Eros visto da vicino

“Ciò che abbiamo visto supera ogni aspettativa”. Ha esordito così Andrew Cheng, direttore del gruppo di scienziati che hanno progettato la sonda Near (Near-Earth Asteroids Rendezvous – http://near.jhuapl.edu/) al Laboratorio di fisica applicata della Johns Hopkins University e che dal 14 febbraio scorso orbita intorno a Eros 433, inviando per la prima volta sulla Terra le immagini tanto ravvicinate di uno di questi minuscoli abitanti del Sistema solare. Eros è in sostanza un grosso masso, qualcuno lo ha definito una “grossa patata”, lungo 35 km e largo 14 con un lato più piatto e uno arrotondato, che compie un giro completo intorno al Sole in 643 giorni a una distanza media di 1,46 unità astronomiche (una unità astronomica corrisponde alla distanza tra la Terra e il Sole, circa 150 milioni di km).

Con il passare dei giorni le immagini di Near ci rivelano la storia affascinante di Eros, offrendo di volta in volta scorci di una superficie strutturalmente complessa, ricca di crateri e colori diversi che rivelano la presenza di minerali come l’olivina e il pirosseno. Nei crateri più grandi s’intravedono rocce stratificate, profondi solchi, creste e strane “macchie brillanti” riprese dalla telecamera digitale che gli scienziati sono ansiosi di studiare. E la prima immagine ripresa da Near in orbita ci mostra un cratere largo 6 km proprio al centro dell’asteroide dentro il quale sembra essere rotolato un grosso macigno. Secondo Mark Robinson, della Northwestern University, studiare questi macigni è importante perché potrebbero essere arrivati in superficie a seguito di impatti molto violenti che, letteralmente, li hanno “estratti” dal sottosuolo e dunque permetterebbero di comprendere la composizione interna dell’asteroide.

Ma le novità non sono finite. Gli scienziati hanno scoperto che Eros ha una densità di 2,4 grammi per centimetro cubo, vicina a quella della crosta terrestre. Inoltre, Secondo Cheng, vi sono indizi allettanti che indicherebbero una struttura geologica stratificata, simile a un pannello di compensato a tre strati. “Questi strati”, ha affermato Cheng, “sembrano molto piatti e lunghi e vanno da un’estremità all’altra. Ciò farebbe pensare che Eros un tempo facesse parte di un corpo più largo, forse un frammento di pianeta”. Un’ipotesi che calza con l’idea secondo cui gli asteroidi, la maggior parte dei quali dimora nella cosiddetta “fascia degli asteroidi” tra Marte e Giove, sarebbero appunto i frammenti di un antico pianeta formatosi 4 miliardi e mezzo di anni fa oppure il frutto di una collisione tra un pianeta con un altro corpo celeste.

Le prime analisi dei dati hanno poi rivelato che Eros ha una superficie molto antica, che non ha subito fenomeni di erosione, per mancanza di atmosfera e di meccanismi che possano attivare questi processi. L’unica zona in cui non sono stati osservati crateri è quella che Robinson ha definito la “sella”, una sorta di grande cava piuttosto liscia. Secondo gli scienziati la “sella” dovrebbe essere di recente formazione: non più di due miliardi di anni. L’assenza di crateri potrebbe essere attribuita all’azione di polveri o detriti che, scivolando lungo il declivio della cava, ne hanno cancellato le tracce. Gli scienziati precisano però che siamo ancora nel campo delle ipotesi e anche attribuire un’età definita a Eros è prematuro.

Oltre alle raffinatissime fotocamere, Near trasporta diversi altri strumenti che sono entrati in azione quando la sonda si è trovata esattamente tra il Sole e l’asteroide. Lo spettrometro nel vicino infrarosso (Near Infrared Spectrometer-NIS) ha potuto rilevare una certa varietà nella composizione mineralogica dell’asteroide. Mentre molto presto lo spettrometro a raggi X e gamma (X-ray/Gamma- Ray Spectrometer) misurerà la composizione chimica del suolo e delle rocce e un laser telemetrico (Laser Rangefinder) determinerà con precisione la reale forma dell’asteroide.

Near invierà le sue preziose informazioni a Terra per almeno un anno. E i ricercatori già pensano di chiudere in bellezza la missione “atterrando” su Eros, oppure ancorandosi alla sua superficie per studiare nel dettaglio ciò che per ora si vede solo da lontano. In ogni caso, tutta l’esperienza accumulata con la missione Near costituirà una valida base di lavoro per progettare le future sonde interplanetarie.

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