Pillole di marijuana

Molti ne parlano come la possibile sostituta della morfina nelle terapie antidolorifiche. Lo stesso Ministro italiano della sanità, Umberto Veronesi, ne ha pronosticato un possibile utilizzo. Ma le proprietà della marijuana potrebbero rilevarsi utili anche a livello terapeutico. Alcune industrie farmaceutiche europee e statunitensi stanno infatti puntando molto sulla realizzazione di specialità a base di derivati della cannabis, molto più potenti dei relativi principi attivi. “Queste sostanze sono in fase di avanzata sperimentazione sugli animali”, afferma Gianluigi Gessa, neurofarmacologo dell’Università di Cagliari, “e sicuramente tra qualche anno vedranno la luce come farmaci”.

Il principio attivo della cannabis, chiamato delta nove tetra idro cannabinolo, può essere prodotto anche in laboratorio. La molecola sintetica è identica a quella del principio naturale e produce gli stessi effetti sul cervello. Da qui è partita l’industria farmaceutica mondiale, cercando di realizzare derivati molto più potenti dei relativi principi attivi naturali, per poi utilizzarli in campo medico. “Questi agiscono secondo le stesso principio della cannabis, ma la loro azione è potenziata di migliaia di volte”, spiega Gessa.

In particolare le industrie francesi e statunitensi stanno lavorando su due tipi di farmaci: gli agonisti e gli antagonisti. I primi imitano e potenziano gli effetti della marijuana, mentre i secondi sono in grado di contrastarne gli effetti. Ma quali sono le loro applicazioni in campo medico? “I farmaci agonisti, per esempio, potrebbero risultare utili come anti-nauseanti e antiemetici per chi è stato sottoposto a chemioterapia, per superare la nausea e la mancanza di appetito”, spiega Gessa, “oppure per i malati di Aids, che presentano nausea e perdita di appetito a causa dei farmaci antivirali che assumono”. E’ stato dimostrato, inoltre, che il principio attivo naturale della cannabis ha effetti antidolorifici nelle malattie neurologiche. La sostanza, in alcuni casi, è più efficace della stessa morfina e non produce tolleranza rapida, quindi si può usare più a lungo. Anche nei casi di glaucoma, la malattia dell’occhio che fa aumentare il tono endoculare fino a togliere la vista, è stato rilevato che la marijuana ha l’effetto di ridurre la tensione endoculare. Un’altra possibile applicazione potrebbe essere quella sugli individui con traumi alla colonna vertebrale o affetti da sclerosi multipla, per ridurre la rigidità degli arti. A cui si aggiungono gli effetti benefici della cannabis sulla cefalea di tipo emicranico e, in alcuni casi, nella depressione.

Anche in campo immunitario potrebbero esserci delle applicazioni. “Qualcuno sostiene che fumare marijuana abbassa le difese immunitarie”, dice Gessa. “Se questo fosse vero, si potrebbe produrre un farmaco agonista, che, imitando gli effetti della cannabis, abbassi le difese quando occorre, per esempio nelle malattie autoimmuni o nei trapianti”.

E anche dallo studio sugli effetti degli antagonisti chimici della marijuana potranno nascere nuove classi di farmaci per combattere alcune gravi malattie come l’obesità (anoressizanti), la schizofrenia e addirittura per migliorare la memoria. “La ricerca sugli agonisti è ancora in fase preclinica”, conclude Gessa, “mentre quella sugli antagonisti è in fase due o tre, cioè ci sono state già delle sperimentazioni sull’uomo ed è molto vicina al mercato. Per questo credo che l’uso degli agonisti in Italia o nel mondo non è prevedibile in tempi brevi, mentre sia più vicina quello degli antagonisti”.

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