L’Italia sul Pianeta rosso

Le prossime missioni su Marte sono previste per il 2003 e il 2005. E l’Italia avrà un ruolo di tutto rilievo. Infatti, grazie a un accordo firmato tra l’Agenzia spaziale italiana (Asi), quella europea (Esa) e la Nasa, diverse industrie e gruppi di ricerca italiani parteciperanno al Mars Surveyor Program. Proprio in queste settimane vari istituti del Cnr e l’Osservatorio di Capodimonte insieme all’Istituto universitario navale di Napoli, hanno presentato le loro proposte per la selezione.

Ma alcuni incarichi sono già affidati e Angioletta Coradini è project scientist per la partecipazione italiana alla missione del 2003, “Mars 2003 Sample Return Mission”. Si tratta di prelevare dei campioni del sottosuolo marziano che verranno rispediti sulla Terra. La missione prevede che dal modulo di atterraggio scenda un rover su cui si trova DeeDri (Deep Driller), una sorta di “trapano” che perforerà la superficie del Pianeta rosso fino a 50 centimetri di profondità prelevando i campioni. Dopo essere stati analizzati sul posto, i campioni verranno trasferiti nel Mars Ascent Vehicle (Mav) che lascerà Marte, entrerà in orbita dove aspetterà di essere recuperato dalla missione del 2005 per rientrare finalmente a Terra nel 2008.

Gli italiani dovranno costruire DeeDri, il trapano, e una specie di valigetta (in gergo Briefcase) che contiene diversi strumenti per la prima analisi in situ dei campioni. L’Istituto di astrofisica spaziale del Cnr ha progettato Irma (InfraRed Microscope Analysis), un microscopio/spettrometro che analizza le emissioni nell’infrarosso dei campioni del suolo. Il Ma-Miss (Mars Multispectral Imager for Subsurface Studies), è invece uno spettrometro miniaturizzato sensibile all’infrarosso destinato a corredare il trapano, mentre il Mare (Mars Radioactivity Experiment) è un esperimento destinato alla Briefcase e cercherà gli elementi presenti appena in traccia nel suolo marziano.

Ma gli esperimenti proposti dai team italiani per una eventuale partecipazione alle missioni su Marte sono davvero numerosi. Vittorio Formisano dell’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario Cnr ha proposto Laser (Lander Spectrometer Experiment) uno spettrometro che lavora con la luce visibile e dotato anche di piccole lampade ultraviolette. Illuminando con queste lampade le rocce, i ciotoli e il terreno si ottengono maggiori informazioni rispetto a quelle ricavabili con la luce visibile, che da sola non identifica la reale composizione del campione studiato. “La luce ultravioletta”, spiega Palmisano, “viene assorbita dai materiali e riemessa sotto forma di luminiscenza. Illuminati con le lampade ultraviolette durante la notte, i minerali marziani divengono luminescenti e di un colore più vivo, assai diverso da quello reale”.

I composti organici sono estremamente luminescenti e gli scienziati sperano così di scoprire l’eventuale esistenza di questi materiali nelle rocce e sul suolo marziano. “Nell’esperimento”, continua Formisano, “sono previste tre lampade, ciascuna con uno spettro diverso. L’obiettivo è di ottenere quattro misure: una in luce solare visibile, e tre nelle diverse regioni dello spettro ultravioletto”. L’esperimento potrebbe anche essere ripetuto nella missione del 2005, con un’importante variante: cospargere le rocce e il suolo di composti chimici preselezionati in modo da aumentare la luminescenza indotta in maniera selettiva. “Per esempio”, spiega ancora Formisano, “un certo composto aumenterà la luminescenza dei materiali organici, un altro quella dei carbonati di calcio e così via”.

Ma ciò che desta maggiormente l’interesse degli scienziati è il fenomeno delle tempeste di polvere, una caratteristica periodica dell’atmosfera marziana. Oggi si sa che la polvere è miscelata in modo permanente con le componenti gassose dell’atmosfera e che l’evoluzione della superficie e della atmosfera stessa sono collegate. Così è probabile che nel passato questa interazione abbia giocato un ruolo importante nel determinare il clima e la conformazione della superficie del pianeta.

Purtroppo, nonostante le numerose missioni, finora gli scienziati non sono riusciti a ottenere informazioni sufficienti sull’evoluzione di Marte e farne un riferimento per lo studio dell’evoluzione di altri pianeti. Per comporre questo difficile mosaico, il Laboratorio di fisica cosmica dell’Osservatorio di Capodimonte insieme all’Istituto universitario navale di Napoli sono attualmente impegnati nello studio di un nuovo strumento proposto all’Asi. “Questo strumento”, ci spiega Luigi Colangeli, astronomo dell’Osservatorio di Capodimonte, “potrà studiare la quantità, la distribuzione di massa, di dimensione e le caratteristiche delle polveri atmosferiche in funzione del tempo. E’ un obiettivo mai raggiunto finora e il nostro strumento è concepito per lavorare sulla superficie di Marte abbastanza a lungo da raccogliere una mole notevole di dati”. Si tratta di un vero e proprio gioiello dotato di microbilance al quarzo in grado di “pesare” granelli di polvere pesanti appena un decimo di miliardesimo di grammo e di un sistema laser, sensibile a particelle di dimensioni superiori a 10 micron, per rivelare il passaggio e la velocità dei grani.

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