Una password fatta di luce

Una nuova sorgente di luce potrebbe presto permettere la creazione di codici segreti inviolabili. La notizia, apparsa su Nature alla fine di marzo, si riferisce a un sistema realizzato da alcuni ricercatori tedeschi del Max-Planck-Institut fur Quantenoptik di Garching (http://www.mpq.mpg.de/). Il gruppo di scienziati, costituito da Pepjin Pinske, Thomas Fischer, Peter Maunz e Gerhard Rempe, ha realizzato un dispositivo che per la prima volta riesce a legare assieme un fotone e un singolo atomo, dando luogo a un’esotica molecola di cui finora si metteva in dubbio perfino l’esistenza. Ma la cosa più interessante dal punto di vista pratico è che quando il legame tra atomo e fotone si spezza, il fotone viene emesso con caratteristiche molto precise e prevedibili. Un aspetto che potrebbe trovare applicazioni nel settore della comunicazione e dei computer quantistici.

Riuscire a produrre “a richiesta” singole particelle di luce emesse in direzioni ben definite, come riesce a fare lo strumento progettato a Garching, potrebbe rappresentare una svolta nella crittografia quantistica, che studia come sfruttare le leggi che regolano il mondo a livello atomico per trasferire informazioni in modo sicuro. La ricerca in questo settore ha avuto una brusca accelerazione a causa dei problemi legati alla sicurezza del commercio su Internet e alla riservatezza delle e-mail.

Attualmente, qualunque tipo di comunicazione sulla rete non è completamente sicura ed esiste sempre il rischio che i programmi crittografici usati per proteggerla vengano violati. Le “chiavi” classiche infatti non sono altro che sequenze di bit e una lunga serie di tentativi, ovviamente affidata a un computer, può svelarle. E’ solo una questione di tempo, di molta pazienza e di grande potenza di calcolo.

La situazione cambia se, al posto dei bit classici, si considerano invece bit quantistici perché questi ultimi sono infatti estremamente “fragili”. Le leggi della meccanica quantistica dicono infatti che se si prova a guardare un oggetto microscopico, lo si disturba irrimediabilmente. E’ come se rimanesse sempre una traccia del nostro intervento. Se una spia provasse a decifrare la chiave quantistica, da una parte la modificherebbe rendendola inutilizzabile per aprire il messaggio, dall’altra verrebbe certamente smascherata. La principale differenza tra bit classici e quantistici sta nel fatto che mentre nel primo caso si hanno oggetti fissi e manipolabili, nel secondo ogni tentativo di azione esterna distrugge inevitabilmente i bit stessi. L’inviolabilità di un codice quantistico non dipende quindi dall’abilità della spia, ma risiede nelle leggi della natura.

Finora la crittografia quantistica è stata solo teoria. Per trasformarla in realtà è necessario poter riconoscere un disturbo ambientale da uno intenzionale e soprattutto creare bit quantistici capaci di viaggiare su lunghe distanze. Per questo servono fotoni singoli, dalle caratteristiche precise e controllabili. Proprio quello che sono riusciti a fare i ricercatori del Max Planck Institut di Garching. “Il dispositivo degli scienziati tedeschi ”, spiega il Peter Zoller, leader del Centro di informazione quantistica all’Università di Innsbruck, “può essere usato come una pistola fotonica ad alta precisione sia nella crittografia quantistica satellitare che in quella attraverso le fibre ottiche. E potrebbe anche rappresentare un passo avanti per la realizzazione di computer quantistici”.

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