La protesta planetaria

    All’inizio, nel 1948, era il Gatt (General Agreement on Tariffs and Trade), dal 1995 si chiama Wto (World Trade Organization – http://www.wto.org). Lo scopo però è rimasto lo stesso: favorire gli scambi commerciali tra i paesi aderenti, e oggi, in nome della globalizzazione, fra tutti gli angoli del mondo. Da sempre le decisioni vengono prese con una serie di incontri simultanei, chiamati “rounds”. Così nel 1986-1994 si è svolto l’Uruguay Round che ha allargato il campo d’azione degli accordi dai beni di consumo ai servizi e alla proprietà intellettuale. Il 30 novembre scorso è toccato invece al Millennium Round, gli incontri di fine millennio, che dovevano ridisegnare gli scenari del commercio internazionale. Ma la globalizzazione invocata dai fautori del Wto si è rivelata in questo particolare frangente un boomerang, e per la prima volta una protesta organizzata via Internet si è trasformata in una manifestazione di piazza planetaria. “C’erano lavoratori che innalzavano cartelli per la tutela delle foreste, e attivisti tibetani che oltre che per l’indipendenza del loro paese manifestavano per la tutela delle tartarughe”, spiega Grazia Francescato, portavoce dei Verdi e uno dei circa 100.000 manifestanti.

    Fuori dal palazzo un fronte di protesta diversificato quanto compatto, dentro delegazioni ufficiali di 135 paesi profondamente divise sulle priorità da proporre per il nuovo round negoziale. A manifestare per le strade della città americana, patria della Microsoft e della Boeing (maggiori sponsor delle giornate del Wto), sindacati, ambientalisti, gruppi per la tutela alimentare, organizzazioni non governative e i rappresentanti dei Paesi del terzo mondo. In poche parole, la società civile che, seppur non invitata al tavolo delle trattative, ha trovato il modo per imporsi all’attenzione dei politici e degli economisti. “Per la prima volta accanto al mercato e allo stato, è emerso un terzo settore, quello della società civile organizzata”, afferma ancora la Francescato. Riuniti insieme grazie al potere di Internet, che ha permesso alle organizzazioni di tutto il mondo di elaborare una strategia comune, i manifestanti hanno puntato l’indice contro la nuova veste che si vuole dare oggi il Wto: da regolatore degli scambi commerciali ad arbitro del mercato globale. Nel centro di Seattle gli attivisti di 80 paesi diversi hanno gridato contro la libera commercializzazione degli organismi geneticamente modificati e lo sfruttamento del lavoro minorile. Per il diritto universale di dare vita ad organizzazioni sindacali, per la protezione dell’ambiente, per la sicurezza alimentare e l’eliminazione delle tasse doganali imposte da Giappone, Stati Uniti e Europa sulle importazioni dai paesi poveri.

    La prima battaglia sembra proprio l’abbiano vinta i manifestanti: alla fine delle giornate di Seattle i delegati non hanno raggiunto nessun accordo. “Le pressioni determinanti”, afferma Thomas Harmon, a capo della Divisione Commodities and Trade della Fao, “sono probabilmente quelle che le delegazioni hanno ricevuto prima di partire, nelle loro capitali”. Certo è che il 30 novembre scorso si sono mobilitate centinaia di associazioni in tutto il mondo che hanno organizzato azioni di disturbo, non solo in America. Anche in Italia non sono mancate manifestazioni pubbliche di dissenso. A Roma gli attivisti della sinistra auto-organizzata hanno occupato la sede dell’Ufficio della Presidenza del Consiglio per le Biotecnologie e la Biosicurezza, a Milano l’associazione “Ya Basta” ha manifestato all’interno del McDonald’s di Piazza San Babila e al centro sociale “Leoncavallo” si sono svolte lezioni di economia. E, ancora, banchetti informativi e volantinaggi nelle principali città. Non solo gli attivisti di sinistra, ma anche ragazzi e ragazze di area cattolica organizzati nella Rete Lilliput che hanno manifestato con tende e presidi di piazza. Appena fuori dai nostri confini si è fatto notare per le sue attività il centro sociale il Molino di Lugano, mentre a Ginevra è stato occupata la sede del Wto, in Francia è nato il Coordinamento per il controllo cittadino del Wto e ad Amsterdam è stata occupata una nave storica del porto, simbolo dei commerci internazionali. La sfida è appena cominciata, l’appuntamento è sulla Rete, pronti per il prossimo Round.

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