Il ruggito dell’ecomostro

“Perché il fatto non sussiste”. Con questa motivazione l’accusa ha chiesto l’assoluzione degli otto imputati al processo per la costruzione di Punta Perotti, tre palazzoni da 10 piani sul lungomare di Bari. Imprenditori e tecnici sono accusati di lottizzazione abusiva, deturpamento di bellezze naturali, falso, violazione della legge Galasso e di quella sulle concessioni edilizie. E’ questo, forse, l’atto finale di una lunga vicenda giudiziaria che vede al centro uno dei 10 “ecomostri” italiani. Che a breve potrebbe essere restituito ai proprietari. Nel 1997 la Pretura aveva ordinato per la prima volta la confisca della struttura. In seguito, una sentenza della Cassazione aveva giudicato il complesso “in conformità della legge”, perché rientrava nel piano di lottizzazione del suolo come area destinata agli insediamenti turistici. Il 10 febbraio 1999, il gip della pretura Maria Mitola predispose nuovamente la confisca sostenendo che la struttura era stata realizzata in assenza del nulla osta paesistico regionale; riteneva tuttavia che gli imputati non potessero essere perseguiti perché nella vicenda mancavano il dolo e la colpa degli stessi. La richiesta avanzata ieri dal procuratore generale della Pretura di Bari, Massimo Piccioli, fa pensare invece che non solo nella vicenda non ci sarà nessun perseguito ma che l’intero immobile verrà restituito nuovamente ai proprietari. Non sono rassegnate le associazioni ambientaliste, parte civile nel processo, che vogliono sottoporre all’esame della Corte Costituzionale la legge paesistica della regione Puglia perché ne venga dichiarata l’illegittimità. Su questa legge, infatti, si basa la linea difensiva dei costruttori di Punta Perotti. (p.c.)

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