Alla luce delle relazioni

“Con ecologia noi intendiamo la totalità delle scienze delle relazioni dell’organismo con l’ambiente, che comprende in senso lato tutte le condizioni di esistenza”
Ernst Haeckel, 1866

L’ecologia è una disciplina relativamente giovane, che nel ‘900 ha avuto il suo massimo sviluppo. A quando risale la sua nascita come scienza autonoma?

La nascita di questa disciplina si configura a macchia di leopardo. Quasi contemporaneamente infatti, tra la metà dell’800 e gli inizi del 900, si sviluppano alcune correnti di pensiero che in qualche modo confluiranno in quella che diventerà la disciplina ecologica.

Da un lato, c’è la tradizione dei fitogeografi tedeschi, i quali spostano la loro attenzione dalle singole piante alle comunità vegetali, che vengono analizzate in relazione ai loro sistemi trofici, di alimentazione e riproduzione in relazione all’ambiente geoclimatico. A questi studiosi, per esempio, si devono i termini “nicchia ecologica”, “sistema trofico” e altri che diventeranno basilari per l’ecologia attuale. Contemporaneamente, su tutto un altro versante, emergono le prime forme di attenzione al mondo naturale come mondo di vita incontaminato. Negli Stati Uniti si sorgono comunità di ecologisti ante litteram, si teorizza la vita solitaria nei boschi, come fa lo scrittore Henry David Thoreau e in generale una filosofia di vita aderente alla natura. In Germania nascono le “comuni naturiste” come gli Artamani o i Naturfreunde. Questi sono i primi nuclei di quello che potremmo chiamare l’ambientalismo politico moderno.

Bisogna tuttavia premettere che già l’evoluzionismo con Darwin, e soprattutto con Alfred R. Wallace, aveva sottolineato il ruolo dell’ambiente come motore dei cambiamenti, sostenendo l’importanza della sua interazione con l’organismo: da allora non si può parlare più di organismo biologico se non si considera anche l’ambiente.

Sempre all’inizio del secolo, risalgono poi i primi studi statistici che riguardano la dinamica delle popolazioni, iniziati da Alfred Lotka, Vito Volterra e D’Ancona. I rapporti preda-predatore nel mare Adriatico, analizzati mediante equazioni matematiche, consentono di prevedere le oscillazioni demografiche tra due o più specie commensali.

Un’altra corrente di inizio secolo è costituita dagli studi scientifici sull’ambiente che riguardano la componente geografica, la composizione dei suoli e le trasformazioni che la vita vi apporta. Queste ricerche sono tipiche della scuola russa. Vladimir I. Vernadskij è uno dei geochimici dell’epoca riscoperto di recente, e teorizza il funzionamento del pianeta vivente: la “biosfera”. E’ interessante notare che all’interno della scuola russa ci sono figure di biologi evoluzionisti e sistematici come Theodosious Dobzhansky, uno dei fondatori della Nuova Sintesi Evolutiva.

Infine, sempre nei primi anni di questo secolo nasce la Teoria dei Sistemi, di Ludwig von Berthalanffy, che porterà ad una importante revisione teorica dei paradigmi di fondo di molte discipline scientifiche, compresa la biologia. Nell’ottica della teoria dei sistemi, quello che conta sono le relazioni tra gli oggetti, analizzate in una dimensione sincronica. Sebbene ciò prescinda da una visione storico-evoluzionistica, questa teoria rappresenta uno snodo teorico importantissimo, perché offre una tematizzazione e strumenti interpretativi nuovi per manipolare grandi numeri, e dunque studiare le grandi trasformazioni all’interno di un insieme o tra insiemi. In qualche misura, questi studi hanno aperto la strada ad elaborazioni che saranno fondamentali. Penso per esempio ai “sistemi combinati” del paleontologo George G. Simpson, che introducendo nello studio delle relazioni tra i sistemi organismi-ambienti accanto alla visione sistemica anche un’ottica diacronica, imposta il tema della coevoluzione ecologica.

Avviciniamoci di più al presente.

Arriviamo agli anni ‘70: prende forma quella che è stata genericamente considerata la “fronda” alle tematizzazioni troppo ortodosse della Nuova Sintesi, in particolare il selezionismo e l’adattamentismo. Mi riferisco soprattutto alla nascita della teoria degli equilibri punteggiati di Stephen Jay Gould e all’interpretazione di genetica coevolutiva di Richard Lewontin. L’ipotesi della coevoluzione organismi-ambienti viene rielaborata tenendo conto del fatto che gli organismi si adattano sì agli ambienti, ma non in maniera ottimale, carattere per carattere: viene sottolineata con forza non solo l’importanza della plasticità degli organismi ma soprattutto il fatto che la vita organica plasma attivamente gli ambienti.

Negli stessi anni emergono i cosiddetti movimenti ecologisti, più legati alla dimensione sociale e politica. Una spinta dettata da trasformazioni culturali su larga scala, innescate a loro volta da alcuni eventi che in quegli anni mobilitano l’attenzione collettiva, come ad esempio gli incidenti di Seveso, Chernobyl, Bophal. Ora, dalla convergenza tra le riflessioni teoriche dell’ecologia, la risonanza di incidenti industraili o energetici – che implicano ampie contaminazioni d’ambienti – e i grandi movimenti di trasformazione culturale degli anni ‘70, nascono in Europa veri e propri movimenti ambientalisti e addirittura partiti politici con priorità ambientaliste, i Verdi.

Ma come si uniscono questi due aspetti, quello più filosofico-politico e quello più scientifico?

Esiste a mio avviso una difficoltà intrinseca nel pensare di poter mettere insieme questi due approcci. Nel primo, infatti, si tratta di valori, di scelte, e di organizzazione della convivenza umana anche in relazione agli ambienti. Nell’altro invece si tratta di capire come funzionano le relazioni tra organismi viventi e ambienti, senza dare però né prescrizioni né indicazioni per l’azione sociale. Il fatto è che, con lo sviluppo di alcune scienze, come la meteorologia, la climatologia, la chimica, l’epidemiologia, emerge una serie di dati che, combinati insieme, danno un quadro complessivo dell’impatto antropico sugli ambienti. Sono questi scientifici che forniscono un’indicazione, indiretta, di quello che potrebbe essere utile fare o non fare per permettere una possibile convivenza tra la nostra specie, le altre e il resto del pianeta. Un’indicazione che, però, non deriva dall’ecologia in quanto disciplina specifica.

Ma allora l’ecologia di per sé che cosa fa?

Studia le relazioni ambienti organismi a livelli sempre più sofisticati. Ma non si pone l’obiettivo di risolvere i problemi ambientali, né si è costruita su questi problemi. Vorrei che questo punto fosse chiaro: da un lato abbiamo l’ecologia, dall’altro la messa all’ordine del giorno dei vari problemi relativi al degrado ambientale o climatico – il buco d’ozono, l’effetto serra, la contaminazione radioattiva, e via dicendo. L’insieme di questi dati, messi in sinergia con le conoscenze provenienti dalla scienza ecologica, evidenzia una serie di problemi che chiedono di essere risolti. Ma che devono essere risolti attraverso la correlazione di dati di diverse discipline con un’azione politica.

Si può dire che l’ecologia abbia avuto, più di altre discipline scientifiche del nostro secolo, un impatto diretto sulla politica o sull’economia?

Se consideriamo l’ecologia come disciplina specifica, con i suoi dizionari, le sue regole, il suo apparato matematizzato e così via, non direi proprio. Quello che lei dice è vero, invece, per il ruolo che l’ecologia ha avuto nel mettere a tema una serie di domande che riguardano anche altre discipline. Qui c’è un punto di difficile elaborazione teorica, e cioè lo statuto dei problemi che vengono sollevati e il fatto che molti di questi problemi sono problemi con un impatto sociale e sanitario. In alte parole, questi problemi vengono affrontati da un lato perché c’è un’urgenza dovuta al degrado ambientale, dall’altro perché c’è una serie di discipline, non solo l’ecologia, che ha permesso di vederli emergere.

Faccio un esempio: se non avessimo avuto i satelliti che fotografano estensione progressiva del buco dell’ozono, o se non conoscessimo gli effetti degli idrofluorocarburi sulla composizione atmosferica, non avremmo neanche potuto mettere a tema questo tipo di problemi. Inoltre, affrontarli non solo richiede questa visione transdisciplinare, ma chiama anche in causa uno dei presupposti metodologici della disciplina ecologica, e cioè quello di far funzionare le teorie, la mente e l’osservazione secondo livelli che interagiscono tra loro. Quindi, per rispondere alla sua domanda, direi che l’ecologia come disciplina in quanto tale non ha avuto un impatto diretto su ambiti come la politica o l’economia. Però certamente svolge un ruolo di raccordo tematico, di fulcro paradigmatico per il fatto che è in grado di mettere costantemente in relazione gli organismi con gli ambienti.

Dunque, non è vero neppure il contrario, e cioè che l’ecologia si è sviluppata sull’onda delle urgenze derivate dall’impatto antropico sull’ambiente?

Infatti, anche questa è una visione semplificata. Perché così come i temi trattati dall’ecologia non passano direttamente ai movimenti ambientalisti, i problemi affrontati dall’ambientalismo non si traducono direttamente in una precisa questione scientifica all’interno della disciplina. Piuttosto, direi, si può pensare a una sorta di area intermedia in cui avvengono reazioni e sinergie che precedono e vanno oltre l’ecologia, ma che si organizzano, però, grazie all’esistenza di questa disciplina, che le raccorda entro una tematica complessiva. E’ proprio all’interno di questa area intermedia che è emerso un nuovo modo di valutare il nostro ruolo di abitatori dell’ambiente. Da un lato, infatti, poiché ci troviamo ad essere parte del sistema vivente, una tra le tante specie che coabitano su questo pianeta, siamo costretti a riconoscere che l’ambiente geografico, geoclimatico, antropizzato, urbano, ha caratteristiche che interferiscono con la nostra stessa fisicità biologica.

Dall’altro, ci riconosciamo come parte attiva nell’intero processo coevolutivo, ma in modo molto più incisivo delle altre specie sui tempi brevi. Le trasformazioni che noi induciamo sull’ambiente rispetto a quelle delle altre specie sono esponenziali: con una sola decisione e con la sua messa in atto, per esempio l’abbattimento di vaste aree forestali, o bombardamenti a basso tenore radioattivo, modifichiamo il clima o l’assetto idrogeologico in tempi brevissimi rispetto ai tempi evolutivi delle ere geologiche. Da cui emerge anche il pensiero forte di una nostra responsabilità rispetto agli ambienti di vita, e una serie di riflessioni che si collegano direttamente alla visione ecologica del mondo, ma che appartengono all’ambientalismo come cultura politica. In terzo luogo, da un punto di vista strettamente epistemologico, cioè di collocazione del soggetto, si rafforza una visione di parzialità conoscitiva e fragilità corporea, perché l’ecologia, insieme alle altre discipline “satelliti”, dimostra che pochi ma sostanziali cambiamenti geoclimatici possono compromettere radicalmente la nostra sopravvivenza.

Questa riflessione sul nostro ruolo di soggetto-oggetto dentro il mondo sociale e naturale insieme è uno degli elementi distintivi dell’ecologia?

Sì, in qualche modo questa è una condizione particolare. Se noi mettessimo su una sorta di gradiente la possibilità di utilizzare certe discipline scientifiche nell’interpretazione del mondo, e di modulare in base ad essa l’azione umana sul mondo esterno, certamente una disciplina che ha a che fare con le trasformazioni degli ambienti da parte della società risulta più fruibile della fisica delle particelle o paradossalmente, oserei dire, di tradizionali ricerche nelle scienze umane. C’è insomma un’interrogazione urgente che le trasformazioni della società rivolgono all’ecologia, che è nella sostanza diversa da quella che possono rivolgere alla fisica, alla matematica o all’astronomia, cioè a discipline che non hanno rapporto diretto con l’individuo. Un’interrogazione che esorbita, per vastità e senso, rispetto a molte questioni della sociologia e che piuttosto interferisce direttamente, il più delle volte in modo conflittuale, con la nostra economia.

Crede che questo sia tra i motivi dell’interesse crescente per questa scienza?

Mi sembra verosimile il fatto che le ultime generazioni, cresciute in un’atmosfera culturale in cui la questione ambientale è stata importante oggetto dell’attenzione dei mass media, possano avere una propensione maggiore a occuparsi di queste tematiche. E questo potrebbe essere uno dei motivi per cui l’ecologia è in espansione. Un’espansione del resto abbastanza documentata, perché fino a metà ‘900 cattedre di ecologia non esistevano quasi, e neppure cattedre in cui il termine ecologia veniva accoppiato ad altre denominazioni. Negli ultimi anni questi insegnamenti specialistici sono fioriti sia Europa che negli Stati Uniti, e le riviste scientifiche che si occupano di ecologia o di coevoluzione si sono moltiplicate. In questo modo, la disciplina ha acquistato caratteristiche sempre più definite e strutturate: l’aumento di attenzione collettiva per una scienza si concretizza infatti in un aumento quantitativo dei ricercatori, in un aumento dei finanziamenti, in un aumento dei canali di trasmissione. Allo stesso tempo, vengono messi più a fuoco anche gli aspetti teorici, possono emergere contrasti di scuole e affermarsi veri e propri stili di pensiero esportabili in altri campi, con una ricaduta positiva dell’attenzione sociale e politica ai problemi dell’ambiente.

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