Piccole armi crescono

Oltre 44 guerre sanguinose sconvolgono il pianeta in America centrale, Asia, Africa e in Europa. Mitra, granate, lanciarazzi, mine, esplosivi e munizioni mutilano e uccidono ogni anno milioni di persone: sono le “piccole armi”. Soltanto nell’Africa a sud del Sahara ne circolano alcuni milioni, acquistate spesso in quantità spropositate (l’Etiopia, per esempio, ha fatto ordinativi otto volte superiori alla media degli altri paesi africani) e pagate con le risorse originariamente destinate alla sanità o all’istruzione. “Il fatto più grave è la grande crescita delle armi leggere rispetto a quelle pesanti: oggi intere popolazioni africane possono imbracciare un fucile”, spiega Giampaolo Calchi Novati, autore di un rapporto sulle armi leggere in Africa pubblicato dall’Archivio per il Disarmo (http://www.archiviodisarmo.it).

Il segreto del successo mondiale delle piccole armi è presto detto: leggere e trasportabili e senza problemi di stoccaggio, sono facili da trovare sul mercato (ufficiale e clandestino) e relativamente economiche. Non necessitano di grande manutenzione, si impara a usarle immediatamente e possono causare danni ingenti a cose e persone. Le armi leggere in Africa sono un affare da migliaia di miliardi di lire l’anno.

Negli ultimi dieci anni i Paesi del terzo mondo hanno speso per armi e apparati militari il 4% del loro prodotto interno lordo. Anche se le cifre della spesa militare assoluta in Africa appaiono risibili (era nel 1959 appena lo 0.32% di quella mondiale e il 2.32% nel 1985), il tasso di crescita risulta il più elevato del pianeta. Complessivamente però la spesa per armi in Africa è scesa. “Il calo generalizzato degli ultimi anni nella spesa ha interessato l’Africa qualche anno prima del resto del mondo” risponde a Galileo Calchi Novati. “La maggiore riduzione della spesa ha toccato Paesi come Sudafrica (oltre il 50%) e Angola, oltre alle nazioni uscite da conflitti locali. Nella regione dei Grandi Laghi e nel Corno invece è aumentato il numero di armi in circolazione”.

Le piccole armi arrivano attraverso tre canali principali: le ristrutturazioni degli eserciti del nord del mondo alla fine della guerra fredda, la smobilitazione di apparati bellici di conflitti appena conclusi, i produttori di armi piccole e munizioni di ben 50 Stati. “Dietro l’alibi delle forniture agli apparati militari statali si celano in realtà commerci senza scrupoli”, dichiara Calchi Novati. “Da almeno dieci anni la grande sfida sul mercato mondiale di armi non è più tra Stati Uniti e Russia: oggi il grande competitore è la Francia. Un altro soggetto che preoccupa è il Sudafrica, che negli anni dell’apartheid ha notevolmente rafforzato la sua industria di armamenti”.

I dati sulla produzione di armi confermano la gravità del fenomeno. Secondo il rapporto dell’Archivio per il disarmo, negli ultimi anni il mercato complessivo delle armi è cresciuto. I maggiori produttori mondiali restano i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Stati Uniti in testa col 43% seguiti da Francia, Gran Bretagna e Russia) che insieme commerciano l’80% delle armi del pianeta. Seguono altri Paesi dell’occidente industrializzato: l’Italia è all’ottavo posto. “Oggi ” – prosegue Calchi Novati – “l’industria italiana delle armi vive un momento di sostanziale rilancio. Ma a lungo, durante gli anni Ottanta, una commissione del Ministero delle Partecipazioni statali cercò di elaborare un serio progetto per la riconversione dell’industria militare”Negli ultimi anni, spesso grazie alle licenze di produzione rilasciate dai principali produttori di armi (come l’Italia), Paesi come Argentina, Brasile, Cile, Corea del Nord, Egitto, Indonesia, India, Iran, Israele, Turchia, Taiwan, Sud Africa e altri sono entrati nel gruppo dei produttori di armi leggere. Secondo l’Istituto di ricerca sul disarmo dell’Onu, rispetto alla metà degli anni ‘80 il numero dei paesi produttori di piccole armi è cresciuto del 25%.

Pur liberando l’Africa dalle guerre croniche, la fine della Guerra Fredda ha dato spazio all’insofferenza covata in anni di dominazione straniera, diretta e indiretta. Almeno 21 dei 53 Paesi africani vivono guerre diverse: si va dagli scontri tra etnìe come quello ruandese tra Hutu e Tutsi, ai conflitti dell’Africa Centrale causati da crisi economiche croniche. In tutto ciò, conclude il Rapporto dell’archivio per il disarmo, l’Onu ha avviato un dibattito sulla possibilità della progressiva messa al bando delle armi leggere in Africa.

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