Cellule staminali superstar

La ricerca sulle cellule staminali e sulle loro possibili applicazioni terapeutiche suscita aspettative vieppiù crescenti. Fra gli scienziati così come fra la gente comune. La speranza è di realizzare cure per gravi malattie degenerative, come il Parkinson o l’Alzheimer, per l’infarto o il cancro. Orizzonti di gloria che tuttavia per ora si infrangono contro la fase di sperimentazione: poche settimane fa su The New England Journal of Medicine uno studio dimostrava come il trapianto di cellule staminali cerebrali provenienti da feti in malati di Parkinson non avesse prodotto nessun miglioramento, anzi. Ma proprio perché non ancora perfezionata, affermano gli scienziati, la ricerca su questo tipo di cellule deve essere finanziata economicamente e caldeggiata politicamente. Il punto della situazione sulla ricerca italiana in questo campo è stato fatto durante un convegno organizzato dall’Accademia dei Lincei a Roma, il 27 e 28 marzo scorsi. Un’occasione per puntare i riflettori su un settore prolifico della nostra ricerca e per divulgare, per far capire a tutti l’importanza della clonazione terapeutica.

E già qui le cose si fanno complicate. Innanzitutto bisogna chiarire la differenza fra la clonazione terapeutica e quella riproduttiva. Quest’ultima è quella che consentirebbe di produrre figli fotocopia, ed è vietata in gran parte del mondo. La clonazione terapeutica è invece quella di cui gli scienziati riuniti all’Accademia hanno discusso: coltivare e differenziare in laboratorio, per poi trapiantare in pazienti malati, tessuti ottenuti da cellule che hanno la potenzialità di dare origine a tutti i tessuti corporei, le cellule staminali, appunto. Così, come ha spiegato Michele De Luca del Laboratorio di ingegneria dei tessuti dell’Istituto dermatologico dell’Immacolata di Roma, per chi soffre di gravi ustioni di 3° grado la cura consiste nella coltivazione e trapianto di cheratinociti staminali, particolari cellule che formano la pelle e generano, in vitro, foglietti di epitelio stratificato autologo (proveniente dallo stesso paziente) adatto per il trapianto. Ma dove si prendono queste cellule “miracolose”? “Esistono diverse classi di cellule staminali pre o peri-natali”, ha affermato Giulio Cossu del Dipartimento di istologia ed embriologia medica dell’Università “La Sapienza” di Roma, “che differiscono per origine, potenzialità e prospettive di impiego”. La principale differenza è fra cellule staminali embrionali, che derivano dalla regione interna dell’embrione prima del suo impianto nella parete dell’utero, e quelle fetali, provenienti da feti umani abortiti. E poi ci sono quelle somatiche adulte, che conservano delle caratteristiche primitive, per molti versi analoghe a quelle delle embrionali.

Sono le prime a possedere maggiore plasticità, la capacità cioè di riprodursi e trasformarsi, ma anche quelle il cui utilizzo solleva dubbi e veti di carattere etico. Le cellule staminali embrionali umane si isolano infatti da embrioni congelati, prodotti in eccesso rispetto alle necessità della fecondazione in vitro e altrimenti destinati alla distruzione. Questa procedura, accettata in Gran Bretagna e Stati Uniti, ha suscitato notevoli reazioni in Italia. Tanto che la via italiana alla clonazione terapeutica, quella descritta dalla Commissione Dulbecco, è il Trasferimento nucleare di cellule staminali autologhe (Tnsa), che utilizza cellule staminali adulte. Su questa strada si stanno comunque ottenendo in Italia notevoli risultati: numerosi studi hanno dimostrato che le cellule staminali che si trovano in un determinato organo sono anche capaci di generare cellule di altri tessuti.

“Ora sappiamo che le cellule del midollo osseo possono dare origine a tessuti muscolari scheletrici o a epatociti”, ha dichiarato Angelo Vescovi, uno dei massimi esperti italiani in questo campo che lavora al Dibit – San Raffaele di Milano. “Inoltre cellule staminali neurali sono in grado di dare origine a elementi del sangue e a cellule muscolari scheletriche”. E anche la via inversa è possibile, così che cellule isolate da muscoli scheletrici formino poi cellule del sangue. Un altro tipo di cellule staminali utilizzato con successo sono quelle stromali, presenti nel midollo osseo: “l’impianto locale di questo tipo di cellule autologhe ha permesso la ricostruzione del tessuto osseo”, ha detto Paolo Bianco della cattedra di Patologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. E ancora, le ricerche dell’Idi che permetteranno fra un anno il trapianto di tutta la superficie oculare, “utilizzando cellule del tessuto superficiale di cornea e congiuntiva coltivate in laboratorio”, come ha spiegato De Luca.

Insomma, davvero in questo campo si può dire che il primato della ricerca sia italiano. Ma per non buttare al vento i risultati fin qui acquisiti servono ora finanziamenti da parte dello Stato. E non solo dai privati, che peraltro si sono già dimostrati sensibili all’argomento. “Servono almeno 100 miliardi”, ha sottolineato Vescovi, “per la creazione di centri di eccellenza specializzati”. Le cellule staminali sono state scoperte 30 anni fa ma solo ora la scienza ha i mezzi per capirne le enormi potenzialità: “la sfida è mettere a frutto queste ricerche creando centri dove collaborino genetisti, biologi cellulari e biochimici”, ha concluso Vescovi. E anche se, come ha ricordato Rita Levi Montalcini, il traguardo è ancora molto lontano, varrebbe la pena di non sprecare quanto acquisito fin qui.

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