Metcalf, una vita per il sangue

Una vita dedicata alla ricerca medica, in particolare allo studio dell’emopoiesi, la produzione delle cellule del sangue. Donald Metcalf, professore emerito della Divisione di Cancerologia ed Ematologia del Royal Melbourne Hospital in Australia, ha cominciato nel 1954 a studiare i meccanismi fisiologici causa della leucemia. E da qui è arrivato a scoprire i colony stimulating factors (fattori stimolanti di colonie), gli ormoni che controllano la formazione dei globuli bianchi e la resistenza alle infezioni. Le sue ricerche sulla crescita e la differenziazione delle cellule progenitrici emopoietiche – le cellule che poi andranno a formare il sangue – e sul controllo della crescita delle cellule ematiche hanno permesso di comprendere meglio i meccanismi biologici causa di molte malattie del sangue e le possibili terapie per combatterle. Per questo l’Accademia Nazionale di Medicina, prestigiosa istituzione con sede a Genoa, ha deciso quest’anno di assegnare a Metcalf il Premio per la Ricerca e la Formazione Biomedica Chirone. In occasione della premiazione, che si è svolta all’interno del convegno “Cell biology: from research to clinical application” il 5 maggio scorso, abbiamo chiesto all’oncologo australiano di spiegare l’importanza delle sue ricerche.

Professor Metcalf, cosa sono i colony stimulating factors?
I colony stimultaing factors (Csf) sono ormoni che controllano la crescita delle cellule del sangue e che le aiutano a combattere le infezioni. Ne abbiamo identificati quattro (denominati GM, G, M e Multi) e, grazie alla tecnica del Rna ricombinante, siamo riusciti a riprodurli in laboratorio in numero praticamente illimitato. Due di questi (G-Csf e GM-Csf) sono già utilizzati nella pratica clinica.

Quali sono le applicazioni cliniche dei Csf?
In primo luogo nel trattamento di pazienti affetti da cancro, non perché i Csf agiscano sul tumore ma in quanto aiutano l’organismo a sopportare meglio gli effetti devastanti delle terapie antitumorali. In tutto il mondo sono già due milioni i pazienti che vengono trattati in questo modo. I farmaci antitumorali infatti provocano danni nelle cellule staminali emopoietiche, in particolare ai globuli bianchi che più si attivano contro le infezioni. I csf aiutano la riproduzione di queste cellule così importanti e debilitate dalle terapie. Questi ormoni trovano applicazione anche nel trapianto di midollo osseo. La ricerca sui Csf, la più importante fra quelle sui fattori di crescita delle cellule staminali e che dura ormai da più di 30 anni, ha permesso infatti una rivoluzione in campo trapiantologico. Fino a pochi anni fa il paziente che si doveva sottoporre al trapianto di midollo doveva essere ricoverato e anestetizzato. Ora invece abbiamo scoperto che ci sono cellule staminali anche nel sangue periferico quindi il trapianto autologo (prelevando cioè cellule dallo stesso paziente) avviene come una banale analisi del sangue: iniettando le cellule staminali periferiche nel midollo. Perché il trapianto riesca e le cellule attecchiscano è però necessario curare il paziente con i Csf. In generale poi possiamo dire che si possono trattare con i questi ormoni tutti i pazienti colpiti da infezioni gravi che non rispondono più alle terapie antibiotiche.

Quali novità hanno portato ai suoi studi le moderne tecniche di genetica?
Le tecniche di clonaggio genico, particolarmente sviluppate negli ultimi 10 anni, hanno permesso un enorme avanzamento delle nostre ricerche. Da una parte abbiamo ottenuto un numero praticamente illimitato di Csf grazie alla replicazione da Rna-ricombinante. Dall’altra si è potuto studiare la funzione dei geni che li regolano creando in laboratorio di animali che mancano di un gene e in cui si possano analizzare gli effetti causati da questa mancanza. Grazie a queste tecniche sono stati individuati 20 geni i cui prodotti modificano l’azione dei diversi Csf. Ma da qui a capirne appieno il funzionamento la strada è ancora lunga.

Quali pensa possano essere le applicazioni future delle sue scoperte?
Il futuro della ricerca su questi ormoni prenderà due strade. Da una parte lo studio dei Csf di seconda generazione: ormoni che si diluiscono nel sangue meno rapidamente, tecnicamente con un’emivita più lunga, che permetteranno ai pazienti di passare da somministrazioni giornaliere ad una sola settimanale. Dall’altra la somministrazione di Csf per via orale, una soluzione che permetterà un risparmio economico e che faciliterà la vita ai pazienti. Prima di procedere con la sperimentazione, però, ci vorranno almeno altri cinque anni.

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