Operazione Iulia Felix

Il grande evento è previsto per la fine di agosto. La Iulia Felix, nave oneraria romana del II-III secolo dopo Cristo affondata nell’Adriatico al largo di Grado, riemergerà dagli abissi e sarà portata a terra, in un nuovissimo cantiere di restauro costruito apposta per lei. Fu scoperta per caso da un pescatore nell’estate del 1986, e nelle molte campagne di scavo realizzate finora sono già stati portati alla luce il carico di anfore e il corredo di bordo, perfettamente conservati. Da qui la decisione della Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia di recuperare anche il relitto: un’operazione senza precedenti. Mai prima d’ora una nave così antica è stata portata fuori dall’acqua tutta intera.

Assolutamente nuova è anche la tecnologia impiegata: il relitto sarà avvolto in un guscio modulare che durante il recupero ne proteggerà il legno fragilissimo e servirà anche da supporto per il restauro. Per montarlo, archeologi e tecnici subacquei cominceranno a lavorare poco dopo la metà di giugno. Galileo ha intervistato Massimo Colocci, architetto, inventore del guscio e socio della cooperativa Aquarius che eseguirà il recupero della nave su incarico della Soprintendenza del Friuli.

Architetto Colocci, come è nata l’idea del guscio?

“La Iulia Felix è stata costruita con una particolare tecnica a incastri che non ci consente di smembrarla in tanti pezzi per poi ricomporla in un museo. Questo infatti è stato il metodo seguito finora, adottato per esempio nel recupero della nave fenicia di Marsala o, più di recente, di una nave romana in Spagna. Gli Spagnoli hanno persino voluto proteggere il legno antico, delicatissimo, ingessandolo con materiali siliconici prima di farlo emergere dalle acque. Una tecnica molto efficace su piccoli frammenti, ma che noi purtroppo non possiamo applicare. Inoltre, sia a Marsala che in Spagna le navi si trovavano molto vicine alla costa, mentre la Iulia Felix è a oltre sei miglia da Grado e a una profondità di 15 metri. Infine, la fragilità del legno delle navi antiche ci impedisce di recuperare il relitto semplicemente imbracandolo con cavi d’acciaio, come è stato fatto con navi più recenti come per esempio la Vasa a Stoccolma o la Mary Rose a Portsmouth. Insomma: abbiamo dovuto inventare qualcosa di assolutamente originale, ed è per questo che i nostri lavori sono seguiti con trepidazione in tutto il mondo”.

Come procederete?

“L’anno scorso abbiamo eseguito il rilievo dello scafo, necessario alla predisposizione del guscio (la nave misura esattamente 13 per 6,5 metri). Ora dovremo innanzitutto ripulirlo e rimuovere tutte le parti mobili rimaste ancora in loco. Poi prepareremo il cantiere posizionando sopra il relitto un telaio in legno lamellare con controventi in acciaio, ancorato a corpi morti in cemento adagiati sul fondale. Cominceremo dunque lo scavo a prua e a poppa, inserendo progressivamente sotto lo scafo delle centine in legno lamellare, una ogni 50 centimetri, fino a che da entrambe le parti si raggiunge il centro. Sopra le centine posizioneremo delle fasce dello spessore di 50 centimetri che, unendosi tra di loro, formeranno il guscio vero e proprio. Ogni fascia è dotata di ammortizzatori per attutire ogni possibile sussulto. Il tutto verrà saldamente agganciato al telaio soprastante. A questo punto il guscio sarà pronto per essere sollevato fuori dall’acqua. Sarà un’operazione delicatissima, anche la più piccola sbavatura rischia di danneggiare lo scafo per sempre. Quel giorno saremo davvero tutti con il fiato sospeso: il guscio sarà portato a riva e inserito in una delle due vasche predisposte nel nuovo Museo nazionale di archeologia sottomarina sulla diga di Grado”.

Quando sarà possibile liberare lo scafo dal suo guscio?

“Solo a restauro ultimato. Prima di tutto il legno resterà immerso per circa sei mesi in acqua distillata per la desalinizzazione. Poi verrà trattato con polietilenglicole, un prodotto sintetico che penetra nel legno e lo consolida. Questa fase può durare da 3 a 5 anni. Quindi, quando sarà inaugurato il museo nell’estate del 2000, i visitatori vedranno solo il guscio sigillato immerso nella vasca. Ma dall’alto potranno già scorgere qualcosa della struttura della nave. Non dimentichiamo che da un lato essa si è mantenuta intatta fino al trincarino, cioè fino alla prima tavola del ponte. E’ raro trovare una nave antica che ha conservato una parte così grande del suo scafo”.

Il Mediterraneo è una miniera inesauribile di relitti affondati in ogni epoca. Perché sinora non era stato tentato alcun recupero?

“Il recupero è un’operazione complessa, molto costosa, e non sempre necessaria. Si può studiare un relitto anche lasciandolo sott’acqua. Sinora, dunque, gli archeologi subacquei, interessati solo all’analisi scientifica dei relitti, semplicemente non hanno ritenuto necessario il loro recupero. Per questo un grande esperto come Patrice Pomey del Cnrs di Marsiglia (i Francesi in questo settore sono all’avanguardia) ha addirittura espresso riserve sull’operazione Iulia Felix. Ma noi crediamo che anche il pubblico debba avere la propria parte, e che sia nostro dovere impegnarci nel recupero almeno di alcune navi, le più importanti e significative. E’ un patrimonio che non deve andare perduto. Il relitto di Gela, per fare solo un esempio, è una splendida nave greca del VI secolo avanti Cristo con uno scafo eccezionale. Il suo rinvenimento nel 1988 ha rivoluzionato le nostre conoscenze sull’architettura navale dell’epoca. Ma ora, sott’acqua, si sta rovinando sempre più. E’ necessario dunque portarlo alla luce al più presto”.

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