Risorse marine in pericolo

L’assenza di regole precise per la pesca e l’acquacoltura, l’allevamento di pesci e molluschi di acqua dolce o salata, sta alterando la variabilità genetica delle specie ittiche, riducendo anche la capacità dei pesci di adattarsi ai mutamenti repentini del loro habitat naturale. Nel Mediterraneo il problema si fa ancora più grave in quanto la popolazione marina per sopravvivere deve fare i conti con altri fattori di rischio, a cominciare dall’inquinamento urbano e industriale che sta “rosicchiando” la prateria di posidonia (l’equivalente sottomarino degli alberi nei boschi). Se ne è parlato al Centro “Ettore Majorana” di Erice durante il workshop “Conservazione della biodiversità e gestione sostenibile delle risorse marine”. Un’occasione per i ricercatori di tutto il mondo di affermare l’urgenza di monitorare le zone interessate: l’unico modo per affrontare il problema alla radice.

“La riduzione della variabilità genetica”, afferma Yuri P. Altukhov, direttore del Vavilov Institute of General Genetics Russian Academy of Sciences, “sta interessando un po’ tutte le specie (dal tonno al pesce spada, dalle triglie agli scorfani), compromettendo la diversità degli stock: lo sfruttamento della pesca riduce il rapporto tra sessi e porta, inevitabilmente, all’alterazione della biodiversità”. Secondo gli scienziati, il fermo biologico, come pure il divieto di pesca a strascico, per essere efficaci, devono essere preceduti e seguiti da accurati controlli, da attuare rispettando rigorosi parametri scientifici. Ma a minacciare la variabilità genetica della popolazione ittica concorre un nuovo fattore finora sottovalutato: l’acquacoltura. Questa tecnica produce, secondo genetisti e biologi, un doppio rischio minacciando la popolazione ittica e danneggiando l’ecosistema ambientale. L’Italia, con gli oltre cento impianti, è al terzo posto in Europa, per di questo tipo di allevamento ittico, preceduta solo da Francia e Norvegia. L’incontro siciliano è stata l’occasione per presentare uno studio dettagliato sull’impatto dell’acquacoltura sull’ambiente svolto da Marco Arculeo e Antonio Mazzola del Dipartimento di Biologia animale dell’Università di Palermo. “La fuga dagli impianti di allevamento di alcuni esemplari, fenomeno che si verifica con una certa frequenza”, spiega Arculeo, “favorisce l’incrocio con pesci della stessa specie che vivono allo stato naturale nel loro habitat. Proprio la generazione di nuovi organismi (derivante da un incrocio fra esseri allevati e naturali) determina un impoverimento della variabilità genetica”.

Gli esemplari allevati, infatti, non hanno subito alcuna selezione naturale e sono portatori di un patrimonio genetico che potrebbe avere espressioni non adattabili alle condizioni ambientali. “Un monitoraggio costante nel tempo, associato al rinnovo del parco riproduttori con organismi naturali”, prosegue Mazzola, “limiterebbe i rischi in maniera significativa”. Lo studio dell’Università di Palermo rivela che anche l’ambiente marino risente negativamente dell’acquacoltura. “I residui di mangime non consumato, il materiale fecale e i cataboliti”, aggiunge Mazzola “possono accumularsi nel sedimento e, decomponendosi, creare zone di alterazione ambientale”.

L’attenzione degli esperti è particolarmente puntata sul fenomeno inquinamento. Segnali inquietanti, intanto, si registrano nei nostri mari: la prateria di posidonia, già duramente provata dagli agenti inquinanti, in alcune zone, come nella costa Sud Orientale della Sicilia, sta per essere sostituita gradualmente dall’alga tropicale “caulerpa racemosa”. “L’ipotesi più plausibile”, dice Sebastiano Calvo, ecologo alla facoltà di Scienze dell’Ateneo di Palermo, “è che provenga da qualche acquario. Riteniamo che l’inquinamento, indebolendo la prateria (che va ormai scomparendo in prossimità delle coste dei grossi agglomerati urbani e industriali) favorisca l’ingresso della caulerpa”. Le conseguenze possono essere disastrose: “è come se in un bosco al posto delle piante crescessero soltanto ortiche”. Calvo ha annunciato che l’Università sta elaborando un progetto per monitorare la costa sud orientale dell’isola. Il depauperamento della prateria di posidonia, infatti, rappresenta una seria minaccia per le specie ittiche, essendo una pianta che, oltre a svolgere un ruolo chiave nell’equilibrio della fascia costiera (ossigena le acque, stabilizza i fondali, modella e protegge le coste dalle erosioni) favorisce la riproduzione dei pesci.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here