L’inquieto fondale del Tirreno

Sotto il mare delle Eolie e di Ustica c’è molto fermento. È qui infatti che la crosta terrestre africana scivola lentamente sotto la placca continentale euroasiatica, spostandosi ogni anno di un centimetro in direzione Nord Est. Gli effetti di questo fenomeno sono i terremoti che nel corso degli anni si sono abbattuti sulle zone meridionali dell’Italia. Ora le onde sismiche però potranno essere utilizzate per scattare una fotografia al fondo marino e capire realmente cosa accade a migliaia di metri di profondità. Ipotizzando anche scenari futuri. È quanto si propone un esperimento portato avanti dai ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), il cosiddetto Ocean Botton Hydrophone and Seismometer.

Fratello minore di Geostar, la stazione sottomarina multidisciplinare in grado di registrare eventi sismici e misurare parametri chimico-fisici che dallo scorso mese di ottobre opera a duemila metri di profondità a Sud dell’isola di Ustica, l’esperimento in questione permetterà di effettuare una vera tomografia della crosta del basso Tirreno. Come? Sfruttando la velocità delle onde sismiche per conoscere e “fotografare” il complesso e dinamico mosaico che forma la crosta terrestre, in maniera da studiare i meccanismi di deformazione. Per misurare la velocità di queste onde sono stati posizionati 15 sensori idrofoni e sismici subacquei, fra i mille e i tremila metri di profondità, insieme ad altri 12 sensori terrestri: sei in Sicilia, due in Calabria e uno ciascuno in Basilicata, Sardegna, Malta e Isola di Ventotene. “Per avviare l’esperimento”, spiega Pino D’Anna, ricercatore dell’Ingv, “è stato necessario potenziare i sensori anche sulla terra ferma: dalla Sicilia a Malta abbiamo dovuto installare sensori a “larga banda” con caratteristiche particolari”.

Tutti i dati registrati da Geostar, dai sensori sottomarini e da quelli terrestri vengono quindi convogliati all’Osservatorio di Gibilmanna, nel palermitano. “L’acquisizione dei dati”, spiega D’Anna, “avverrà contemporaneamente”. Per Giuseppe Smiriglio, direttore assieme a Paolo Favali dell’intero progetto Geostar, “il complesso degli esperimenti consentirà di avere una tomografia basata su dati reali: finora, non disponendo di sensori subacquei, ci si è affidati a modelli matematici”. Adesso si passa invece a una sperimentazione di puro stampo galileiano.

Il Mar Tirreno nel suo complesso può essere, per alcune peculiari caratteristiche, equiparato a un Oceano: è dinamico. Nel basso Tirreno, in particolare, si trova la zona di sovrapposizione fra le due placche, quella africana e quella continentale euroasiatica, causa di terremoti particolarmente energetici. “Dopo il sisma dell’Irpinia, verificatosi a 30 chilometri di profondità”, prosegue D’Anna, “ne abbiamo registrato uno nel punto di subduzione del basso Tirreno di energia almeno 15 volte superiore. Se fosse stato in superficie avrebbe provocato conseguenze catastrofiche”. Nella parte di retroarco della zona di subduzione il Tirreno presenta inoltre una faglia (cioè una frattura nella crosta terrestre), da dove fuoriesce magma e il fenomeno che tende ad allargare il fondale. Tutti questi eventi sono naturalmente collegati tra di loro: l’allargamento del fondale determina una compressione dei rilievi appenninici, deformandoli e spingendoli verso Est. Avere, pertanto, un modello attendibile della crosta terrestre significa poter comprendere quale sarà l’evoluzione geodinamica di un’area di grande interesse e che desta anche più di una preoccupazione.

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