Laser, una storia poco convincente

Mario Bertolotti
Storia del Laser
Bollati Boringhieri, 1999
£ 68.000 pp. 390

Il libro di Mario Bertolotti, “Storia del Laser” meriterebbe forse una doppia recensione. Molto differenti sono infatti la prima e la seconda parte del volume e forse se ne rende conto lo stesso autore che a pag. 234 scrive “Il lettore che non si sia lasciato distrarre dalle numerose digressioni indispensabili alla comprensione della nostra storia, non avrà mancato di scorgere il preciso filo conduttore che portò alla meta finale” e cioè al raggiungimento delle conoscenze necessarie per la costruzione di apparati per “Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation” meglio noti come laser ottici. Le “digressioni indispensabili” occupano quindi le prime 230 pagine che servono a Bertolotti per ricostruire il percorso teorico e sperimentale che conduce alle ricerche sulla natura della luce, alle prime analisi spettrografiche, alle interpretazioni di Planck sulla natura dei quanti e di Einstein sull’effetto fotoelettrico. Indispensabili certo, ma non per questo da ricostruire interamente, per comprendere la nascita del laser ottico. La ricostruzione storica oltretutto non convince pienamente sia perché mescola esageratamente i risultati teorici con quelli sperimentali sia perché, nel tentativo di scorgere il filo conduttore, Bertolotti salta spazialmente e temporalmente da un episodio all’altro della storia della fisica. L’effetto finale è di “distrazione” o di perdita del “filo storico”, che non sempre coincide con il “filo logico” dell’argomento.

Oltretutto alcune delle vicende narrate dall’autore nella prima parte presentano anche problemi sul piano della ricostruzione storiografica. Citiamo in tal senso l’esperienza condotta da Michelson e Morley sulla velocità della luce nell’etere e l’interpretazione einsteiniana di Arthur Eddington. Storici della scienza come H.Collins e T.Pinch in “The Golem. What Everyone Should Know About Science” hanno mostrato come la questione sia più complicata del dire che l’esperienza dei primi non sembro’ aver influenzato Einstein (pag.130) o che il secondo fu l’unico britannico che nel suo tempo “comprese veramente la relativita’” (pag.127). Cosi’ come non sembra credibile che i gruppi di ricerca in fisica prima della seconda guerra mondiale “non avessero legami con le industrie e non mirassero ad alcuna particolare applicazione” (pag.230). Le esperienze di Lord Kelvin con la posa del primo cavo telegrafico sotto l’Atlantico, di Marconi con il brevetto per i primi sistemi di comunicazione via radio – che peraltro Bertolotti racconta egregiamente -, di Marie Curie con le prime analisi dei materiali radioattivi (per le quali gli storici hanno rivelato che alla base c’era l’interesse per il primato commerciale sulle unita’ di misura dei materiali radioattivi) dimostrano – a nostro giudizio – il contrario.

Diversa invece la seconda parte del libro, dove l’autore si sofferma sul reticolo di conoscenze pure ed applicate che consentono a gruppi di scienziati americani di sviluppare sistemi di emissione stimolata di radiazioni fondati prima su microonde (Maser), e poi su onde elettromagnetiche comprese o al limite dello spettro del visibile (Laser). Bertolotti ricostruisce un interessante quadro storico in cui gruppi di ricerca universitari e privati concorrono allo studio di tali sistemi. Convincenti sono sia l’approccio storiografico – l’idea cioè che esistano processi di scoperta simultanea determinati dal fatto che medesimi principi teorici vengono applicati su tecnologie similari quasi simultaneamente da diverse scuole di ricerca -, sia la ricostruzione storica in cui un attore importante diventa il brevetto, inteso come protezione sui risultati delle ricerche e quindi potenziale fonte di reddito per i richiedenti. L’autore getta luce sull’intreccio di conoscenze, tecnologie, interessi commerciali, interessi finanziari e vincoli legislativi che danno luogo alla nascita dei vari progetti di costruzione dei laser.

Un ultimo appunto deve essere fatto forse all’editore più che all’autore: è un peccato che un cosi’ ambizioso saggio sia privo di riferimenti bibliografici. Alla fine delle 386 pagine di testo non si trovano infatti né un indice dei nomi, né un indice degli argomenti, ma solo una scarna “bibliografia essenziale” di appena 5 titoli che “per chi voglia approfondire gli argomenti trattati… contengono anche riferimenti ai lavori originali”. A nostro sindacabile giudizio, il lettore che avesse speso £68.000 per l’acquisto del libro i riferimenti ai lavori originali forse se li meriterebbe da subito senza dover spendere altri soldi per acquistare i titoli in bibliografia.

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