Quel vaccino è innocente

E’ innocente. Il vaccino orale per la poliomielite, accusato nel 1999 di essere la causa della diffusione dell’Hiv dagli scimpanzé agli esseri umani, non c’entra nulla con l’Aids. Questa correlazione era stata ipotizzata da Edward Hooper, corrispondente della BBC in Africa e inviato delle Nazioni Unite: nel suo libro “The River” accusava di sperimentazioni quantomeno spericolate il Wistar Institute di Philadelphia nei cui laboratori era stato realizzato il vaccino. Ora tre studi, due pubblicati su Nature e uno su Science, dimostrano che nei campioni di vaccino antipolio orale preparati dall’istituto americano negli anni Cinquanta, non è presente materiale genetico del virus Hiv o di scimpanzé, e che le cellule renali utilizzate per coltivare il poliovirus erano di scimmie rhesus. Un quarto studio, pubblicato su Nature, dimostra poi che il ceppo di virus Hiv diffuso nello Zaire discende evolutivamente da un antenato, già presente nell’uomo prima che fossero effettuati i primi esperimenti sul campo con il vaccino antipolio orale. Mettendo in serio dubbio così la teoria di Hooper. La discussione sulle origini della pandemia non può purtroppo aiutare a sconfiggerne la rapida diffusione in tutto il mondo ma aiuta a riflettere sulle strategie medico sanitarie con cui affrontare tali emergenze. Ne abbiamo parlato con Gilberto Corbellini, storico delle scienze biomediche all’Università La Sapienza di Roma.

Professor Corbellini, quali erano le basi scientifiche su cui Edward Hooper basò la sua teoria?

“La teoria elaborata da Hooper sulla base di diversi anni di ricerca e con il supporto tecnico e morale del grande biologo evoluzionistica William Hamilton, viene da un’ipotesi che cominciò a circolare alla fine degli anni Ottanta nella letteratura antivivisezionista. Si accusavano le pratiche sperimentali della biomedicina di essere socialmente pericolose in quanto, per esempio, utilizzavano le colture cellulari animali per la preparazioni di vaccini e in questo modo potevano diffondere nell’uomo gli agenti infettivi degli animali. Negli stessi anni si cominciò anche a parlare della possibilità che l’Hiv si fosse diffuso in Africa attraverso le campagne di immunizzazione, che inizialmente riutilizzavano gli aghi in modo non sterile. Sta di fatto che già agli inizi degli anni Sessanta si era visto che le cellule di macaco asiatico, così come quelle delle scimmie africane utilizzate per la produzione del vaccino antipolio orale (il vaccino Sabin), erano contaminate da virus animali, per esempio il Siv40 che è un virus che causa l’immunideficienza nelle scimmie. Poiché il virus animale evolutivamente più prossimo all’Hiv-1 è quello che causa l’immunodeficienza negli scimpanzé, e poiché gli studi molecolari dimostrano che i principali gruppi di Hiv-1 discendono da questo virus, si ipotizzò che l’origine della pandemia di Aids fosse imputabile all’utilizzazione di reni di scimpanzé per preparare i vaccini antipolio orali. Così nel 1999, Hooper metteva sotto accusa gli esperimenti con vaccini antipolio orali condotti in Congo tra il 1957 e il 1959 dal Winstar Institute di Philadelphia su diverse centinaia di migliaia di persone”.

Qual è la sua opinione a proposito?

“E’ ormai praticamente certo che il virus Hiv è passato all’uomo in più occasioni, anche prima degli anni Cinquanta. Del resto, i tre principali gruppi di Hiv-1 differiscono filogeneticamente tra loro quanto differiscono dal virus dell’immunodeficienza degli scimpanzé, implicando almeno tre diversi passaggi da una specie all’altra. Per quanto riguarda l’origine del ceppo M di Hiv-1, quello sospettato da Hooper di derivare dai vaccini contaminati, in realtà la sua origine viene stimata al 1931, con un margine di errore di 12 anni. A questo punto si possono immaginare diverse occasioni per il passaggio del virus Hiv all’essere umano, sia legate a pratiche culturali locali in Africa, sia medico-sperimentali”.

Quali altri studi si potranno fare in futuro per chiarire tali origini?

“Probabilmente studi storici-scientifici, che individuino eventi o pratiche epidemiologicamente significative collocabili negli anni tra le due guerre nelle regioni africane da cui è partita l’infezione. Sulla base di queste informazioni si potrebbe quindi andare alla ricerca di qualche prova molecolare. Insomma, un po’ come si e’ fatto con la teoria di Hooper”.

Ma accertare tali origini può aiutare a combattere il virus?

“No. Ma queste ricerche hanno in ogni caso un intrinseco valore conoscitivo, e sono utili per ricordare a chi opera nel campo della sanità pubblica e della lotta contro le malattie infettive che gli agenti infettivi non sono dei meri composti chimici, ma delle entità biologiche dotate di strategie adattative. In altri termini, e’ necessario cercare di immaginare prima di realizzare una particolare strategia medico-sanitaria se questa non dia una qualche opportunità agli agenti infettivi di invadere una nuova nicchia, ovvero di non scatenare una sfida selettiva da cui potrebbero emergere varietà virali in grado di eludere i presidi preventivi e terapeutici”.

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