dei clienti”, tanto che la scorsa settimana, in pieno boom diossina, ha rinunciato a vendere alcuni prodotti ritenuti non sicuri. Molte altre sono le iniziative già avviate o in preparazione in Europa. Per esempio, alcune catene di supermercati hanno deciso di tutelare i consumatori vendendo i loro prodotti etichettati con un bollino blu che dichiara “Non contiene alimenti modificati geneticamente”. In Italia per il momento hanno aderito la Coop e la Esselunga.

Ma nonostante i molti buoni propositi, probabilmente sulle nostre tavole continuano ad arrivare cibi transgenici. Infatti, già dal 1996 la Commissione europea ha autorizzato la commercializzazione nel continente dei primi ogm: la soia e il mais, entrambi importati dagli Stati Uniti e dal Canada. “Secondo la normativa europea in vigore dal settembre del 1998, gli alimenti che contengono questi cereali dovrebbero essere venduti con etichette che indichino al consumatore cosa esattamente sta acquistando. Ma, tranne rare eccezioni, l’etichettatura non avviene”, spiega Gianni Tamino, eurodeputato dei Verdi, “e i prodotti che contengono soia, mais o i loro derivati, come la lecitina di soia e lo sciroppo di glucosio, sono molti: yogurt, cioccolata, merendine impastate con le farine di questi cereali”.

Ma perché la normativa sulle etichette non viene applicata? E’ solo un caso di negligenza aziendale? Sembrerebbe di no. “E’ praticamente impossibile separare la soia e il mais transgenico da quelli tradizionali perché li importiamo dagli Stati Uniti e dal Canada già miscelati”, prosegue Tamino, “l’unica soluzione è modificare la legislazione sulle etichettature. Bisognerebbe controllare i prodotti attraverso una certificazione che li segua dal campo o dalla stalla fino alla tavola. Molti non sanno che la carne che mangiamo può contenere derivati transgenici. Al momento non esiste nessun obbligo di etichettare la carne degli animali nutriti con questi due prodotti”. Così il controllo di una etichettatura corretta su prodotti elaborati è ancora un’utopia.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here