A lezione da Jane Goodall

“Ero ancora una bambina quando decisi che da grande sarei andata in Africa, avrei vissuto con gli animali e avrei scritto dei libri su di loro. A 23 anni ho detto addio alla famiglia, agli amici e al mio paese e mi sono imbarcata su una nave per l’Africa”. Jane Goodall inizia la sua avventura alla fine degli anni Cinquanta, quando per la maggior parte delle persone era impensabile che una donna potesse voler vivere nella foresta per osservare gli scimpanzé. Ad aiutare Jane, pochi mesi dopo il suo arrivo in Africa, sopraggiunge Louis Leakey, famoso antropologo e paleontologo. Lo studioso era convinto che osservare il comportamento delle scimmie antropomorfe in natura avrebbe potuto chiarire molti degli aspetti ancora sconosciuti dell’evoluzione umana. Leakey decide perciò di dare fiducia a Jane e la incarica di studiare la comunità di scimpanzé del Gombe National Park. E’ il 1960 e la Goodall corona il suo sogno di bambina: arriva nella foresta equatoriale sulle sponde del lago Tanganyika, in Tanzania. Da qui parte il racconto che la celebre primatologa ha fatto giovedì 4 ottobre alla platea riunita all’Istituto di antropologia della Sapienza di Roma.

Dal vivo, Jane Goodall è proprio come siamo abituati a vederla nelle foto. Esile, semplice e decisa. “E’ stata dura”, afferma la primatologa, “soprattutto all’inizio. Gli individui della comunità erano diffidenti e io potevo osservarli solo da lontano, con il binocolo. Poi, un giorno, uno di loro vinse la paura e si avvicinò. Era Fifi. Fu lei a introdurmi al resto della comunità”. Da quel giorno la Goodall non hai mai smesso di studiare gli scimpanzé. E’ stata la prima a descrivere quello che lei chiama friendly phyisical contact, cioè l’abitudine di toccarsi e spulciarsi a vicenda per ore, comportamento tipico dei primati. I suoi lavori sono considerati una pietra miliare per l’etologia, la scienza che studia il comportamento degli animali, e intorno alla sua figura aleggia un alone mitico.

Mentre scorrono le diapositive sullo schermo, la studiosa raccontando le storie di quasi quarant’anni di osservazioni. E nel farlo, indica gli scimpanzé uno per uno, chiamandoli con il loro nome. “La cosa più incredibile, che mi permise di chiedere altri fondi per continuare le ricerche, fu quella di vedere un giovane che cacciava le termiti utilizzando un ramoscello. In quel momento ebbi la dimostrazione che gli scimpanzé sono in grado di utilizzare strumenti per raggiungere uno scopo”. Questa infatti è forse la scoperta più importante fatta nel corso del suo lavoro. Fino ad allora si pensava che costruire e usare utensili fosse una prerogativa esclusiva degli esseri umani. Non solo. “Osservando comunità diverse”, ricorda la primatologa, “ho potuto constatare che gli strumenti utilizzati dagli individui erano differenti e che questa conoscenza veniva tramandata da madre in figlio”.

Ma gli studi della Goodal vanno oltre la descrizione del comportamento degli animali. Gettano le basi della biologia della conservazione e dello sviluppo sostenibile. Vivendo per anni nel parco del Gombe, l’etologa si è resa conto delle difficili relazioni tra gli animali, l’ambiente e l’uomo. “Non è possibile preservare una specie animale e il suo habitat senza tenere in considerazione le necessità delle popolazioni umane che vivono negli stessi territori”. Dalla convinzione della profonda interdipendenza che tra uomo e natura e dell’importanza della diffusione dei valori della sostenibilità ambientale e della solidarietà tra i popoli per migliorare le condizioni di vita sul pianeta, nasce nel 1977 il Jane Goodal Institute. Presente in 12 paesi del mondo, tra cui l’Italia, l’Istituto è promotore di numerosi progetti di conservazione, cooperazione e sviluppo nei territori della Tanzania e di educazione ambientale e interculturale nei Paesi occidentali. E proprio per il suo impegno civile e per l’importanza dei valori di cui si fa ambasciatrice, Jane Goodal riceverà il prossimo 30 ottobre a New York, il premio Ghandi per la pace. Premio assegnato prima di lei a Nelson Mandela e a Koffi Annan.

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