Il cuore al computer

Chi ha detto che il computer non ha cuore? Grazie a una tecnica chiamata Immersed Boundary Method, gli scienziati del Courant Institute of Mathematics della University of New York sono riusciti a “mettere un cuore” nel loro computer: si tratta di una animazione di un cuore di mammifero realizzata di Charles Peskin e David McQueen, ricercatori della New York University, e dal design analyst Richard Charles della Salzor Carbomedics. Con questa tecnica si è riusciti a simulare la dinamica dei fluidi cardiaci usando un modello tridimensionale che raffigura non solo il cuore e le sue valvole, ma anche il sistema cardiovascolare adiacente. Il modello è stato usato anche per studiare i principi meccanici che governano la fisiologia cardiaca in caso di presenza e assenza di patologia. Questo tipo di ricerca permetterà di analizzare l’efficacia di protesi quali le valvole artificiali o le “assist pumps”. Grazie a questa simulazione computerizzata infatti, tali meccanismi artificiali potranno essere “inseriti” nel modello in modo da studiarne la funzionalità “a cuore aperto” e palpitante.

Creato da Peskin e McQueen proprio per simulare la fluidodinamica cardiaca, l’Immersed Boundary Method (letteralmente: “metodo del bordo immerso”) è stato usato anche in altri campi della medicina, per esempio per simulare la meccanica acustica della coclea o l’aggregazione delle piastrine nella coagulazione sanguigna. La tecnica ha come oggetto di studio problemi che riguardano l’interazione tra un fluido viscoso incomprimibile (come il sangue) immerso in un “bordo” elastico (come il tessuto cardiaco). Il metodo è stato poi implementato al computer per creare la simulazione.

Nel caso del cuore il modello simula e misura il corretto allineamento e movimento delle fibre del tessuto cardiaco, l’aprirsi e chiudersi delle valvole e i cambiamenti nella pressione. Le fibre si allungano e contraggono durante tutto il corso della simulazione come risultato dell’interazione col fluido che le circonda. Durante l’animazione si possono chiaramente distinguere le due fasi di diastole (quando le fibre del tessuto venticolare si rilassano) e di sistole (quando invece si contraggono). Il fluido interno è marcato in rosso per indicare il sangue ossigenato, e in blu ad indicare il sangue che invece è già parzialmente deossigenato.

“Peskin e McQueen hanno sviluppato la metodologia e il programma del modello”, racconta Charles, “e hanno fornito i dati per la simulazione. Il mio contributo è stato di visualizzare tutto con la grafica al computer”. La raccolta dati è importante per attribuire valori numerici a parametri quali l’elasticità delle fibre, la pressione e la viscosità dei fluidi, e per tener conto di tutte le coordinate spaziali e il loro evolversi nel tempo. Per esempio, la simulazione del contrarsi e rilassarsi delle fibre è stata realizzata cambiando nel tempo i valori dei parametri di elasticità. “Esistono numerose tecniche numeriche”, prosegue Charles, “e al tempo stesso tecniche sperimentali mediche, come la risonanza magnetica o l’ecografia doppler, che producono una notevole quantità di dati cui bisogna dare una struttura coerente. Per ottenere ogni singola immagine abbiamo dovuto dare un senso ai dati spaziali e quindi farli evolvere nel tempo per realizzare l’animazione, tenendo conto delle informazioni temporali”.

E non si è trattato di un compito semplice: “La novità che abbiamo dovuto introdurre riguarda il fatto che in questa simulazione, così come in ogni altra simulazione basata sull’Immersed Boundary Method, la geometria è assolutamente non regolare. Ogni singola fibra del modello si può espandere e contrarre, un po’ come una manciata di spaghetti in grado di respirare ognuno al proprio ritmo. Ogni “spaghetto” deve essere rappresentato singolarmente, e questo porta a un’enorme quantità di dati che riesce presto a soffocare anche i calcolatori più veloci. La mia soluzione è stata di creare un metodo matematico per approssimare in un’unica superficie l’insieme dei bordi esterni delle fibre. Con questo metodo siamo riusciti a sfoltire il quantitativo di dati e rendere l’applicazione possibile su workstations in rete”.

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